\\ Home Page
Benvenuto nel blog del COMIDAD:
Home Page
Non si può escludere in assoluto che dietro le esternazioni di Trump vi sia qualcosa di simile a una strategia, però al momento nulla lo conferma; semmai certi eccessi comunicativi farebbero sospettare il contrario. L’approccio dell’amministrazione Trump infatti presenta evidenti affinità con quelle tecniche di management per le quali ogni nuovo dirigente di un’azienda tende immancabilmente a presentare la sua persona come la cesura e il ponte tra un’epoca oscura di apatia, corruzione e incompetenza, ed una nuova era di luminosi destini. I toni messianici e palingenetici fanno parte ormai del comune bagaglio comunicativo di qualsiasi dirigente di SpA, di ASL, di municipalizzata o di istituto scolastico, così come ne fanno parte la tendenza ad insolentire i dipendenti e a trattarli come parassiti, le promesse di drastici repulisti e gli annunci di un caos rigeneratore. D’altra parte il caos non sempre riesce a prevalere sulla routine, per cui le aziende vanno avanti nonostante i loro dirigenti.
Assodato che il salvatore dell’umanità è il tipo più comune di essere umano, si potrebbe persino supporre che le attuali “vittime” di Trump stiano esagerando la sua minaccia e la sua presunta anomalia per accreditare a loro volta l’avvento di qualche altro messia designato a gestire la nuova emergenza ed a scongiurare la solita catastrofe incombente. Il mantra attuale è che la politica dei dazi di Trump stia facendo saltare il modello “mercantilista” dell’Unione Europea; un modello basato sul primato delle esportazioni rispetto al mercato interno. Ma si potrebbe anche ragionevolmente ritenere che la vera priorità fosse quella di deprimere il mercato interno non quella di esportare. Ciò spiegherebbe anche la spensierata disinvoltura con la quale le oligarchie europee si sono imbarcate nell’ultima avventura bellica, di cui erano scontati gli effetti devastanti sull’industria. Tre anni di calo incessante della produzione industriale hanno infatti determinato un 2024 di profitti record per le banche italiane e dell’eurozona, ribadendo ancora una volta che le sfortune dell’economia reale coincidono con le fortune della finanza. Quando c'era il quantitative easing, la BCE creava moneta per comprare azioni delle banche, mentre oggi la stessa BCE aumenta i tassi di interesse; in un modo o nell’altro le banche ci guadagnano sempre.
Del resto è ovvio, dato che muovere denaro risulta molto più facile e veloce che mobilitare lavoro e materie prime, per cui un prodotto industriale può richiedere anni di sforzi mentre un prodotto finanziario lo si allestisce in un attimo. L’Unione Europea è nata in funzione della mobilità illimitata dei capitali, quindi la deindustrializzazione ne era l’esito prevedibile; tanto è vero che anche le grandi imprese industriali si sono trasformate in finanziarie, ed hanno continuato a tenere su la finzione di stabilimenti e capannoni solo come alibi per ottenere fiumi di miliardi di sussidi governativi che finiscono per la gran parte in operazioni puramente finanziarie. Ogni riferimento a Stellantis ed alla sua banca è puramente casuale.
Dare soldi alle imprese “industriali” non blocca la deindustrializzazione e la finanziarizzazione, poiché quei soldi troverebbero un impiego molto più remunerativo in speculazioni di Borsa oppure in creazione di finanziarie per offrire prestiti. ... Continua a leggere...
Il 5 febbraio scorso Sergio Mattarella era all’Università di Marsiglia ad intrattenere l’uditorio sul pericolo costituito dalle politiche di “appeasement”. Paragonando la situazione attuale a quella precedente alla seconda guerra mondiale, Mattarella ha affermato che l’accordo firmato a Monaco nel 1938, che riconosceva ad Hitler il controllo dei Sudeti, fu un’illusione di pace, mentre un atteggiamento di fermezza avrebbe “probabilmente” evitato la guerra. Un “probabilmente” che ha una funzione puramente retorica e poggia sul nulla, dato che proprio nulla indica che nel 1938 la Francia e il Regno Unito fossero in posizione di forza nei confronti della Germania e neppure dell’Italia. Ambrose Bierce diceva che Dio ha inventato le guerre per costringere gli uomini a studiare la geografia, ed in effetti il mito dell’appeasement di Monaco si dissolve osservando la carta geografica e consultando un po’ una cronologia degli eventi storici.
Mussolini svolse il ruolo di mediatore dell’accordo di Monaco, che fu firmato nel settembre del 1938. In quel periodo l’Italia occupava militarmente l’isola di Maiorca con truppe, navi e aerei; e da quella posizione geografica non soltanto bombardava le posizioni repubblicane in Spagna, ma era anche in grado di minacciare il transito per Gibilterra, cioè la principale roccaforte della potenza britannica nel Mediterraneo. La guerra di Spagna si concluse nell’aprile del 1939, e solo allora le forze armate italiane e tedesche si ritirarono dal suolo spagnolo, cessando di insidiare Gibilterra. Non ci fu quindi nessun appeasement ma solo uno scambio. L’unica a rimetterci fu l’Italia di Mussolini. Con il Duce già ridotto ad alleato subalterno di Hitler, l’Italietta si ritrovò ad essersi svenata nella guerra di Spagna senza ricavarne nessun guadagno territoriale. Fu un esempio classico di passo più lungo della gamba o, come si dice adesso, del caso di una media potenza che va in overstretching.
Nel settembre del 1939 la Germania invase la Polonia, perciò Francia e Regno Unito entrarono ufficialmente in guerra contro Hitler, pur senza avviare operazioni militari. Nel frattempo, grazie alla opportunistica disponibilità del regime franchista, Londra era anche riuscita a garantirsi la neutralità della Spagna nel conflitto, quindi svanì ogni preoccupazione per Gibilterra. Il primo ministro britannico Chamberlain aveva siglato un accordo per lui vantaggioso a Monaco, poiché era riuscito a prendere tempo per rimuovere uno dei maggiori elementi di debolezza strategica per il Regno Unito. Successivamente però la figura di Chamberlain fu sacrificata alle esigenze della propaganda di guerra, infatti tutte le ricostruzioni storiche sulla politica di presunta pacificazione a Monaco evitano accuratamente di parlare della guerra di Spagna, di Gibilterra e di Maiorca. Forse Chamberlain non sarebbe stato d’accordo ad essere sacrificato e messo alla berlina, ma sta di fatto che fu costretto a dimettersi nel maggio del 1940 e morì nel novembre dello stesso anno. Ufficialmente la morte di Chamberlain fu attribuita a cause naturali, e tutti mostrarono di crederci, perché si era in Inghilterra, mica in Russia. ... Continua a leggere...
Spesso gli aspetti più interessanti di una vicenda non riguardano il merito della stessa, bensì i dettagli collaterali. In molti infatti si sono domandati il motivo per cui la Meloni nel suo spot vittimistico sul caso Almasri abbia falsamente affermato di aver ricevuto un “avviso di garanzia”, mentre invece si trattava di una semplice iscrizione nel registro degli indagati. Tra l’altro non esiste neppure un obbligo dell’autorità giudiziaria di comunicare tale iscrizione agli interessati; anzi, sta a chi teme un’eventualità del genere di attivarsi per averne notizia. Se non ci fosse stata di mezzo la competenza del tribunale dei ministri, forse la Meloni sarebbe rimasta tranquillamente ignara.
Non si trattava dunque di informazione di garanzia, ma anche se la Meloni avesse usato l’espressione corretta di iscrizione nel registro degli indagati, l’effetto di far indignare i suoi follower, e spingerli in un abbraccio ideale verso di lei, ci sarebbe stato ugualmente, poiché le sottigliezze della procedura penale non sono di universale conoscenza. I casi perciò sono due: o la Meloni ha mentito inutilmente, per pura abitudine e per riflesso condizionato, esponendosi altrettanto inutilmente ad essere sbugiardata; oppure la Meloni è la prima ad ignorare i risvolti della procedura penale e, imprudentemente, è corsa a cercare il calore dei suoi fan prima ancora di consultarsi con i suoi co-indagati Nordio e Piantedosi, i quali, pur non essendo delle cime, probabilmente masticano qualcosa di procedura penale. Potrebbe trattarsi quindi non di menzogna intenzionale o compulsiva, ma di banale cialtroneria. La Meloni avrebbe comunque la scusante di essere in buona compagnia nel consesso internazionale, dato che abbiamo appena visto Trump reclamare il possesso della Groenlandia. Evidentemente non era stato informato del fatto che gli USA già dispongono a piacimento della Groenlandia da tempo immemorabile; e neanche era a conoscenza del dettaglio che annettersela formalmente non sarebbe conveniente, poiché significherebbe addossarsi i costi della sua amministrazione; mentre oggi gli USA si trovano nell’ottimale posizione di fare i padroni in casa della Danimarca, lasciando però al “proprietario” l’onere di pagare il condominio e le bollette.
Alcuni osservano che la Meloni ha dimostrato notevole abilità di raccattare spostati e trasformarli in suoi idolatri; ma ora questo rapporto morboso con i suoi adoratori la sta condizionando oltre misura; infatti se nel caso Almasri la Meloni avesse evitato i proclami opponendo immediatamente il segreto di Stato, oggi avrebbe meno difficoltà. Sicuramente è così, ma è anche vero che appellarsi al segreto è un ossimoro, l’indizio di una falla nel sistema. La Meloni potrebbe avere motivo di recriminazione, ma non nei confronti dei magistrati, che stavolta non c’entrano nulla, bensì dei servizi segreti italiani. ... Continua a leggere...
La fintocrazia trova il suo momento più epico non nello scontro tra destra e sinistra, bensì nella diatriba tra politica e magistratura. La riforma Nordio va stranamente a coincidere con la ricorrenza della morte di Bettino Craxi, colui che una certa vulgata presenta come il martire più illustre del “colpo di Stato giudiziario” del pool di PM milanesi detto “Mani Pulite”; un golpe che sarebbe avvenuto tra il 1992 e il 1993. Purtroppo il gioco delle parti impone che questa narrativa non venga contrastata entrando nei dettagli storici, perciò all’immagine dell’esule perseguitato, rifugiatosi ad Hammamet come a suo tempo Giuseppe Mazzini, si contrappone l’altrettanto acritica versione sul latitante che sfugge ai processi per mazzette. Un articolo sul quotidiano online Linkiesta si compiace del fatto che il presidente Mattarella abbia scavalcato le timidezze nella rivisitazione della figura di Craxi per mettere in evidenza l’opera dello “statista”. Ovviamente siamo sul piano delle chiacchiere; infatti l’articolo si impantana in un calderone di considerazioni inconcludenti sugli esiti politici della fine di Craxi, infilandoci i fumi del “populismo” e persino Giuseppe Conte, il che è quanto dire.
Peccato che tredici anni fa proprio il quotidiano Linkiesta abbia pubblicato un articolo che, sebbene fuorviante nel titolo, riportava qualche fatto che smentisce l’attuale pantomima che si svolge sulle spoglie di Craxi. Il 29 aprile 1993 la Camera respinse la richiesta di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Il risultato di quel voto parlamentare suscitò la scontata indignazione dei media, ma, di fatto, lo “statista” era riuscito a salvarsi dalla “Giustizia” (oppure, se si preferisce, dalla “persecuzione giudiziaria”) grazie alle sue prerogative parlamentari e con un meschino discorsetto in cui se la cavava con un “così fan tutti”. Craxi dimostrava di non aver capito niente di quello che stava accadendo; cioè che il problema non era la corruzione in sé, bensì la transizione dalle cleptocrazie politiche locali alla cleptocrazia finanziaria sovranazionale basata sulla circolazione illimitata dei capitali. ... Continua a leggere...
|