Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ci sono, evidentemente, solo buoni motivi per cui gli Stati Uniti, dopo la loro precipitosa partenza da Kabul dell’agosto 2021, hanno trattenuto i fondi della Banca Centrale dell’Afghanistan. Lo stesso fanno alcune banche europee, e con le stesse lodevoli intenzioni. Gli Stati Uniti hanno “congelato” la cifretta di 7 miliardi di dollari, mentre le banche europee solo 3. Cifre irrisorie per i banchieri occidentali, ma importanti per un paese povero come l’Afghanistan. Ma vediamo alcune delle motivazioni più convincenti:
Gli Afgani devono pagare per gli attentati dell’11 settembre 2001.
Certo, qualcuno potrebbe far notare che, anche secondo la narrazione mainstream, gli afgani non c’entrano un bel niente con quegli attentati; che con decenni di guerre e bombardamenti subiti, il paese avrebbe scontato ben altre colpe; che l’afgano medio di oggi nel 2001 non era neppure nato. Ma sono forzature polemiche.
La metà dei soldi afgani serviranno per un fine nobilissimo: risarcire le famiglie delle vittime dell’11 settembre.
Qualcuno potrebbe obiettare, pretestuosamente, che i parenti delle vittime hanno già ricevuto oltre 7 miliardi e altri 10 sono in via di consegna; che alcuni famigliari hanno opposto un rifiuto affermando che gli afgani non c’entrano niente e che sarebbe un furto accettare quel risarcimento. Ma questo è solo un evidente segno di ingratitudine verso il governo che fa tanto per loro.
I più astiosi sottolineano che, a fronte dei 3,5 miliardi degli afgani, previsti per i parenti delle vittime dell’11 settembre, nei rarissimi casi in cui gli USA hanno deciso di risarcire le vittime afgane della loro politica criminale, i risarcimenti sono stato talmente irrisori da far sembrare la tessera “Dedicata a te” della Meloni una vera manna.
Congelare i soldi della banca dell’Afghanistan ha anche il nobile fine di fare pressione sui Talebani perché non comprimano i diritti delle donne afgane e i diritti umani in generale.
Ci sarà magari qualcuno che vorrà argomentare, in malafede, che in un paese che viene fuori da 40 anni di guerre, con una popolazione stremata e ridotta alla fame più nera, dove per molti il pasto si limita a un po’ di pane e una tazza di tè, e dove la pratica sempre più diffusa da parte di molti genitori, è vendere i propri organi per sfamare figli; in un paese così, il diritto di non morire di fame dovrebbe avere un certo peso. Ma sono gli argomenti di chi non ha argomenti.
Si è deciso che l’altra metà dei soldi congelati dovrà servire per aiuti umanitari all’Afghanistan. Un grande gesto di generosità da parte USA, che foraggeranno così le organizzazioni umanitarie occidentali per aiutare gli afgani con i loro stessi soldi. Vero è che finora non hanno sganciato un centesimo, ma la voglia di farlo è forte.
Rimangono comunque alcuni inquietanti interrogativi intorno a questo paese dell’oriente misterioso. I commentatori occidentali sono perplessi. Dopo anni di bombardamenti e stragi di civili e soprattutto bambini (47mila morti fra i civili), di occupazione da parte di truppe straniere, dopo una totale devastazione del territorio (quello coltivabile dedicato al papavero da oppio), dopo l’instabilità dei governi filo-americani che provocava intorno ai 300 morti al mese [oggi gli attentati sono quasi del tutto assenti], non si capisce come mai la popolazione civile non si ribelli contro i Talebani che impongono il burqa alle donne. Eppure avevano assaporato il profumo della libertà fatta di bombe e di oppio.
Non è neppure chiaro il perché dell’abbandono del territorio afgano da parte dei suoi benefattori. Lavorando sulle competenze, introducendo nuove tecniche di coltivazione, favorendo gli scambi commerciali, gli USA erano riusciti a fare dell’Afghanistan il primo produttore mondiale di oppio e stavano fornendo il know how per la produzione diretta di eroina (nel 2017 si erano raggiunte le 9000 tonnellate di oppio). Essendo gli USA il primo consumatore al mondo di droga e di oppiacei in particolare, si capisce quali benefici ne traeva tutto l’indotto.
C’è da dire che anche la beneficenza ha un costo. I costi della guerra in Aghanistan si aggirano oggi sugli 8 mila miliardi di dollari. C’è chi insinua che una spesa come questa abbia rappresentato un colossale affare per le lobby delle armi e per quelle militari. D’altro canto, visto che c’era la possibilità di raggranellare qualche soldino col traffico della droga, perché non farlo? In questo modo, le spese non devono gravare tutte sul povero contribuente americano.
A ben guardare però, oggi la situazione è cambiata. La maggior parte della droga che entra negli USA proviene dal Messico. Questo paese è oggetto da tempo delle amorevoli attenzioni statunitensi prima dedicate all’Afghanistan. Anche qui si sta instaurando quel clima operoso e di libero scambio fra servizi USA, criminalità specializzata, cartelli locali e mafie americane, che provoca migliaia di morti, e quella proficua instabilità in cui possono agire i trafficanti più o meno istituzionali. Il tutto con la supervisione delle lobby militari. In ogni caso, la droga afgana non è rimasta del tutto senza mercato. Grazie a qualche talebano con spirito imprenditoriale e a qualcuno dei “signori della droga” tanto cari agli occidentali, la droga afgana rifornisce oggi soprattutto il mercato europeo, con i benefici che si possono immaginare.
Quando la comunicazione dominante affronta questioni che riguardano paesi esterni al sacro Occidente, spesso finisce per utilizzare schemi che prediligono l’esotismo, l’orientalismo, il mistero, i barbarismi e altre fumosità inintelligibili.
Si va da Abubakar Shekau, leader di Boko Haram che leggeva il Corano mentre guidava la motocicletta, e nonostante le raccomandazioni della madre, a Gheddafi in fuga verso l’Africa profonda, braccato dalle potenze occidentali ma con un tesoro di lapislazzuli, lingotti d’oro e diamanti.
Così, per spiegare l’ascesa e l’affermazione di una entità come l’ISIS, la comunicazione mainstream ci dà una soluzione credibile: si finanziano con il contrabbando del petrolio. Come se delle formazioni armate in continuo movimento potessero avere il tempo e la capacità di ripristinare i pozzi petroliferi, di organizzare il trasporto e la vendita sottocosto (altrimenti che contrabbando è) del petrolio ad acquirenti degli stati contigui, teoricamente ostili, ricavarne denaro sufficiente e presentarsi sul mercato internazionale degli armamenti a fare shopping.
Si lascia poi a qualche noioso analista, o a qualche complottista, il compito di spiegare che le varie fazioni islamiste sarebbero state ben poca cosa senza il sostegno delle scuole coraniche come canale di finanziamento da parte dell’Arabia Saudita (con la supervisione USA); che l’eliminazione di Gheddafi era dettata da interessi geopolitici più sostanziosi dei suoi lapislazzuli; che l’ISIS non sarebbe mai esistito senza i soldi delle petromonarchie e senza un nocciolo duro costituito dalla guardia repubblicana sunnita di Saddam. Gli attacchi e gli attentati dei sunniti contro gli sciiti in Iraq sono stati utilissimi per gli USA, che avevano bisogno di destabilizzare l’intera regione, visto che il governo iracheno a maggioranza sciita avrebbe potuto stringere un’alleanza con l’Iran o con la Siria.
Non è ancora chiaro in quale tipo di strategia debba essere inquadrata la ritirata della coalizione a guida USA dall’Afghanistan. L’immagine dell’elicottero che porta via il personale americano a Kabul evoca senz’altro quella famosa di Saigon; ma in quel caso si trattò di una vera sconfitta sul campo da parte di un esercito ben equipaggiato e addestrato. Una situazione non paragonabile a quella di formazioni armate con un livello di tecnologia militare equivalente a zero, come nel caso dei talebani.
D’altro canto è inevitabile pensare a un bilancio. Se gli Stati Uniti, con la solita faccia di bronzo, parlano di missione compiuta, bisogna comunque ricordare che la missione è costata 2300 miliardi di dollari agli USA; che le vittime afgane sono state 160mila e quelle della coalizione 3600; che dopo decenni di addestramento, le forze armate afgane create dall’occidente, si sono liquefatte in pochi giorni (fra l’altro, Bin Laden, saudita, è stato ucciso in Pakistan), e che dopo 20 anni si ricomincia da capo.
Spetta alla comunicazione ufficiale l’ingrato compito di raccontare balle per distrarre da un bilancio che sembrerebbe anche politicamente catastrofico. Molte testate si lanciano sul classico “timore di un nuovo medioevo”, altre preferiscono “una possibile ripresa del terrorismo islamico”. C’è chi invece teme “la nascita di un nuovo Narco-Stato”, visto che i talebani si finanzierebbero con i proventi dell’oppio. Nel racconto favolistico tutto sembra plausibile, e ogni rovesciamento della realtà trova un suo fondamento.
In realtà, nella classifica dei Narco-Stati, gli USA non sono secondi a nessuno. Gli Stati Uniti consumano circa il 50% della produzione mondiale di droga, ma controllano i traffici illegali in modo diretto o indiretto in ogni parte del mondo. Il totale fallimento della cosiddetta “guerra alla droga” è stato in realtà un formidabile successo. In un libro del 1973, [La politica dell’eroina, oggi difficile da reperire] Alfred W. McCoy spiegava con un’ampia documentazione come la diffusione delle droghe sia stata sempre gestita dai vari servizi segreti, come ad esempio dalla Cia. In effetti i benefici dal punto di vista del dominio sono enormi. McCoy sottolinea, ad esempio, l’importanza del traffico di droga per le imprese coloniali. Prima i Portoghesi, poi i Francesi in Indocina, quindi gli Inglesi in India, infine gli USA nel Vietnam e in Afghanistan hanno cercato di compensare gli enormi costi di imprese coloniali non sempre redditizie, con i proventi della droga. L’industria afgana dell’oppio, che i talebani avevano messo in ginocchio, è stata ripristinata, organizzata e sviluppata dagli Stati Uniti passando dal 6% del 2001 al 93 % del mercato mondiale del 2007. I dati del 2017 segnalano un record della produzione annua di 9000 tonnellate di oppio; mentre nel 2020, nonostante la crisi Covid, le tonnellate prodotte sarebbero solo (!) 6300. I vantaggi della politica della droga sono noti: rendere più docili e sottomesse le popolazioni colonizzate (come fecero gli Inglesi diffondendo a livello di massa l’uso dell’oppio in India)(1), organizzare sistemi di controllo poliziesco specifici per la “guerra alla droga”, mettere le mani su una parte degli introiti dei traffici illeciti, ottenere la complicità di governi e organizzazioni criminali locali, e così via. Fra l’altro, un paese destabilizzato in permanenza come l’Afghanistan offre ampie possibilità di triangolazioni finanziarie per il money laundering, lavaggio di denaro sporco, come segnalava Assange già 10 anni fa.
Che i talebani abbiano deciso di racimolare un gruzzoletto con il traffico di droga, è possibile. Ma senza l’esperienza criminale degli USA non farebbero molta strada. Bisogna piuttosto chiedersi come faranno gli USA senza il mare di droga che producevano in Afghanistan. Vedremo.
(1) Il romanzo di Amitav Ghosh, Mare di papaveri, offre uno straordinario affresco del periodo delle “guerre dell’oppio”, con riferimenti storici molto precisi.
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