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"La distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato. Ogni organizzazione di un potere politico cosiddetto provvisorio e rivoluzionario per portare questa distruzione non può essere che un inganno ulteriore e sarebbe per il proletariato altrettanto pericoloso quanto tutti i governi esistenti oggi."

Congresso Antiautoritario Internazionale di Saint Imier, 1872
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 19/09/2013 @ 02:58:27, in Commentario 2013, linkato 2101 volte)
Il caso siriano ha segnato quello che è forse il tramonto definitivo del pacifismo tradizionale, la cui caratteristica era di opporsi alla guerra, ma spesso senza demistificare la versione ufficiale dei fatti. L'aggressione di Bush all'Iraq nel 2003 vide una notevole mobilitazione pacifista, ma quel movimento non contestò sostanzialmente l'attendibilità della fiaba sulle presunte armi chimiche di Saddam. Si puntò invece sul "dare tempo" agli ispettori ONU, come se ci fosse davvero qualcosa da cercare, e magari una via diplomatica per risolvere la questione. La stessa ONU non cessava quindi di essere un punto di riferimento, anzi si sperava ancora che potesse costituire un elemento di garanzia del diritto internazionale contro il cosiddetto "unilateralismo" di Bush.
La differenza con la situazione attuale appare abbastanza evidente, dato che nessun oppositore all'aggressione contro la Siria ha ritenuto di affidarsi al responso degli "ispettori" ONU circa l'accusa ad Assad di aver usato armi chimiche. Una evoluzione di almeno una parte dell'opinione pubblica dal semplice pacifismo ad un più consapevole antimperialismo, appare oggi più realistica, poiché si è fatta strada una versione diversa dei fatti, che individua negli slogan umanitari un alibi per mascherare precisi progetti di destabilizzazione, saccheggio e genocidio.
Per molto tempo l'opposizione è stata più un atteggiamento ed uno stato d'animo, più uno slancio autoeducazionistico, piuttosto che una reinterpretazione degli eventi. Abbiamo avuto così un comunismo che si opponeva al "mercato" come se questo esistesse davvero, e non fosse soltanto uno slogan di copertura dell'assistenzialismo per ricchi. Ma abbiamo avuto anche un "antimperialismo" che, mentre contestava la pretesa statunitense di dominare il mondo, non faceva altro che rappresentare popoli "minorenni" e barbari, bisognosi appunto di tutela imperiale. Un film culto del 1962, "Salvatore Giuliano" - con la regia di Francesco Rosi e con la collaborazione di un genio della sceneggiatura come Franco Solinas -, può costituire un esempio preciso di quel modo di condurre un malinteso "impegno civile", cioè quella pretesa di opporsi al potere senza operare una demistificazione del potere. Al di là dei suoi notevoli meriti estetici, il film lascia infatti lo spettatore senza aver compreso nessuno degli interessi imperialistici che destabilizzavano la Sicilia degli anni '40, e il tutto viene ridotto ad una tragica, ma meschina, vicenda italiana, il cui messaggio si riduce in definitiva al razzismo nei confronti della Sicilia.
Il fatto che oggi si sia diffusa una maggiore consapevolezza antimperialistica, non significa comunque che i meccanismi dell'intossicazione informativa abbiano cessato di funzionare, come dimostra il perenne tentativo di riciclare l'immagine del Buffone di Arcore come campione dell'indipendenza energetica dell'Italia, e magari pure come fiero avversario dell'euro, tanto che avrebbe avuto già pronti in tasca i piani per l'uscita dalla moneta unica prima di essere abbattuto da un vile colpo di Stato.
Queste sciocchezze fanno da alibi non solo ad una destra "antagonista" priva di senso del ridicolo, ma soprattutto a quella finta sinistra che si fa un punto d'onore di non contestare nessuno dei capisaldi istituzionali del sistema coloniale sovranazionale, etichettando come "populismo" tutto ciò che si oppone a quel sistema. Se il Buffone era amico di Gheddafi e contro l'euro, allora vuol dire che Gheddafi era il mostro, e che l'euro deve avere qualcosa di buono. Che l'attuale tutela/sorveglianza del Fondo Monetario Internazionale sull'Italia sia stata sancita ed accettata nel novembre del 2011 dall'ultimo atto di governo del Buffone, rimane un dettaglio confinato nel dimenticatoio della Storia.
La politica energetica dei rapporti privilegiati con Putin e con Gheddafi fu invece lanciata in grande stile all'epoca del secondo governo Prodi, anche se allora, come per il successivo terzo governo del Buffone, l'attore vero della politica estera italiana fu esclusivamente l'ENI. Dagli anni '50 l'ENI è stato il soggetto attivo di un efficace "imperialismo debole", concorrenziale rispetto a quello delle grandi multinazionali energetiche. In questo suo ruolo internazionale, l'ENI era diventato spesso il punto di riferimento ed il collaboratore naturale di nazionalismi economici locali, bisognosi di assistenza tecnologica e di relazioni affaristiche.
L'aggressione della NATO alla Libia del 2011 è riuscita a liquidare non solo Gheddafi, ma anche quel ruolo politico internazionale dell'ENI. Oggi l'AD dell'ENI, Paolo Scaroni, cerca di minimizzare davanti ai media i danni inferti all'ente energetico italiano dalla guerra contro la Libia. Si ammette che la produzione è sì ripresa, ma mica tanto. E il calo drastico della produzione è solo l'aspetto più esteriore del problema, dato che qui si tratta della perdita del ruolo dominante dell'ENI in Libia.
L'attacco della NATO all'ENI, è stato seguito da analoghi attacchi da parte di istituzioni italiane. L'Antitrust nel 2011 inoltre ha imposto all'ENI di disfarsi della SNAM, le cui azioni sono state cedute ad un'altra società partecipata dal Tesoro, la Cassa Depositi e Prestiti. Tutto sembrerebbe rimanere in famiglia, e la Corte dei Conti plaude al rinvigorimento finanziario dell'ENI.
Di fatto la SNAM era per l'ENI una cassaforte non solo finanziaria, ma anche tecnologica, e soprattutto un suo passepartout internazionale per l'affare del secolo: i metanodotti. Oggi il ministro dell'Economia Saccomanni parla di cedere le quote ENI possedute dal Tesoro, e si paventa la svendita. Ma si sta già parlando di un ENI dimezzato e azzoppato.
Un'altra società del gruppo ENI, la SAIPEM è infatti da tempo oggetto di uno stillicidio, sia per le sue difficoltà commerciali che per la sua vulnerabilità ai ciclici attacchi in borsa. L'ultimo crollo azionario è del giugno scorso.
Nelle difficoltà della SAIPEM c'entrano anche le disavventure giudiziarie di una sua controllata dal 2006, la SNAM Progetti, finita sotto inchiesta per tangenti in Nigeria ed in Algeria. Tutti gli storici ammettono che il celebrato Enrico Mattei edificò la potenza mondiale dell'ENI sul potere delle mazzette, ma oggi per quegli stessi metodi si fa finta di scandalizzarsi, poiché, evidentemente, così viene ordinato.
Come già la guerra in Libia, anche l'aggressione della NATO contro la Siria va ad attaccare direttamente la posizione dell'ENI in quell'area; anzi, oggi è direttamente la SAIPEM a trovarsi al centro di un altro scandalo giudiziario per presunte tangenti al regime siriano. Le accuse, riportate in dettaglio dal settimanale "l'Espresso" si spingono ad ipotizzare una sorta di legame finanziario/affaristico stabile ed organico tra la SAIPEM ed alcune società siriane.
Si trattava di operazioni del tutto coerenti con il ruolo storico di "imperialismo debole" dell'ENI, ma oggi è proprio quel ruolo a trovarsi in fase di liquidazione da parte dell'imperialismo forte. Risulta significativo che a farsi giustizieri dell'ENI per conto della NATO, siano la magistratura ed un settimanale accreditato come di "sinistra"; lo stesso settimanale che nel 2012 aveva agitato un analogo scandalo riguardante un altro soggetto dell'imperialismo debole all'italiana, cioè Finmeccanica, accusata di fornire sofisticata tecnologia delle comunicazioni (il TETRA) al vituperato regime siriano. Si tratta delle normali tecniche di confusione del lobbying delle multinazionali, che usa spesso la "moralizzazione" o le "motivazioni umanitarie" per attaccare i propri concorrenti in affari.
 
Di comidad (del 12/09/2013 @ 02:16:33, in Commentario 2013, linkato 1986 volte)
Una settimana fa vi è stato l'ennesimo accordo, in funzione anti-FIOM, tra la FIAT ed il trio del sindacalismo giallo, CISL-UIL-UGL. Contestualmente l'AD della FIAT, Sergio Marchionne, ha lanciato ai media una dichiarazione circa la sua intenzione di investire un miliardo a Mirafiori, cosa che, secondo la grancassa ufficiale, dovrebbe garantire il futuro dello storico stabilimento. Il segretario della FIOM, Maurizio Landini, ha potuto facilmente dimostrare che, in effetti, non vi è nessun impegno concreto, e che la dichiarazione dell'AD appare del tutto strumentale ad ottenere il rinnovo delle cassa integrazione; quindi Marchionne potrà risparmiare sul costo del lavoro a spese del denaro pubblico, liberandosi ciclicamente di un po' di lavoratori e facendo lavorare di più quelli rimasti. La cassa integrazione come ulteriore versione dell'assistenzialismo per ricchi. Niente di nuovo.
La dichiarazione di Marchionne ha avuto il consueto seguito di commenti compiaciuti e celebrativi, a partire da quello del sindaco di Torino, Piero Fassino. Un commentatore che assume spesso atteggiamenti "spregiudicati", Stefano Feltri, ha spiegato questo fascino che Marchionne esercita su molti esponenti del Partito Democratico con quella sorta di brivido della trasgressione che prova un esponente della cosiddetta "sinistra" quando può esibirsi nel plauso ad un "capitalista". Ci sarà anche questo, ma l'ascendente esercitato da Marchionne risulta assolutamente trasversale agli schieramenti politici, e non esiste alcun sussiego da parte della destra nei suoi confronti. A ben vedere la credibilità - o credulità - di cui beneficia Marchionne, ha la stessa consistenza, e la stessa origine, di quella della fiaba sugli attacchi chimici di Assad. Alla base di tutto c'è l'obbedienza atlantica, cioè quella stessa obbedienza che ha indotto Enrico Letta a firmare un documento congiunto in cui si dava per scontato che Assad avesse usato armi chimiche. In fin dei conti si trattava di scegliere tra la parola di Assad e quella di Obama, ed è irrilevante il fatto che fosse Assad a dire la verità, tanto c'è sempre l'alibi che Assad è un "dittatore" o un "tiranno".
"Democrazia" e "dittatura" sono termini che non sfiorano neppure il livello di categorie ideologiche, ma rimangono allo stadio di slogan della propaganda. In realtà la monarchia pseudo-repubblicana della dinastia Assad risulta nei fatti molto meno totalitaria del Sacro Occidente, poiché si tratta di un tipo di regime che, neppure nell'esercizio della brutalità, è mai stato abbastanza potente da potersi permettere di fare a meno della mediazione sociale. Il regime coloniale NATO-FMI- multinazionali esprime invece una tale concentrazione di potenza militare, finanziaria e propagandistica da poter considerare la mediazione sociale come un'eresia; perciò la destabilizzazione sociale politica è diventata la pratica abituale di governo del cosiddetto Occidente dopo la fine del contrappeso sovietico.
La destabilizzazione e la miseria diventano occasione di business, ciò che Naomi Klein chiama "Shock Economy". Si distrugge un tessuto politico, sociale ed industriale e si crea terra vergine per le multinazionali. Oggi, ad esempio, la Libia "ufficialmente" produce sempre meno petrolio, perché le multinazionali possono darsi tranquillamente al contrabbando grazie all'assenza di ogni controllo. E quale sarebbe poi la risposta dell'attuale governo fantoccio della Libia al problema del contrabbando? Abolire le misure "populiste" di Gheddafi, come i sussidi alla popolazione per i carburanti e per gli alimentari. Così potranno dare i sussidi alle multinazionali.
Le multinazionali possiedono i media, perciò distruzione e destabilizzazione vengono denominate, a seconda dei casi, come "ingerenza umanitaria", "liberalizzazioni", "modernizzazione", "riforme strutturali", ecc. Ciò spiega anche come mai un deindustrializzatore alla Marchionne possa ancora presentarsi come un vittima o come un eroe, a seconda delle esigenze del momento. Sebbene esistano lontani precedenti di invaghimenti di Bertinotti per Marchionne, il divismo dell'AD svizzero-canadese è stato un'emanazione della leggenda personale di Obama, che lo ha eletto - o "unto" - salvatore della Chrysler, ovviamente a spese del contribuente americano (e soprattutto di quello italiano).
L'arma chimica di cui dispone Marchionne sta proprio nella protezione di Obama, o meglio, del lobbying multinazionale che presiede all'uno e all'altro. Il carisma di Obama è infatti piuttosto artificiale ed artificioso, e l'uomo si configura come una docile creatura del lobbying. Dietro Obama appare infatti la stessa ombra che caratterizza la carriera di Marchionne, l'ombra della multinazionale Altria-Philip Morris. Alcuni dei recenti provvedimenti "anti-tabacco" di Obama ricalcano infatti progetti di legge caldeggiati nel 2004 dal lobbying di Philip Morris per far fuori la concorrenza delle piccole case produttrici di tabacco.
Poco tempo fa si è riuscito a sapere anche di analoghi favori di Obama ad altre multinazionali del crimine, come Monsanto. Se Obama è un uomo del lobbying in senso lato, Marchionne è a tutti gli effetti un dirigente di Philip Morris, e la posizione del suo nome nell'Official Board della multinazionale esclude che si tratti di una carica puramente onorifica.
Magari si tratta di cose risapute, ma è utile ogni tanto ricordarsele, dato che i media ufficiali, e lo stesso Landini, si guardano bene dal diffonderle. Qui non si tratta genericamente di "capitalismo", ma di colonialismo a tutti gli effetti. In seguito all'aggressione operata nel 1999 da Clinton, dal 2003 la Philip Morris ha fatto della Serbia il suo feudo, anzi, la sua vacca da mungere. La destabilizzazione dell'area balcanica attuata dalla NATO, ha rotto ogni argine allo strapotere delle multinazionali. In cambio di un migliaio di posti di lavoro, la Philip Morris ha ottenuto dal governo serbo terreni, stabilimenti, sgravi fiscali e tariffari, e persino contributi ed incentivi.
Altrettanti benefici riscuote Marchionne in Serbia, dove la FIAT ha oggi il suo più attivo stabilimento, situato a Kragujevac. Il governo serbo praticamente "paga" i posti di lavoro versando a Marchionne diecimila euro ognuno. Visti i salari di trecento euro mensili che Marchionne elargisce agli operai serbi, il governo avrebbe potuto risparmiare un bel po' se li avesse erogati direttamente ai lavoratori. Dato che gli operai sono anche contribuenti, in pratica sono loro stessi a pagarsi il salario; ma, soprattutto, sono tutti i contribuenti poveri a pagare l'assistenzialismo del governo serbo a favore delle ricche multinazionali.
La Serbia è integrata nel mercato comune balcanico-russo-asiatico, quindi è anche un ponte per il mercato russo. Per favorire il passaggio del prodotto FIAT, il governo serbo è disposto a rinunciare ad ogni dazio doganale. La colonizzazione atlantica della Serbia è avvenuta con la benedizione di Putin, ed è augurabile che l'attuale vento di guerra fredda possa allentare la morsa sulla Serbia.
Nel frattempo gli operai serbi si aiutano da soli. Nel maggio scorso un episodio di sabotaggio nello stabilimento FIAT di Kragujevac è stato minimizzato dal "sindacato" interno, che lo ha attribuito ad un singolo operaio non identificato. Sempre per screditare l'episodio, si è detto che su alcune carrozzerie sarebbero apparse scritte razziste antitaliane. Ammesso che sia vero, non si potrebbe certo pretendere il "politically correct" da persone esasperate da tali soprusi. Persino se si trattasse di un'iniziativa del tutto individuale, indicherebbe comunque che si sta rispolverando lo strumento presindacale del sabotaggio, inevitabile ed indispensabile in un contesto di totale negazione dei diritti del lavoro.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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