Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Dall’alto della sua saggezza il ministro dell’Economia Giorgetti ci ha fatto sapere che arrivare al 2% del PIL di spesa militare sarebbe un obbiettivo troppo ambizioso. In realtà tutta la questione della spesa militare è posta in termini piuttosto confusi, dato che il PIL non è un numero assoluto, cioè può crescere ma anche decrescere in caso di recessione economica; per cui fissare una percentuale non è di per se stesso indicativo di una precisa quantità di spesa.
Anche il segretario della NATO Rutte accentra il discorso sulle percentuali di spesa militare rispetto al PIL, da aumentare senza ritegno; magari ammiccando alla possibilità di sottrarre qualcosa al welfare. Ancora una volta si tratta di puro feticismo dei numeri, cioè di affermazioni vaghe che non hanno nessun valore programmatico. In termini di strategia militare occorrerebbe infatti stabilire preliminarmente quali sistemi d’arma servirebbero ed in quali quantità, ciò in rapporto alle dimensioni delle forze armate. Una strategia militare realistica inoltre non potrebbe permettersi di ignorare la questione della sostenibilità dei costi a lungo termine. Se i costi sfuggono al controllo, sarà la stessa strategia a sfuggire al controllo.
Se questi obbiettivi di spesa militare non hanno senso dal punto di vista strategico, ce l’hanno invece dal punto di vista del lobbying delle armi. Non c’entra la strategia militare ma la strategia di vendita: compra più armi e sarai felice. Il feticismo sui numeri percentuali di spesa militare implica un feticismo della merce-armi. L’ha detto esplicitamente anche Trump: spendete di più in armi rispetto al PIL, e poi ha aggiunto che bisogna comprargli pure il gas naturale. Nei suoi messaggi Trump adotta lo stesso feticismo degli europei per le percentuali, senza farsi mancare il feticismo americano per le minacce e i toni da gestore di racket. Ma tutto questo rientra nella ritualità fine a se stessa, dato che i paesi europei già comprano armi e GNL dagli USA, che però non hanno a lungo termine la capacità produttiva per soddisfare la domanda. La strafottenza delle oligarchie nostrane per le sorti dei propri popoli ha fatto loro guadagnare l'epiteto apologetico e celebrativo di “élite globaliste”, cosa che può falsamente suggerire che vi sia una capacità programmatica. In realtà si tratta semplicemente di bolle oligarchiche sradicate dai propri territori e che vivono alla giornata maneggiando soldi e superstizioni.
Gli oligarchi europei sono professionisti nel feticismo delle percentuali. Ormai ci siamo familiarizzati con le percentuali del tetto del 60% del rapporto debito-PIL e del tetto del 3% di deficit di bilancio. L’Unione Europea nasce con l’austerità incorporata in quelle simboliche percentuali, mitiche soglie invalicabili che però vengono spesso e volentieri valicate poiché non sono realistiche. Circolano varie leggende sulla nascita di quelle percentuali; ma il senso della loro esistenza si è precisato nel tempo; si trattava cioè di creare una pretestuosa emergenza finanziaria cronica per spremere i contribuenti, in modo da drenare risorse da indirizzare verso le multinazionali del credito.
Il feticismo delle percentuali ha una notevole funzione imbonitoria nell’europeismo, ed è scontato che ce l’abbia anche nel militarismo europeo. La dichiarazione di Giorgetti ha sottolineato ancora una volta la problematica compatibilità tra soglie di deficit di bilancio e di debito pubblico con le intenzioni di crescita della spesa militare. D’altra parte l’effetto suggestivo e pubblicitario delle percentuali consiste proprio nel suggerire una falsa sensazione di concretezza e serietà, creare un’illusione di precisione, laddove la precisione non può esserci, dato che la quantità da cui si preleverebbe la percentuale è per definizione variabile. Anche i disinfettanti d’ambiente vengono venduti con la promessa di eliminare il 99,99% dei germi, ma ciò appunto è pura suggestione dato che non ci dice nulla di definito sul numero di germi sopravvissuto in quello 0,01. Se la tecnica pubblicitaria è analoga, c’è comunque una differenza, in quanto il disinfettante è un prodotto concreto che può vantare una sua utilità.
La cleptocrazia europea deve invece camuffarsi da tecnocrazia per vendere pericoli immaginari e presunte catastrofi da scongiurare. Anche la casta sacerdotale europea impone sacrifici umani per scongiurare lo spegnimento del sole; ma le caste sacerdotali dei Maya o degli Aztechi detenevano almeno conoscenze astronomiche che potevano risultare utili per gestire il tempo delle semine, mentre oggi ci dobbiamo sorbire un Draghi che predica che se non ti vaccini muori e fai morire, e che devi scegliere tra la pace e il condizionatore. Ciò implica un doppio fallimento delle oligarchie della sedicente modernità: non soltanto non si è operata alcuna secolarizzazione e le superstizioni continuano a imperare, ma queste superstizioni galleggiano sul piano della mistificazione e della frode allo stato puro, senza più nessun aggancio a qualche competenza reale, come invece avveniva nel caso delle caste sacerdotali dell’antichità. Si è attualmente arrivati all’assurdo di considerare i conflitti di interesse e le porte girevoli tra carriere nel pubblico e nel privato come una garanzia di competenza; una volta legalizzata, la corruzione assume il titolo di competenza. Un segnale di strafottenza è che il feticismo delle percentuali sul PIL faccia più clamore dell’entità stessa del PIL, che invece comincia non solo a crescere poco ma anche a calare, soprattutto nella “locomotiva” tedesca. Sulla catastrofe mitologica di Putin a Lisbona si è determinata la catastrofe reale della deindustrializzazione della Germania.
Visto che il fallimento delle caste sacerdotali e la platealità delle loro frodi vengono ormai percepiti dalle classi subalterne, si propone alle masse un’altra superstizione, quella dei messia da strapazzo. Trump è stato il primo, ma oggi ci appare come un messia dilettante in confronto ad Elon Musk, che compie escursioni anche nella politica interna dei paesi europei. Il “Deep State” americano (il Pentagono, la NSA, la CIA) avevano creato un “deep capitalism” delle porte girevoli tra incarichi pubblici nelle agenzie federali e carriere private nelle multinazionali. Oltre alle porte girevoli ci sono anche i prestanome, cioè i vari Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg e, appunto, Elon Musk; quelli che da privati commercializzano le tecnologie e le informazioni elaborate dalle agenzie governative. Scherzosamente (ma neanche tanto) si potrebbe dire che anche i nomi di certi personaggi sembrano finti: Gates (cancelli), Jobs (lavori), Zuckerberg (montagna di zucchero), Musk (muschio), ma che ha una certa assonanza con Mask (maschera). Uno che nasce finto, come Musk, non ha neppure bisogno di ulteriori istruzioni dall’alto per continuare a fare il pagliaccio.
La tendenza ad etichettare come teoria del complotto qualsiasi perplessità venga espressa nei confronti delle versioni ufficiali non è l’effetto di superficialità o di casuali fraintendimenti, bensì rappresenta l’esigenza di difendere ad oltranza il mito secondo cui gli apparati del cosiddetto Stato potrebbero derogare dalla legalità soltanto attraverso preventive quanto complesse cospirazioni. In realtà la stessa nozione di Stato è molto labile e incerta, dato che nei fatti il potere scavalca le distinzioni giuridiche e risulta trasversale tra il pubblico e il privato, e soprattutto tra la legalità e l’illegalità. La mistificazione è talmente strutturale al sistema che non c’è nulla di necessariamente pianificato nel fatto che un potere in difficoltà ricorra pretestuosamente alle emergenze in generale ed all’emergenza terrorismo in particolare, poiché quest’ultima è la più facile da attuare e gestire. Il terrorismo è così salutare per il potere in ogni suo grado ed in ciascuna sua articolazione, che gli attentati possono essere il risultato di iniziative di singoli funzionari, perciò tutto può procedere per fatti compiuti e successivi adattamenti degli apparati ad un familiare e rassicurante meccanismo emergenziale.
Nel finale di questo 2024 il governo tedesco ha dovuto ammettere ufficialmente che l’economia è in recessione, e per un paese come la Germania ciò comporta effetti traumatici sul piano del prestigio interno e internazionale. Era meglio evitare di parlare di fallimenti industriali e dare invece al governo altri argomenti su cui creare pathos. Magari un attentato islamico risultava troppo banale e scontato, perciò qualcuno ha escogitato la trovata dell’attentato anti-islamico. Il presunto attentatore sarebbe un medico psichiatra, un immigrato di origine saudita, islamofobo, anti-immigrati e simpatizzante dell'AFD, o almeno così risulta dal suo sito. Ma l'AFD smentisce qualsiasi contatto. Questa è la disciplina teutonica: i neonazisti e gli anti-immigrati sono infatti scesi in piazza a protestare per bloccare e respingere l'immigrazione; i democratici progressisti potranno scendere in piazza a protestare contro l'islamofobia del simpatizzante AFD; i moderati potranno fare appello al governo per gestire il casino; il dominio vedrà rinforzato, appunto, il suo ruolo protettivo e soccorrevole. L’importante è che un potere screditato dal collasso della produzione industriale abbia potuto recuperare un ruolo assumendosi la missione di restaurare l’ordine violato.
Dieci anni fa si parlava di “Quarto Reich”, di una Germania che colonizzava la zona euro imponendole le sue austere regole di bilancio. Oggi ci ritroviamo invece una “Germanietta” con un governucolo guidato da un quaquaraquà come Scholz, che non riuscirebbe a farsi prendere sul serio neppure dal suo usciere. A questo punto risulta un po’ difficile continuare a sostenere la recita dell’Italietta spendacciona che sarebbe costretta suo malgrado a stringere la cinghia dall’austera Germania. A qualche malpensante potrebbe sorgere il dubbio che in tutti questi anni l’oligarchia nostrana si sia nascosta dietro la Germania per attuare un’austerità che va inevitabilmente a favore della concentrazione della ricchezza.
Contrariamente a ciò che si fa credere, quasi mai l’austerità ha comportato una diminuzione della spesa pubblica, bensì si è tradotta soprattutto in una stretta fiscale, particolarmente pressante sulle imposte indirette. Dal 1996 al 2021 le accise sulla benzina sono state aumentate sei volte da governi del centrodestra (i governi anti-tasse?!), due volte da governi di centrosinistra e tre volte dal governo Monti, cioè quello considerato “austero” per antonomasia. Il termine moralistico “austerità” si traduce appunto in aumento delle imposte indirette, cioè maggiore tassazione sui contribuenti poveri. Le accise sui carburanti rappresentano un caso evidente di spremitura fiscale dei più poveri, tassati anche per potersi trasferire al posto di lavoro, ed inoltre privati di potere d’acquisto, con effetto di caduta della domanda.
Come tutti i “liberisti”, in Argentina Milei è diventato presidente in base alla promessa di diminuire le tasse ed allo slogan che le tasse sono un furto. Sennonché, come tutti i “liberisti”, ha fatto esattamente il contrario, cioè ha aumentato le tasse trasferendo il maggior prelievo fiscale sulle imposte indirette ed in particolare sui carburanti. La stessa politica di austerità che abbiamo visto attuata da Monti, la sta facendo oggi Xavier Milei in Argentina, tanto da diventare il beniamino del Fondo Monetario Internazionale, cioè la maggiore lobby della finanza globalista. Se si rendono le persone talmente povere da non poter comprare nulla, è ovvio che l’inflazione diminuisca. Chi perde lavoro e salario a causa della recessione economica, non può farsene nulla della diminuzione dell’inflazione, mentre questa invece avvantaggia le banche e i fondi di investimento, che evitano di vedersi svalutare i propri crediti.
La stranezza è che dieci anni fa le destre si atteggiavano a sovraniste e sparlavano di Monti, che era la loro bestia nera, mentre invece piaceva ai quotidiani di “sinistra” come “Repubblica”. Adesso invece ad Atreju le destre stravedono per Milei e fingono di prendere sul serio il suo slogan secondo cui le tasse sono un furto. In base al solito gioco delle parti, ora le “sinistre” assumono la posa di storcere il naso e magari qualcuno dirà pure che le tasse sono belle e vanno pagate con gioia, così la commedia è completa. I media considerano di “sinistra” solo quelli che non si accorgono che il mitico “liberismo” è solo uno slogan per nascondere l’aumento delle tasse ai poveri. Per capire l’entità della mistificazione, basterebbe comparare lo spazio enorme che i media riservano alle frasi vuote e ad effetto come quella sulle tasse-furto, rispetto allo spazio infimo che invece concedono alle notizie concrete sull’aumento delle imposte indirette. Con una nuova operazione pubblicitaria, cambiando testimonial (dal sobrio loden di Monti alle basette da tamarro di Milei) si riesce a vendere lo stesso identico prodotto di marca FMI: l’austerità, cioè l’aumento della tassazione sui più poveri.
Si attribuisce spesso la vittoria di Milei alla particolare situazione argentina, dove esiste una fascia d’opinione pubblica ideologicamente ostile al peronismo, considerato populista e sprecone, e disposta ad abbracciare chiunque pur di liberarsene. Ovviamente la mitologia peronista è una cosa mentre la realtà è un’altra, dato che il presidente peronista Carlos Menem fece le stesse identiche cose che sta facendo Milei. Ma è pur vero che esistono avversioni ideologiche su basi puramente simboliche, che prescindono totalmente dai dati di fatto; in Italia abbiamo visto il Matteo Renzi agli esordi conquistarsi consensi sparlando di Bertinotti e D’Alema, personaggi a cui la destra attribuisce una simbolica valenza ostile nonostante la loro innocuità. Nel caso di Milei però è evidente che il personaggio è stato confezionato specificamente in chiave pubblicitaria per una platea internazionale. Il personaggio Milei rientra nella categoria dei Mastro Lindo, e infatti è anche lui provvisto del suo bravo simbolo fallico (la motosega).
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