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Il gossip ha attribuito le sortite di Elon Musk contro i magistrati italiani alla sua infatuazione per Giorgia Meloni. Perché no? In fondo sono entrambi personaggi costruiti su archetipi fiabeschi. Lei è la Cenerentola della Garbatella, perseguitata dalla sorellastra invidiosa Elly Schlein, ma che riesce comunque a farsi invitare al Gran Ballo dove tocca il cuore dei potenti e magari trova pure il Principe Azzurro. Elon Musk può rivestire i panni del Principe Azzurro, ma vanta soprattutto una carriera da ibrido mitologico: come padrone di Tesla dà vita e forma ad uno dei feticci preferiti dal politicamente corretto in vena di emergenzialismo climatico, cioè l’auto elettrica; come padrone di “X” cavalca il politicamente scorretto seminando battute impertinenti quanto irrilevanti, ma che sono comunque sufficienti a gratificare quella parte di opinione pubblica che crede di potersi opporre alle oligarchie facendo il tifo per qualche oligarca più scavezzacollo. Pur essendo un personaggio mediaticamente controverso, la miliardariolatria in versione Musk trionfa nel talk-show, riuscendo a mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, infatti Marco Travaglio e Italo Bocchino concordano nel definire Musk un “genio”. Il concetto di genialità risulta piuttosto dilatabile, tanto che, volendo, potrebbe essere applicato persino ad Antonio Tajani.
In una cosa però Musk è sicuramente bravo, cioè nel percepire sussidi governativi, quindi a farsi assistere dal contribuente. Musk ci tiene a precisare che incassa meno sussidi governativi della multinazionale Boeing (quella non la batte nessuno), ma neanche lui scherza. Nonostante le scarse performance di vendita e pur avendo più volte sfiorato la bancarotta, Tesla ha una capitalizzazione di Borsa comparabile con quella dei maggiori gruppi automobilistici come Toyota, e ciò lo si deve appunto ai sussidi governativi che eccitano i sedicenti “investitori”. Anche l’altra creatura di Musk, SpaceX, prospera con gli appalti delle agenzie governative come Pentagono e NASA, le stesse agenzie che hanno creato le tecnologie che i vari Musk, Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg hanno commercializzato, spacciandole come proprie invenzioni ad un’opinione pubblica credulona. Ma soprattutto Musk per le sue imprese spaziali percepisce miliardi in finanziamenti pubblici, dati non in cambio di prestazioni ma così sulla fiducia, per incoraggiamento. In chiave di strumentale polemica elettorale la CNN ha rinfacciato a Musk i dati ufficiali che certificano la sua dipendenza dal contribuente povero, dato che i ricchi come lui pagano pochissime tasse, e Trump promette di fargliene pagare meno ancora. La CNN però si è guardata bene dal trarre le logiche conclusioni riguardo a tutto questo assistenzialismo per ricchi, e cioè che i mitici “capitalisti privati” sono in realtà dei boiardi del denaro pubblico, che fanno da sponda esterna a lobby d’affari che occupano istituzioni solo formalmente pubbliche. ... Continua a leggere...
Al regista ed all’interprete del film “Berlinguer, la grande ambizione”, Nanni Moretti ha rivolto la seguente battuta: “Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico”. Ma, prima di amare o odiare il compromesso storico, sarebbe stato utile capire di cosa si trattava, poiché a tutt’oggi non è affatto chiaro.
La linea del cosiddetto compromesso storico fu tracciata da Enrico Berlinguer nel 1973 in tre articoli consecutivi e complementari sulla rivista “Rinascita”; articoli che partivano da un’analisi della vicenda del golpe in Cile. Nel primo articolo Berlinguer affermava: “Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.” Dall’analisi di Berlinguer risulta quindi che l’ostacolo principale da superare per ogni politica socialista è la sopraffazione imperialista, in particolare quella statunitense, che si esercita sia con l’aggressione diretta, sia facendo da sponda all’eversione interna.
Nel secondo articolo Berlinguer prospettava la soluzione al problema di come contrastare l’ingerenza imperialista: “Ecco perché noi parliamo non di una «alternativa di sinistra» ma di una «alternativa democratica» e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica, oltre che con formazioni di altro orientamento democratico.”
Insomma, secondo il Berlinguer del 1973, per non soccombere all’aggressione imperialista il movimento progressista avrebbe dovuto allargare il più possibile la sua base sociale e politica; ciò, in un paese come l’Italia, comportava un’intesa anche con le masse cattoliche; ovvero, in termini più espliciti, con il partito della Democrazia Cristiana. Ma se avete capito che il cosiddetto compromesso storico consisteva in un antimperialismo iper-prudente e basato su una politica di gradualità e di alleanze, preparatevi ad una delusione.
Non erano passati neppure tre anni dalle sue riflessioni sulla tragedia cilena e Berlinguer, in un’intervista sul “Corriere della sera” del giugno 1976, affermava: “Io penso che, non appartenendo l’Italia al Patto di Varsavia, da questo punto di vista c’è l’assoluta certezza che possiamo procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento. Ma questo non vuol dire che nel blocco occidentale non esistano problemi: tanto è vero che noi ci vediamo costretti a rivendicare all’interno del Patto Atlantico, patto che pur non mettiamo in discussione, il diritto dell’Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. Il concetto veniva poi ribadito: “Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico «anche» per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia.” ... Continua a leggere...
Stamattina, in seguito ad un malore, Licia Rognini vedova di Pino Pinelli, ci ha lasciato.
Davanti al dolore non tutti/e siamo in grado di mostrare una forza di carattere, una dignità e un rigore come ha saputo fare Licia per lungo tempo alle prese con un potere vigliacco ed assassino, una stampa servile, manipolatoria e mistificatrice.
Gran parte della sua vita è stata dedicata alla battaglia per ridare a Pino quello che lo Stato ha cercato di toglierli, la sua umanità, i suoi ideali di giustizia sociale e di libertà, e nel contempo a crescere due figlie, Silvia e Claudia, oggi sempre presenti nelle battaglie antifasciste e antiautoritarie e nell'affermare la memoria del nostro indimenticato compagno Pino.
FAI Milano
Il Comidad si associa al cordoglio per la Morte di Pina Rognini Pinelli
La questione coerenza/incoerenza è un’esca dialettica piuttosto abusata, eppure quasi sempre riesce a far abboccare i pesci (o i polli) all’amo. Un ulteriore esempio lo si è avuto con lo spot governativo contro l’evasione fiscale, che ha suscitato i prevedibili commenti sarcastici sul governo Meloni che parla di lotta agli evasori mentre vanta il record dei condoni fiscali. Non si è notato così che lo spot contiene delle informazioni false. Anzitutto consolida il mito secondo il quale le principali imposte siano quelle sul reddito, dimenticandosi di quelle sui consumi ed in particolare delle accise sui carburanti. La seconda informazione falsa riguarda l’immagine dell’evasore fiscale, associata tout court alla figura del ricco privilegiato.
In realtà l’evasione fiscale è soprattutto una pratica del lavoro autonomo, quindi del ceto medio di professionisti, artigiani e bottegai. Tra gli “evasori fiscali” si possono annoverare anche i lavoratori in nero; e questo è un dettaglio che all’occorrenza viene sottolineato con maligno compiacimento da parte di esponenti della destra quando risulta utile per imbarazzare la sinistra. Le grandi imprese multinazionali invece non hanno bisogno di evadere il fisco, poiché possono permettersi di eluderlo. Avere la sede legale nel paradiso fiscale olandese non è neppure un’esclusiva dei grandi gruppi privati come Stellantis, Mediaset o Ferrero, ma è una scelta anche di imprese a partecipazione pubblica come ENI ed ENEL. In quanto maggiore azionista di ENEL e, tramite Cassa Depositi e Prestiti, anche di ENI, il Ministero Economia e Finanze elude il suo stesso fisco. Siamo alla barzelletta.
Ma c’è anche una terza falsità nello spot governativo, che infatti ripropone la solita narrazione in stile apologo reazionario di Menenio Agrippa sul corpo sociale in cui tutte le membra devono concorrere al “bene comune”; che poi, chissà perché, coincide sempre con quello dei ricchi. Questa concezione organica del corpo sociale, che ignora l’oppressione di classe dei ricchi contro i poveri, è diventata l’ideologia concessa in appalto alla cosiddetta “sinistra”. Ancora una volta è la destra a suggerire alla sinistra cosa deve pensare e professare, gonfiando il mito del fisco come strumento redistributivo a vantaggio dei poveri (la presunta “via fiscale al socialismo”); lasciando poi alla “sinistra” stessa l’incombenza di sciogliere inni di lode alle tasse e di propinare alle masse la fiaba secondo la quale i proventi fiscali si tradurrebbero in “servizi sociali”. Al contrario, la stessa Meloni si premura di farci sapere che la manovra finanziaria del governo si concentra sul destinare risorse pubbliche alle imprese, ovviamente alle “imprese che assumono”. Si tratta dell’ennesimo falso storico. Non c’è nessun nesso consequenziale tra sussidi governativi alle imprese e aumento dei posti di lavoro, semmai la storia e la cronaca dicono l’esatto contrario. ... Continua a leggere...
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