Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
L’ultimo rapporto Censis ci ha rivelato che milioni di Italiani credono che la Terra sia piatta. Avevano quindi torto i catastrofisti che ci dipingevano il popolo italiano tutto proteso a spiare le prossime mosse di Maria De Filippi; c’è invece una quota tra il 5 e il 6% che si appassiona a teorie cosmologiche, per quanto eterodosse. Magari qualcuno si darà la pena di deluderci, analizzando i questionari del Censis e scoprendo che sono stati forzati in modo tale da suggerire le risposte ed offrire il quadro di una ventata di irrazionalismo, un calderone mediatico in cui annegare anche evidenze come i conflitti di interesse e lo strapotere del lobbying multinazionale.
Ma, in ogni caso, siamo davvero sicuri che l’irrazionalità sia un’esclusiva del popolaccio infimo? Nella sua ultima conferenza stampa Draghi, oltre a riscuotere la standing ovation dei giornalisti, ha di fatto presentato una sua candidatura alla Presidenza della Repubblica. Certo, in Italia la posizione di Presidente della Repubblica è la più invidiabile, poiché implica la gestione di un potere pressoché assoluto, lasciando a qualcun altro le figure di merda della gestione di governo.
Ma la mossa di Draghi risulta sconcertante per la sua mancanza di senso tattico, perché per il Quirinale non ci si autocandida. Non si chiede di essere eletti, si deve essere candidati dagli altri. Al Quirinale ci si va, secondo la narrazione, “controvoglia”, perché invocati, costretti dal dovere e dal senso di responsabilità. Draghi quindi avrebbe dovuto semmai schermirsi, e dichiarare che il Quirinale non gli interessa. Comportamenti grossolani come l’autocandidatura sono tipici di personaggi squalificati come il Buffone di Arcore, e Draghi si è abbassato al suo stesso livello.
Semmai l’autocandidatura del Buffone rappresenta quella minaccia utile a creare il clima emergenziale atto a far emergere altri candidati, che rappresentino la “salvezza” dalla prospettiva di trasformare il Quirinale in una casa d’appuntamenti. Tutti quelli che fingono di prendere sul serio la candidatura del Buffone, stanno in realtà tirando la volata ad un rinnovo del mandato di Mattarella, pubblicizzato come l’usato sicuro e garantito. Oltretutto, con la sua mossa improvvida, Draghi si preclude anche la possibilità di rassegnare le dimissioni da Presidente del Consiglio in caso di mancata elezione al Quirinale, poiché in tal caso passerebbe da stizzito irresponsabile che sfoga le sue delusioni sbattendo la porta.
In fatto di dilettantismo, Draghi si è esibito in un’altra performance, stavolta in società col presidente francese Macron. I due hanno pubblicato una lettera-documento sul “Financial Times”, in cui propongono una revisione del Fiscal Compact. Il nonsenso dell’operazione appare stridente, dato che a causa dell’emergenzialismo pandemico, il Fiscal Compact è già saltato di fatto e, insieme, Francia e Italia sarebbero abbastanza forti da imporre lo status quo alla Germania. Chiedere di rinegoziare il Fiscal Compact è come ammettere invece di essersi comportati da discoli cercando un accomodamento grazie alla comprensione della controparte. Col loro atteggiamento da mendicanti associati, Draghi e Macron restituiscono la palla alla Germania, che ora può giocarsela, esibendo nuovamente la faccia severa.
Il problema è che Draghi e Macron non sono l’espressione di una generica “Italia” e di una altrettanto generica “Francia”; sono due lobbisti della finanza e quindi ragionano da creditori, perciò considerano l’inflazione come il maggior pericolo, in quanto erode il valore dei crediti. Per raffreddare l’inflazione, la Francia e l’Italia sono state fatte diventare colonie deflazionistiche col pretesto dell’emergenza pandemica. In entrambi i Paesi il settore dei servizi commerciali e turistici è stato volutamente depresso con le cosiddette “misure anti-Covid”, cioè è stato chiuso come una valvola per diminuire i consumi e quindi l’inflazione. Il 31 marzo finirà il principale programma emergenziale di acquisti di titoli (il PEPP) da parte della Banca Centrale Europea, e non è detto che i vari programmi collaterali per iniettare liquidità riescano a surrogare le perdite.
Si rischia quindi non solo di tornare all’austerità conclamata, ma soprattutto di far cessare quella pioggia di liquidità monetaria che consente ai governi di compensare il crollo del gettito fiscale dovuto alle restrizioni pseudo-sanitarie. Ora Draghi e Macron devono vendere alle loro opinioni pubbliche un ritorno all’austerità, spacciandolo però come fine dell’austerità, perciò sono costretti a chiedere pietosamente al governo tedesco di concedere il contentino di una revisione del Fiscal Compact.
L’irrazionalità quindi c’è, eccome; ma non è quella degli eventuali terrapiattisti o dei no-vax ad essere rilevante. I committenti di Draghi e Macron sono schizofrenici, pretendono tutto e il contrario di tutto, la deflazione ma anche la pioggia di liquidità dei programmi di acquisto di titoli da parte della BCE. Si spiega perciò tanta goffaggine da parte di due pur navigati mestieranti del lobbying finanziario. Così come si spiega anche il desiderio di Draghi di scapparsene da Palazzo Chigi, dato che nei prossimi mesi la poltrona di Presidente del Consiglio sarà parecchio scomoda.
Tra i rituali della Commissione Europea c’è la sceneggiata della “persecuzione” di qualche multinazionale del digitale. Stavolta è toccato ad Amazon, a cui è stata inflitta una multa di oltre un miliardo. Molti commentatori hanno già notato che la cifra è irrilevante a fronte dei profitti di Amazon, ma c'è anche da osservare che una multa può essere impugnata ed il suo pagamento effettivo diventa del tutto aleatorio. Se la Commissione avesse voluto fare un po’ più sul serio, avrebbe emanato una direttiva per indurre gli Stati a tassare Amazon e le altre multinazionali del digitale per i sovrapprofitti realizzati grazie alla rendita di posizione acquisita con i lockdown; ed una tassa non poteva essere impugnata.
Ciò non vuol dire che l’azione della Commissione Europea sia del tutto ininfluente, dato che ha consentito ad Amazon ed ai cori dei suoi cantori di esibirsi nel consueto repertorio vittimistico, versando calde lacrime sul “libero mercato” intralciato con lacci e lacciuoli dal potere politico intossicato da velleità socialiste. La barzelletta in circolazione è che Amazon abbia costruito il suo impero sulla “soddisfazione del consumatore”, come se non si sapesse già come verrà trattato il consumatore quando Amazon avrà fatto fuori gli ultimi concorrenti e consolidato la sua posizione di monopolio.
In realtà nel capitalismo reale il maggiore cliente, il maggiore “consumatore”, è sempre lo Stato. Sul suo sito Amazon si vanta infatti di essere il principale fornitore di servizi informatici della CIA e della NSA. Meno male che questa notizia sta proprio sul sito di Amazon, altrimenti pure si direbbe che si tratta di fantasie complottiste. Grazie a questi super-contratti con agenzie governative federali, Amazon dispone della certezza di liquidità necessaria per fare dumping ai danni dei concorrenti nella distribuzione delle merci. C’è anche un altro paradosso: le tecnologie di cui Amazon dispone sono state tutte elaborate da agenzie federali statunitensi con ricerca finanziata con pubblico denaro, ma poi le stesse tecnologie vengono rivendute a chi le ha inventate. La questione non riguarda quindi la persona di Jeff Bezos, come non riguardava Steve Jobs o Bill Gates o Mark Zuckerberg, bensì un sistema di commistione affaristica tra pubblico e privato.
Anche le innumerevoli agenzie di “intelligence” del Regno Unito acquistano oggi i servizi informatici (i “cloud”) di Amazon, che può così vantare un rapporto privilegiato con i principali servizi segreti del Sacro Occidente. L’ipotesi che circola, secondo cui la stessa Amazon sarebbe essa stessa una agenzia di “intelligence”, cioè di spionaggio, ha una sua fondatezza; ma il dato certo è che risulta invece infondata la narrazione di una fortuna di Amazon costruita sul rapporto con i milioni di piccoli consumatori. Questo risvolto di successo commerciale di Amazon semmai è un effetto, il riflesso di una posizione dominante, non la sua causa. A questo punto è chiarissimo il motivo per cui la Commissione Europea con Amazon si limita a scherzare e mettere su un po’ di scena, perché a fare sul serio si rischierebbe di vedersela con sigle come CIA, NSA e MI6.
Il segretario del PD, Enrico Letta, ha detto che in Italia il liberismo non c’è mai stato. Se è per questo, il “liberismo” non c’è stato mai da nessuna parte; il liberismo non esiste proprio, è solo narrativa, suggestione, propaganda. Il fascino sfuggente del liberismo sta proprio in questo senso di altrove indeterminato, di incompreso e di incompiuto. Il liberismo è la rosa che non colsi, si annida in quell’ultima privatizzazione che ti sei dimenticato, in quella riformetta strutturale che hai mancato per un soffio. Sembrerebbe quasi una bella poesia di Guido Gozzano; sennonché c’è quel maligno gusto della recriminazione e del rimprovero a guastare l’effetto ed a scoprire il fraudolento gioco retorico.
Come dottrina economica il liberismo è intrinsecamente mistificatorio, perché per garantire la libertà di movimento delle multinazionali, è stato necessario creare invece impedimenti artificiosi all’attività economica delle piccole e medie imprese che agiscono in ambito locale, ed è appunto il caso dei lockdown. Non solo non esiste il mitico “mercato”, ma non esiste neppure il soggetto cattivone che, secondo la fiaba vittimista del liberismo, lo contrasterebbe, cioè lo Stato, un’astrazione giuridica che copre lobby affaristiche che si muovono disinvoltamente tra pubblico e privato. Del resto Enrico Letta dovrebbe saperlo bene, visto che, pur nel suo piccolo, queste cose le pratica anche lui, infatti ha fatto parte del consiglio di amministrazione della multinazionale spagnola Abertis.
Sulla porta girevole tra pubblico e privato si è costituita una casta di privilegiati, una sorta di super-razza di “competenti” alla Mario Draghi. Nel Paese che i media si ostinano a narrarci come il più liberista di tutti, gli USA, è diventato leggenda il caso di porta girevole del generale Keith Alexander, prima al Pentagono, poi a dirigere la NSA, poi a gestire una propria azienda di sicurezza informatica, per poi approdare al consiglio di amministrazione di Amazon.
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