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Pare che la bistrattata Italietta avrà modo di farsi valere nei prossimi anni. Grazie all’esperienza accumulata per circa un quindicennio dai nostri esegeti nel decodificare il senso recondito dei rutti di Umberto Bossi, oggi sarà per loro una passeggiata catturare i profondi messaggi annidati nelle insolenze di Donald Trump. Perché mai un presidente USA, pochi giorni prima del suo insediamento ufficiale, dovrebbe minacciare tre sue colonie (Canada, Danimarca e Panama) di prendersi con la forza dei territori che controlla già? La risposta ovvia è che Trump è un cialtrone e sta eccitando il suo pubblico facendogli credere di strappare con le minacce cose che in realtà si erano già ottenute da tempo. A proposito di Panama, occorre sottolineare che questo paese non è nuovo a fare da vittima all’esibizionismo fine a se stesso da parte degli USA. Nel 1989, appena un mese dopo la caduta del Muro di Berlino, il presidente Bush Senior festeggiò la vittoria nella Guerra Fredda bombardando e invadendo Panama con il pretesto di rimuovere dalla presidenza Noriega, cioè un uomo che era stato messo lì dagli stessi Stati Uniti e che aveva fatto carriera e fortuna grazie alla sua collaborazione con i traffici di droga della CIA. Ci sarebbe poi da spiegare il motivo per cui la rimozione di Noriega abbia comportato tante vittime tra la popolazione civile.
Probabilmente l’invasione di Panama del 1989 non aveva solo uno scopo auto-celebrativo; c’era infatti da rassicurare la lobby delle armi sul fatto che la fine della Guerra Fredda non avrebbe comportato una diminuzione degli affari, bensì un incremento. A conferma di ciò nel 1991 gli Stati Uniti coltivarono l’euforia da vittoria nella Guerra Fredda attaccando anche l’Iraq con il pretesto di ottenere il ritiro dal Kuwait. Il “bomb business” comporta di questi paradossi, come appunto quello di festeggiare le vittorie non cessando i bombardamenti bensì aumentandoli. Si è visto come, dalla caduta del nemico Assad, Israele abbia effettuato sulla Siria il maggior numero di missioni di bombardamento consecutive mai verificatosi nella Storia. Tutta questa pioggia di bombe è stata giustificata con il ridicolo pretesto di dover distruggere i depositi di armi dell’esercito siriano. Se quei mitici depositi di armi fossero esistiti davvero, come mai non se li sono presi gli USA, presenti anche loro in Siria, magari per mandare tutto in Ucraina? Come al solito gli israeliani presentano come obbiettivi strategici pianificati quelli che in realtà sono soltanto i bersagli a disposizione in quel momento. Se un paese ricorre ai bombardamenti una volta ogni tanto, allora avrà senso chiedersi il motivo per cui lo fa; ma se un paese sta a bombardare sempre (e sempre di più) vuol dire che è una pratica fine a se stessa.
Israele è come Trump, non deve essere preso sul serio nelle sue narrazioni, altrimenti si rischia a propria volta di perdere la possibilità di essere presi sul serio. Il maggior produttore di bombe è la multinazionale Boeing, che infatti ha un rapporto simbiotico con Israele ed in particolare col primo ministro Netanyahu; ciò a dimostrazione del fatto che non c’è solo la Israel lobby, cioè l’AIPAC, ma anche la lobby delle armi a sostenere le campagne di sterminio del sionismo. Le bombe sono come i vaccini: una merce ideale perché, volente o nolente, paga il contribuente; e, come i vaccini, anche le bombe possono essere spacciate a livello pubblicitario come la cura preventiva ad una malattia che non c’è ma potrebbe arrivare. ... Continua a leggere...
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In innumerevoli occasioni Matteo Salvini ha dimostrato di essere un improvvisato e uno sprovveduto. L’ulteriore conferma la si è avuta in queste ultime settimane, allorché Salvini si è ingenuamente intestato la paternità di un nuovo Codice della Strada che probabilmente non ha neanche letto. Quando “assumono la responsabilità di un dicastero” i cosiddetti ministri trovano l’agenda già tracciata dai lobbisti, che sono quelli che scrivono materialmente le leggi. Si può stare certi che anche l’ennesima finta resurrezione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina non sia farina del sacco di Salvini ma la pluridecennale operazione fraudolenta per spillare al contribuente soldi col pretesto di un ponte che non si ha neppure voglia di fare.
La cleptocrazia imperante si narra al pubblico e a se stessa come tecnocrazia, ma è costretta a confondere le acque con la fintocrazia, per cui spetta ai politici di turno esporsi e prendersi gli sberleffi per gli apparenti nonsensi. Con i suoi eccessi di enfasi Salvini ha però esagerato, attirando troppa attenzione; per cui si è notato immediatamente che il nuovo Codice della Strada ha due effetti pratici molto evidenti. Il primo effetto è quello di aumentare il potere e la discrezionalità delle cosiddette “forze dell’ordine” offrendo loro altri margini di abuso e corruzione. Rendere così incerto e aleatorio il risultato dei controlli tossicologici ai posti di blocco indurrà anche gli automobilisti più sobri a cercare di evitarli versando un “pedaggio” agli agenti.
Ma la licenza di estorsione rilasciata alle varie polizie è solo una faccia della medaglia, mentre l’altra riguarda il lobbying delle assicurazioni, che hanno trovato nel rischio di perdita dei punti e di ritiro della patente un nuovo campo d’affari. Allo stato attuale l’assicurazione per il rischio del ritiro della patente è già obbligatoria per le aziende. Si faccia caso al paradosso per il quale una politica che si dichiara per la tutela dell’ordine pubblico, e quindi dovrebbe diminuire i rischi, diventa invece un modo per aumentare i rischi e, di conseguenza, il business della copertura assicurativa degli stessi rischi.
Il lobbying è un dispositivo in funzione degli interessi affaristici e non degli “interessi economici”, poiché l’economia è un bel concetto nobile, che implicherebbe l’equilibrio. Al contrario, gli affari si avvantaggiano del caos e quindi ben venga il caos, grazie al quale ogni cittadino può diventare una preda e un pollo da spennare. Negli ultimi trenta anni la Scuola pubblica ha progressivamente perso le sue funzioni di istruzione e persino di trasmissione ideologica, mentre la sua principale attività consiste nella delegittimazione dei docenti. Nella pantomima tra destra e “sinistra”, tra “merito” e ”inclusione”, l’unico punto fermo è che la classe docente non è “adeguata”. L’aziendalizzazione della Scuola (dapprima veicolata col nome accattivante di “autonomia scolastica”) si è risolta appunto in un delegittimare i docenti e metterli in competizione tra loro. Un insegnante delegittimato non può istruire e neppure trasmettere ideologia. Nella Scuola pubblica degli anni ’80 e ’90 l’europeismo era diventato una religione civile, con tanto di pellegrinaggi come a Lourdes ed alla Mecca, cioè quel progetto Erasmus che oggi sopravvive come agenzia turistica ma che non suscita più il pathos di una volta, quando anno per anno agli studenti si faceva credere che sarebbero stati la prima generazione ad avere la cittadinanza europea. In epoca pre-Covid si era tentato goffamente di sostituire la palingenesi europeista con il catastrofismo del riscaldamento globale, proponendo Greta come modello alle giovani generazioni. Ma l’emergenzialismo ha appunto il difetto di consumare troppo presto le varie emergenze, per cui non si fa in tempo ad appassionarsi ad una che già ce n’è un’altra. Viviamo nell’epoca della cleptocrazia compiuta, perfetta; ma ciò comporta l’effetto collaterale di una crescente incapacità delle oligarchie di condurre una narrativa che non si auto-smentisca in continuazione; di qui la goffaggine e la smania censoria. ... Continua a leggere...
Dall’alto della sua saggezza il ministro dell’Economia Giorgetti ci ha fatto sapere che arrivare al 2% del PIL di spesa militare sarebbe un obbiettivo troppo ambizioso. In realtà tutta la questione della spesa militare è posta in termini piuttosto confusi, dato che il PIL non è un numero assoluto, cioè può crescere ma anche decrescere in caso di recessione economica; per cui fissare una percentuale non è di per se stesso indicativo di una precisa quantità di spesa.
Anche il segretario della NATO Rutte accentra il discorso sulle percentuali di spesa militare rispetto al PIL, da aumentare senza ritegno; magari ammiccando alla possibilità di sottrarre qualcosa al welfare. Ancora una volta si tratta di puro feticismo dei numeri, cioè di affermazioni vaghe che non hanno nessun valore programmatico. In termini di strategia militare occorrerebbe infatti stabilire preliminarmente quali sistemi d’arma servirebbero ed in quali quantità, ciò in rapporto alle dimensioni delle forze armate. Una strategia militare realistica inoltre non potrebbe permettersi di ignorare la questione della sostenibilità dei costi a lungo termine. Se i costi sfuggono al controllo, sarà la stessa strategia a sfuggire al controllo.
Se questi obbiettivi di spesa militare non hanno senso dal punto di vista strategico, ce l’hanno invece dal punto di vista del lobbying delle armi. Non c’entra la strategia militare ma la strategia di vendita: compra più armi e sarai felice. Il feticismo sui numeri percentuali di spesa militare implica un feticismo della merce-armi. L’ha detto esplicitamente anche Trump: spendete di più in armi rispetto al PIL, e poi ha aggiunto che bisogna comprargli pure il gas naturale. Nei suoi messaggi Trump adotta lo stesso feticismo degli europei per le percentuali, senza farsi mancare il feticismo americano per le minacce e i toni da gestore di racket. Ma tutto questo rientra nella ritualità fine a se stessa, dato che i paesi europei già comprano armi e GNL dagli USA, che però non hanno a lungo termine la capacità produttiva per soddisfare la domanda. La strafottenza delle oligarchie nostrane per le sorti dei propri popoli ha fatto loro guadagnare l'epiteto apologetico e celebrativo di “élite globaliste”, cosa che può falsamente suggerire che vi sia una capacità programmatica. In realtà si tratta semplicemente di bolle oligarchiche sradicate dai propri territori e che vivono alla giornata maneggiando soldi e superstizioni. ... Continua a leggere...
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