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RUBARE AL TALEBANO E’ UN DIRITTO UMANO
Di comidad (del 07/08/2023 @ 00:26:38, in Manuale del piccolo colonialista, linkato 5382 volte)
Ci sono, evidentemente, solo buoni motivi per cui gli Stati Uniti, dopo la loro precipitosa partenza da Kabul dell’agosto 2021, hanno trattenuto i fondi della Banca Centrale dell’Afghanistan. Lo stesso fanno alcune banche europee, e con le stesse lodevoli intenzioni. Gli Stati Uniti hanno “congelato” la cifretta di 7 miliardi di dollari, mentre le banche europee solo 3. Cifre irrisorie per i banchieri occidentali, ma importanti per un paese povero come l’Afghanistan. Ma vediamo alcune delle motivazioni più convincenti:
Gli Afgani devono pagare per gli attentati dell’11 settembre 2001.
Certo, qualcuno potrebbe far notare che, anche secondo la narrazione mainstream, gli afgani non c’entrano un bel niente con quegli attentati; che con decenni di guerre e bombardamenti subiti, il paese avrebbe scontato ben altre colpe; che l’afgano medio di oggi nel 2001 non era neppure nato. Ma sono forzature polemiche.
La metà dei soldi afgani serviranno per un fine nobilissimo: risarcire le famiglie delle vittime dell’11 settembre.
Qualcuno potrebbe obiettare, pretestuosamente, che i parenti delle vittime hanno già ricevuto oltre 7 miliardi e altri 10 sono in via di consegna; che alcuni famigliari hanno opposto un rifiuto affermando che gli afgani non c’entrano niente e che sarebbe un furto accettare quel risarcimento. Ma questo è solo un evidente segno di ingratitudine verso il governo che fa tanto per loro.
I più astiosi sottolineano che, a fronte dei 3,5 miliardi degli afgani, previsti per i parenti delle vittime dell’11 settembre, nei rarissimi casi in cui gli USA hanno deciso di risarcire le vittime afgane della loro politica criminale, i risarcimenti sono stato talmente irrisori da far sembrare la tessera “Dedicata a te” della Meloni una vera manna.
Congelare i soldi della banca dell’Afghanistan ha anche il nobile fine di fare pressione sui Talebani perché non comprimano i diritti delle donne afgane e i diritti umani in generale.
Ci sarà magari qualcuno che vorrà argomentare, in malafede, che in un paese che viene fuori da 40 anni di guerre, con una popolazione stremata e ridotta alla fame più nera, dove per molti il pasto si limita a un po’ di pane e una tazza di tè, e dove la pratica sempre più diffusa da parte di molti genitori, è vendere i propri organi per sfamare figli; in un paese così, il diritto di non morire di fame dovrebbe avere un certo peso. Ma sono gli argomenti di chi non ha argomenti.
Si è deciso che l’altra metà dei soldi congelati dovrà servire per aiuti umanitari all’Afghanistan. Un grande gesto di generosità da parte USA, che foraggeranno così le organizzazioni umanitarie occidentali per aiutare gli afgani con i loro stessi soldi. Vero è che finora non hanno sganciato un centesimo, ma la voglia di farlo è forte.

Rimangono comunque alcuni inquietanti interrogativi intorno a questo paese dell’oriente misterioso. I commentatori occidentali sono perplessi. Dopo anni di bombardamenti e stragi di civili e soprattutto bambini (47mila morti fra i civili), di occupazione da parte di truppe straniere, dopo una totale devastazione del territorio (quello coltivabile dedicato al papavero da oppio), dopo l’instabilità dei governi filo-americani che provocava intorno ai 300 morti al mese [oggi gli attentati sono quasi del tutto assenti], non si capisce come mai la popolazione civile non si ribelli contro i Talebani che impongono il burqa alle donne. Eppure avevano assaporato il profumo della libertà fatta di bombe e di oppio.
Non è neppure chiaro il perché dell’abbandono del territorio afgano da parte dei suoi benefattori. Lavorando sulle competenze, introducendo nuove tecniche di coltivazione, favorendo gli scambi commerciali, gli USA erano riusciti a fare dell’Afghanistan il primo produttore mondiale di oppio e stavano fornendo il know how per la produzione diretta di eroina (nel 2017 si erano raggiunte le 9000 tonnellate di oppio). Essendo gli USA il primo consumatore al mondo di droga e di oppiacei in particolare, si capisce quali benefici ne traeva tutto l’indotto.
C’è da dire che anche la beneficenza ha un costo. I costi della guerra in Aghanistan si aggirano oggi sugli 8 mila miliardi di dollari. C’è chi insinua che una spesa come questa abbia rappresentato un colossale affare per le lobby delle armi e per quelle militari. D’altro canto, visto che c’era la possibilità di raggranellare qualche soldino col traffico della droga, perché non farlo? In questo modo, le spese non devono gravare tutte sul povero contribuente americano.
A ben guardare però, oggi la situazione è cambiata. La maggior parte della droga che entra negli USA proviene dal Messico. Questo paese è oggetto da tempo delle amorevoli attenzioni statunitensi prima dedicate all’Afghanistan. Anche qui si sta instaurando quel clima operoso e di libero scambio fra servizi USA, criminalità specializzata, cartelli locali e mafie americane, che provoca migliaia di morti, e quella proficua instabilità in cui possono agire i trafficanti più o meno istituzionali. Il tutto con la supervisione delle lobby militari. In ogni caso, la droga afgana non è rimasta del tutto senza mercato. Grazie a qualche talebano con spirito imprenditoriale e a qualcuno dei “signori della droga” tanto cari agli occidentali, la droga afgana rifornisce oggi soprattutto il mercato europeo, con i benefici che si possono immaginare.