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"Propaganda e guerra psicologica sono concetti distinti, anche se non separabili. La funzione della guerra psicologica è di far crollare il morale del nemico, provocargli uno stato confusionale tale da abbassare le sue difese e la sua volontà di resistenza all’aggressione. La guerra psicologica ha raggiunto il suo scopo, quando l’aggressore viene percepito come un salvatore."

Comidad (2009)
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 06/03/2025 @ 00:05:29, in Commentario 2025, linkato 2615 volte)
Molti commentatori hanno ritenuto osceno il noto video pubblicitario di Trump sulla futura “Gazaland”; ed in effetti osceno è, ma nel senso tecnico del termine, in quanto va catalogato nel genere pornografico. Si tratta di tecnica pornografica non applicata alla rappresentazione del sesso, bensì di un altro oggetto del desiderio, in questo caso il denaro e gli affari; perciò anche il “superdotato” protagonista è un miliardario che esibisce la sua ipertrofia non nei genitali ma nella capacità di far soldi. Da sempre la comunicazione pubblicitaria ha fatto ricorso anche alla pornografia e le ha fatto da battistrada. Nei suoi spot l’attuale amministrazione statunitense esibisce in modo scurrile le sue priorità affaristiche non soltanto al di fuori dei canoni del politicamente corretto, ma anche oltre il consueto ritegno dei rapporti sociali e diplomatici. Non è la prima volta che la propaganda USA ricorre a forme di comunicazione estrema e fuori dalle righe. Nel 1986 il poeta sovietico Yevgeny Yevtushenko adoperò il termine “warnography” in merito alla produzione cinematografica hollywoodiana di argomento bellico. Yevtushenko si riferiva a film come “Alba Rossa” del 1984 e “Rambo 2” del 1985. Quei film rappresentavano la violenza in termini plateali e caricaturali, in linea col desiderio di rivincita militare che la frustrazione dell’esperienza vietnamita aveva lasciato in gran parte dell’opinione pubblica statunitense. Il presidente Reagan citò Rambo come suo modello, anche se facendo apparire le sue parole come estemporanee e fuori protocollo. Negli anni ’80 la narrativa statunitense sulla sconfitta in Vietnam consisteva infatti nel classico alibi “troppobuonistico”, cioè nel mantra: “abbiamo perso la guerra perché ci siamo fatti troppi scrupoli morali”.
Trump racconta una fiaba analoga alla “middle class” americana che si è impoverita drammaticamente negli ultimi trenta anni: “siete diventati più poveri perché i vostri governi hanno pensato prima agli altri e dopo a voi, e gli altri paesi se ne sono approfittati”. L’attacco di Trump all’USAID rientra anch’esso in questa narrativa, poiché la gran parte dell’opinione pubblica americana ignora che quell’agenzia governativa è una fabbrica di colpi di Stato all’estero, ma crede che davvero si occupi di aiuti allo sviluppo dei paesi più svantaggiati.
La narrativa interclassista di Trump ovviamente non la racconta come è realmente andata. L’imposizione del dollaro come moneta di pagamento internazionale favorisce le multinazionali finanziarie, ma tiene anche il valore del dollaro artificiosamente alto, per cui rende le merci americane meno competitive sul mercato estero e sul mercato interno. La scontata conseguenza è stata la deindustrializzazione e la delocalizzazione di molte produzioni. Ora Trump promette ai suoi follower di reindustrializzare gli USA facendo il “cattivo”. In realtà Trump, a parte un po’ di retorica sulle criptovalute, non fa nulla per togliere il dollaro dal trono di moneta degli scambi internazionali; anzi, minaccia i BRICS per il loro tentativo di servirsi del dollaro il meno possibile. La politica dei dazi di Trump potrebbe funzionare solo se contestualmente si rimuovesse il dollaro dal ruolo di moneta di scambio internazionale, ma di questa intenzione non c’è traccia.

Secondo Trump anche l’Unione Europea sarebbe nata apposta per fregare gli USA, ma l’evidenza storica è che l’UE si è approfittata della eccessiva valutazione del dollaro molto meno di quanto avrebbe potuto; infatti anche il valore dell’euro è stato tenuto artificiosamente alto, nonostante la moneta unica europea sia molto indietro al dollaro come mezzo di pagamento degli scambi internazionali. L’euro sopravvalutato ha deindustrializzato l’Europa un po’ meno di quanto il dollaro abbia fatto negli Stati Uniti, ma comunque l’ha deindustrializzata.
L’aspetto puramente narrativo e pubblicitario prevale anche nel caso dello strombazzato accordo di estrazione mineraria che dovrebbe compensare il denaro che l’amministrazione Biden avrebbe mandato all’Ucraina. Neanche in questo caso si sa di cosa si stia effettivamente parlando, cioè di quanto valga il sottosuolo di quel che rimane dell’Ucraina sotto il controllo di Kiev. Per Trump l’importante era di gratificare il suo pubblico umiliando l’accattone che per tre anni si sarebbe portato a casa i miliardi dei contribuenti americani mentre questi vedevano le proprie infrastrutture andare in pezzi. Non è certo però che lo spot dello scontro con Zelensky nello studio ovale della Casa Bianca abbia funzionato appieno, a parte che con i trumpiani “senza se e senza ma”. Zelensky ha recitato molto bene davanti alle telecamere il ruolo della vittima, facendo commuovere persino molti dei suoi critici. Zelensky sarà anche un “comico mediocre”, come dice Trump, ma è comunque un attore professionista, perciò non è stato saggio competere con lui davanti a un pubblico. A parte l’aspetto estetico, neppure il potere di ricatto della dirigenza ucraina va sottostimato. Alla mangiatoia degli “aiuti” all’Ucraina hanno attinto soprattutto l’amministrazione Biden ed i suoi clienti, ma non sarebbe realistico ritenere che i repubblicani si siano fatti mancare le occasioni di arricchimento personale. I congressmen americani hanno visitato più volte l’Ucraina in delegazione bipartisan. Tanto fervore di pellegrinaggi a Kiev potrebbe spiegarsi se si rivelasse cosa contenevano al ritorno i bagagli dei congressmen coperti da immunità diplomatica.
La banda Trump pensa di poter trattare l’Ucraina come un paese europeo qualsiasi, dimenticando che le milizie banderiste integrate nell’esercito ucraino oggi dispongono di armi sofisticate e di un addestramento al combattimento che deriva da tre anni di guerra vera. Immaginiamoci che fine farebbero contro le milizie banderiste i soldatini della NATO con la loro esperienza da parata e da “peace keeping”. Inoltre attualmente ci sarebbero cinque o sei milioni di profughi ucraini, dei quali circa un milione nella sola Polonia. Ci sarebbe da chiedersi quanti di questi profughi costituiscano “cellule dormienti” delle milizie banderiste, che un domani potrebbero impadronirsi di basi militari e persino di armi nucleari. Al di là delle insolenze di Trump e delle chiacchiere giornalistiche sulla “frattura” tra le due sponde dell’Atlantico, gli USA rimangono legati a filo doppio all’Europa finché ci tengono armi nucleari. Forse anche Trump crede che il problema della minaccia banderista possa essere risolto dai russi, i quali hanno proclamato il loro proposito di “denazificare” l’Ucraina. Lo spettacolo penoso dell’inconsistenza delle oligarchie euro-americane ha portato ad una distorsione ottica per la quale si mitizzano le capacità della dirigenza russa. Purtroppo l’esperienza siriana ha dimostrato che l’affidabilità dei russi è stata sovrastimata.
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Di comidad (del 27/02/2025 @ 00:05:51, in Commentario 2025, linkato 5556 volte)
Una svolta epocale non si nega a nessuno e sarebbe stato ingiusto escludere il neo-vicepresidente USA J.D. Vance dall’affollato club degli araldi di palingenesi. D’altra parte il famigerato discorso di Mattarella su Monaco ed il discorso di Vance a Monaco hanno qualcosa in comune, e cioè la struttura retorico-narrativa del ”siamo stati troppo buoni”, che è più significativa e costante dei contenuti o dei pretesti contingenti. Mattarella ha detto che nel 1938 a Monaco gli anglo-francesi si erano fidati ed il Terzo Reich si era approfittato di tanta ingenua disponibilità. Vance ha raccontato a sua volta che gli USA hanno finanziato l’Europa ma, nonostante tanta generosità, l’ingrata EU si è allontanata dai valori comuni, tanto da mettere addirittura in discussione la mitica “democrazia”. Vance ha comunque ammonito che ora “c’è un nuovo sceriffo in città”; solo che anche questa barzelletta è vecchia, e infatti sui luoghi di lavoro viene propinata ad ogni arrivo di un nuovo “manager”.
Sinora l’amministrazione Trump si è mossa soprattutto sul piano delle pubbliche relazioni cercando di vendere alla sua opinione pubblica una eventuale ritirata dall’Ucraina come un proprio successo ed una sconfitta della sola Europa. L’avvio del negoziato con la Russia viene attualmente fatto oggetto dello stesso tipo di pensiero magico con il quale è stata trattata la questione della guerra. Un negoziato può risultare complesso quasi quanto una guerra ed il fatto di voler trattare (ammesso che lo si voglia realmente) non comporta automaticamente la capacità di farlo. La posizione di Trump è infatti intrinsecamente schizofrenica. Da un lato si dice di voler allentare la tensione con la Russia, dall’altro lato si impone agli europei di comprare sempre più armi e più gas dagli USA, il che presuppone la permanenza delle tensioni con la Russia.
Il segretario della NATO, Mark Rutte, non si è fatto fuorviare dalle tante incognite del discorso di Vance, ha fatto finta di credere che tutto fosse chiaro ed ha propinato la soluzione preconfezionata, esortando gli europei a non lamentarsi di essere stati esclusi dal tavolo delle trattative di pace, ma di sforzarsi di contare di più per arrivarci. Il rimedio all’insignificanza dell’Europa ovviamente è di spendere di più in armi, anche per fare in modo da garantirne il flusso verso Kiev. Vance avrebbe portato la “svolta epocale”, però Rutte dice le stesse cose di prima e che ripeterebbe in qualsiasi caso.

Dal punto di vista dell’effettiva capacità militare le dichiarazioni di Rutte sono puro nonsenso, dato che le armi americane non hanno offerto una grande prova sul campo, mentre produrre in Europa richiederebbe preventivamente un ripensamento strategico per capire cosa occorre, e solo dopo stabilire il budget necessario. Il nostro zelante Rutte invece è un disco rotto; non soltanto Rutte recita continuamente e acriticamente il mantra dell’aumento delle spese militari sparando a casaccio percentuali di PIL, ma ci suggerisce persino dove trovare i soldi. Il tesoretto a cui attingere è sempre quello preferito dal “capitalismo reale” (alias assistenzialismo per ricchi), cioè il denaro pubblico. I governi dovrebbero finanziare gli acquisti di armi saccheggiando dalle risorse della sanità e della previdenza sociale. Il taglio delle pensioni viene sempre spacciato come la panacea di tutti i mali, il rimedio sovrano per ogni emergenza, passata, presente e futura; infatti fu così che da noi nel 2011 il governo Monti “salvò” l’Italia dal default finanziario. Adesso la stessa “cura” (il taglio delle pensioni) è chiamata a salvarci dall’invasione russa.
Forse la geopolitica è sopravvalutata; infatti Rutte ce l’aveva con i pensionati da molto prima di diventare segretario della NATO. Dal forum di Davos due anni fa Rutte se la prendeva con Francia e Italia, colpevoli, secondo lui, di eccessiva spesa pensionistica. All’epoca Rutte non aveva ancora rodato il pretesto della minaccia russa, per cui ammetteva tranquillamente che il suo obbiettivo era la privatizzazione della previdenza attraverso i fondi pensione. Altro che “tagliare”, qui si tratta di privatizzare una discreta quantità di contributi pensionistici.
Molti dicono che anche la Russia è europea, ma siamo nel campo delle opinioni; e poi non sarebbe neppure un gran complimento per la Russia. La vera questione è che appena si esce dalla suggestione della narrativa bellicista ci si accorge che le concrete possibilità di una guerra tra Unione Europea e Russia sono prossime allo zero, e forse anche meno. In compenso c’è la guerra vera che da parecchi decenni con ogni pretesto le oligarchie europee hanno dichiarato ai pensionati e in generale alle classi subalterne. Chi pensa che il problema dell’Europa sia il vincolo servile nei confronti degli USA, non ha preso sufficientemente in considerazione l’ipotesi che quello ed altri vincoli esterni siano soprattutto l’alibi per una guerra di classe dei ricchi contro i poveri.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


06/03/2025 @ 13:30:58
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