Una settimana fa vi è stato l'ennesimo accordo, in funzione anti-FIOM, tra la FIAT ed il trio del sindacalismo giallo, CISL-UIL-UGL. Contestualmente l'AD della FIAT, Sergio Marchionne, ha lanciato ai media una dichiarazione circa la sua intenzione di investire un miliardo a Mirafiori, cosa che, secondo la grancassa ufficiale, dovrebbe garantire il futuro dello storico stabilimento. Il segretario della FIOM, Maurizio Landini, ha potuto facilmente dimostrare che, in effetti, non vi è
nessun impegno concreto, e che la dichiarazione dell'AD appare del tutto strumentale ad ottenere il rinnovo delle cassa integrazione; quindi Marchionne potrà risparmiare sul costo del lavoro a spese del denaro pubblico, liberandosi ciclicamente di un po' di lavoratori e facendo lavorare di più quelli rimasti. La cassa integrazione come ulteriore versione dell'assistenzialismo per ricchi. Niente di nuovo.
La dichiarazione di Marchionne ha avuto il consueto seguito di commenti compiaciuti e celebrativi, a partire da quello del sindaco di Torino, Piero Fassino. Un commentatore che assume spesso atteggiamenti "spregiudicati", Stefano Feltri, ha spiegato questo fascino che Marchionne esercita su molti esponenti del Partito Democratico con quella sorta di brivido della trasgressione che prova un esponente della cosiddetta "sinistra" quando può esibirsi nel plauso ad un "capitalista". Ci sarà anche questo, ma l'ascendente esercitato da Marchionne risulta assolutamente trasversale agli schieramenti politici, e non esiste alcun sussiego da parte della destra nei suoi confronti. A ben vedere la credibilità - o credulità - di cui beneficia Marchionne, ha la stessa consistenza, e la stessa origine, di quella della fiaba sugli attacchi chimici di Assad. Alla base di tutto c'è l'obbedienza atlantica, cioè quella stessa obbedienza che ha indotto Enrico Letta a firmare un documento congiunto in cui si dava per scontato che Assad avesse usato armi chimiche. In fin dei conti si trattava di scegliere tra la parola di Assad e quella di Obama, ed è irrilevante il fatto che fosse Assad a dire la verità, tanto c'è sempre l'alibi che Assad è un "dittatore" o un "tiranno".
"Democrazia" e "dittatura" sono termini che non sfiorano neppure il livello di categorie ideologiche, ma rimangono allo stadio di slogan della propaganda. In realtà la monarchia pseudo-repubblicana della dinastia Assad risulta nei fatti molto meno totalitaria del Sacro Occidente, poiché si tratta di un tipo di regime che, neppure nell'esercizio della brutalità, è mai stato abbastanza potente da potersi permettere di fare a meno della mediazione sociale. Il regime coloniale NATO-FMI- multinazionali esprime invece una tale concentrazione di potenza militare, finanziaria e propagandistica da poter considerare la mediazione sociale come un'eresia; perciò la destabilizzazione sociale politica è diventata la pratica abituale di governo del cosiddetto Occidente dopo la fine del contrappeso sovietico.
La destabilizzazione e la miseria diventano occasione di business, ciò che Naomi Klein chiama "Shock Economy". Si distrugge un tessuto politico, sociale ed industriale e si crea terra vergine per le multinazionali. Oggi, ad esempio, la Libia "ufficialmente" produce sempre meno petrolio, perché le multinazionali possono darsi tranquillamente al contrabbando grazie all'assenza di ogni controllo. E quale sarebbe poi la risposta dell'attuale governo fantoccio della Libia al
problema del contrabbando? Abolire le misure "populiste" di Gheddafi, come i sussidi alla popolazione per i carburanti e per gli alimentari. Così potranno dare i sussidi alle multinazionali.
Le multinazionali possiedono i media, perciò distruzione e destabilizzazione vengono denominate, a seconda dei casi, come "ingerenza umanitaria", "liberalizzazioni", "modernizzazione", "riforme strutturali", ecc. Ciò spiega anche come mai un deindustrializzatore alla Marchionne possa ancora presentarsi come un vittima o come un eroe, a seconda delle esigenze del momento. Sebbene esistano lontani precedenti di invaghimenti di Bertinotti per Marchionne, il divismo dell'AD svizzero-canadese è stato un'emanazione della leggenda personale di Obama, che lo ha eletto - o "unto" - salvatore della Chrysler, ovviamente a spese del contribuente americano (e soprattutto di quello italiano).
L'arma chimica di cui dispone Marchionne sta proprio nella protezione di Obama, o meglio, del lobbying multinazionale che presiede all'uno e all'altro. Il carisma di Obama è infatti piuttosto artificiale ed artificioso, e l'uomo si configura come una docile creatura del lobbying. Dietro Obama appare infatti la stessa ombra che caratterizza la carriera di Marchionne, l'ombra della multinazionale Altria-Philip Morris. Alcuni dei recenti
provvedimenti "anti-tabacco" di Obama ricalcano infatti progetti di legge caldeggiati nel 2004 dal lobbying di Philip Morris per far fuori la concorrenza delle piccole case produttrici di tabacco.
Poco tempo fa si è riuscito a sapere anche di analoghi favori di Obama ad altre multinazionali del crimine, come Monsanto. Se Obama è un uomo del lobbying in senso lato, Marchionne è a tutti gli effetti un dirigente di Philip Morris, e la posizione del suo nome nell'
Official Board della multinazionale esclude che si tratti di una carica puramente onorifica.
Magari si tratta di cose risapute, ma è utile ogni tanto ricordarsele, dato che i media ufficiali, e lo stesso Landini, si guardano bene dal diffonderle. Qui non si tratta genericamente di "capitalismo", ma di colonialismo a tutti gli effetti. In seguito all'aggressione operata nel 1999 da Clinton, dal 2003 la Philip Morris ha fatto della Serbia il
suo feudo, anzi, la sua vacca da mungere. La destabilizzazione dell'area balcanica attuata dalla NATO, ha rotto ogni argine allo strapotere delle multinazionali. In cambio di un migliaio di posti di lavoro, la Philip Morris ha ottenuto dal governo serbo terreni, stabilimenti, sgravi fiscali e tariffari, e persino contributi ed incentivi.
Altrettanti benefici riscuote Marchionne in Serbia, dove la FIAT ha oggi il suo più attivo stabilimento, situato a
Kragujevac. Il governo serbo praticamente "paga" i posti di lavoro versando a Marchionne diecimila euro ognuno. Visti i salari di trecento euro mensili che Marchionne elargisce agli operai serbi, il governo avrebbe potuto risparmiare un bel po' se li avesse erogati direttamente ai lavoratori. Dato che gli operai sono anche contribuenti, in pratica sono loro stessi a pagarsi il salario; ma, soprattutto, sono tutti i contribuenti poveri a pagare l'assistenzialismo del governo serbo a favore delle ricche multinazionali.
La Serbia è integrata nel mercato comune balcanico-russo-asiatico, quindi è anche un ponte per il mercato russo. Per favorire il passaggio del prodotto FIAT, il governo serbo è disposto a rinunciare ad ogni dazio doganale. La colonizzazione atlantica della Serbia è avvenuta con la
benedizione di Putin, ed è augurabile che l'attuale vento di guerra fredda possa allentare la morsa sulla Serbia.
Nel frattempo gli operai serbi si aiutano da soli. Nel maggio scorso un
episodio di sabotaggio nello stabilimento FIAT di Kragujevac è stato minimizzato dal "sindacato" interno, che lo ha attribuito ad un singolo operaio non identificato. Sempre per screditare l'episodio, si è detto che su alcune carrozzerie sarebbero apparse scritte razziste antitaliane. Ammesso che sia vero, non si potrebbe certo pretendere il "politically correct" da persone esasperate da tali soprusi. Persino se si trattasse di un'iniziativa del tutto individuale, indicherebbe comunque che si sta rispolverando lo strumento presindacale del sabotaggio, inevitabile ed indispensabile in un contesto di totale negazione dei diritti del lavoro.