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""Napoli" è una di quelle parole chiave della comunicazione, in grado di attivare nel pubblico un'attenzione talmente malevola da congedare ogni senso critico, per cui tutto risulta credibile."

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 11/07/2024 @ 00:07:10, in Commentario 2024, linkato 7045 volte)
Non c’è evento che non abbia qualche precedente storico, e ciò vale anche per la penosa esibizione di Joe Biden nel suo dibattito con Donald Trump. Nel 1984 l’allora presidente in carica, Ronald Reagan, affrontò in un primo dibattito il suo sfidante, Walter Mondale. In quella circostanza Reagan si dimostrò senile, impacciato, confuso e smemorato, con effetti di comicità involontaria, come quando attribuì le eccessive spese militari al cibo ed al vestiario. Nel secondo dibattito con il rivale Mondale la situazione si rovesciò a favore di Reagan, che si presentò vivace e pronto alla battuta; perciò a chi gli chiedeva se potesse essere un problema la sua età avanzata, Reagan rispose di non avere intenzione di usare a proprio vantaggio la giovinezza e inesperienza di Mondale. Al pubblico e ai media piacciono molto questi colpi di scena in cui lo sfavorito rovescia il pronostico, e con una grassa risata tutte le perplessità sullo stato mentale di Reagan furono resettate in un attimo.
Può darsi perciò che anche Biden, come il suo predecessore Reagan, si presenti “bombato” di anfetamine al prossimo dibattito con Trump e riesca a rimediare al primo disastro. Magari nel campo avverso qualche “double agent” sottrarrà le anfetamine a Trump e le parti si invertiranno con grande spasso del pubblico. Nel caso di Reagan la vicenda ebbe però un risvolto patetico, poiché il povero Ronald, una volta lasciato l’incarico, non andò a monetizzare la sua presidenza con i soliti giri di conferenze strapagate. In un paese di etica protestante come gli Stati Uniti si tiene molto al fatto che la corruzione sia al 100% legalizzata, perciò i presidenti non possono incassare tangenti mentre sono in carica. Agli ex presidenti è invece consentito di arricchirsi andando a riscuotere la percentuale per gli appalti elargiti; una riscossione che avviene attraverso i lauti compensi per le conferenze. La strana assenza di Reagan a questi tour milionari trovò una spiegazione nel 1995 con una pubblica dichiarazione sui sintomi di una sua malattia mentale, indicata ufficialmente come Alzheimer. A suo tempo però in molti sospettarono che Reagan stesse scontando i danni cerebrali dovuti agli eccessi farmacologici che gli avevano consentito quei suoi incredibili “risvegli”.

Il fatto che Biden si risvegli o meno, non toglie che il vero (anzi unico) problema sia un altro, e cioè che la figura istituzionale del presidente USA ha certamente una funzione nell’orientare il Congresso nella distribuzione degli appalti, ma non ce l’ha assolutamente nel determinare i rapporti internazionali. Il riscontro di questo dato risulta particolarmente evidente non quando i presidenti USA siano mentalmente incapaci, come Reagan o Biden, bensì proprio nei rari casi in cui il presidente risulti dotato di un po’ di lucidità. Attualmente in sede di Atlantic Council (una sorta di direttivo ideologico della NATO) si contesta a Barack Obama la sua tesi a proposito della Russia come “potenza regionale”. Questa dichiarazione di Obama venne considerata scortese a Mosca, ma addirittura perniciosa in ambito NATO in quanto sottovalutava le ambizioni imperiali di Putin. In realtà, da un punto di vista strategico, dire “potenza regionale” non comporta affatto sottovalutare la pericolosità, semmai il contrario. Se si spostano gli equilibri al confine di una potenza regionale, questa si sentirà messa con le spalle al muro e perciò sarà pronta a qualsiasi escalation militare pur di preservare interessi che considera esistenziali. Il dominio dell’escalation quindi non appartiene alla potenza globale, ma proprio a quella regionale, in quanto forza e debolezza non sono degli assoluti ma relativi al contesto ed al prezzo che si è disposti a pagare. Le obiezioni rivolte a Obama non hanno alcun referente oggettivo, ma si rifanno a considerazioni di carattere psicologico o a processi alle intenzioni. Secondo questa impostazione, basata sui viaggi nella mente dei “dittatori”, Putin ricorrerebbe o meno all’escalation in base al “timore” che avrebbe degli USA e delle armi che questi inviano ai loro proxy. Si arriva persino ad obiezioni grottesche, come quella secondo cui Putin non userebbe armi nucleari perché Xi Jinping lo avrebbe ammonito a non farlo. I detrattori della tesi di Obama non dicono mai se essi sarebbero disposti ad usare le armi nucleari per difendere l’Ucraina, ma si limitano a dichiarare che Putin bluffa. L’argomento di supporto a questa ipotesi è che la NATO ha già superato tante linee rosse e la Russia non ha reagito; ma erano le linee rosse immaginate dalla NATO, non quelle considerate tali dalla Russia.
Obama ha lo stesso standard etico di Antonio Razzi: l’importante era farci sapere che lui capisce le cose, poi se ne è andato tranquillamente ad arricchirsi e farsi i cazzi suoi. Il controsenso stridente della posizione di Obama è stato infatti nel comportamento della sua amministrazione. Se si sapeva che la Russia non si sarebbe fatta sopraffare rispetto ai suoi interessi regionali, allora non aveva senso strategico insidiare la sua posizione in Siria, dove ha una base navale a Tartus; e tantomeno annettere alla NATO l’Ucraina e la Georgia, paesi che Mosca non può lasciare al controllo di altri se non a prezzo di perdere l’accesso al Mar Nero. Il punto è che queste non sono scelte che riguardano il presidente, semmai gli apparati; o, per meglio dire, le lobby d’affari che gestiscono le agenzie governative.
I cosiddetti “neocon” oggi controllano il Dipartimento di Stato USA, l’Atlantic Council, la NATO e l’Unione Europea. Si tratta però di un controllo narrativo, che consiste in questo mantra: abbiamo sottovalutato la cattiveria dei “dittatori”, siamo stati troppo buoni, ci volevano più armi e molto prima. “Più armi” però non è una strategia, è uno slogan pubblicitario per le armi, e la narrativa che lo precede è uno spot. Ciò che non ha senso sul piano strategico, lo ha se si guarda al business delle armi ed al consumismo delle armi; ed il senso è ancora più chiaro se si presta attenzione all’intreccio tra pubblico e privato che caratterizza la lobby delle armi.
Quella pagliacciata detta “liberismo” predica uno Stato “minimo” che non si occupi di economia ma solo di difesa; poi si scopre che negli USA quel “minimo” è più di un trilione di dollari all’anno di spesa militare, cioè la quota di controllo dell’intera economia. In un articolo del luglio 2003 sul “Washington Post” il sistema della porta girevole delle carriere tra il Pentagono e le multinazionali delle armi come Lockheed Martin, viene addirittura difeso e celebrato come il migliore dei mondi possibili. Il sistema di conflitto d’interessi grazie al quale politici e pubblici funzionari passano a ben remunerate carriere nel privato, è stato infatti pienamente legalizzato, diventando un lecito intreccio d’interessi. La giustificazione è che la porta girevole assicura il passaggio di competenze e informazioni tra pubblico e privato, perciò insider trading e manipolazione del mercato non sono neanche più reati ma la condizione naturale. Talvolta può esservi qualche inconveniente, come quando Lockheed Martin ha fatto causa a Boeing, che avrebbe approfittato di uno di questi passaggi di informazioni. Ma si tratta di piccole beghe rispetto agli enormi vantaggi della porta girevole. L’articolo concludeva trionfalmente con l’affermazione che proprio grazie a questa corruzione legalizzata gli USA sono la prima potenza militare del mondo. La corruzione fa la forza.
 
Di comidad (del 18/07/2024 @ 00:05:02, in Commentario 2024, linkato 6708 volte)
Gli Stati Uniti sono certamente la più grande cleptocrazia della storia, un modello di riferimento per tutti gli altri paesi. Il sistema cleptocratico si è consolidato negli ultimi quarant’anni tramite i processi di deindustrializzazione e finanziarizzazione che hanno consentito alle oligarchie di sradicarsi da ogni contesto sociale e territoriale, diventando bolle autoreferenziali. Ciò ha reso superflua la mediazione politica, per cui i politici riescono a svolgere un ruolo soltanto se fanno parte di lobby d’affari, che sono trasversali al pubblico ed al privato, ed anche al legale e all’illegale. Le lobby d’affari comunicano con un registro imbonitorio e manipolatorio da televendita, quindi cercano di sfruttare simultaneamente tutte le pulsioni e le velleità del potenziale cliente. I popoli sono un po’ come degli schizofrenici dalle personalità multiple; cioè hanno propensioni culturali diverse che si sono succedute, dissociate e sovrapposte nel corso dei secoli. Il compito della politica dovrebbe essere quello di mediare, cercando di assecondare maggiormente quella personalità - quella tendenza culturale - che meglio corrisponda alle effettive possibilità di un dato momento. Le lobby d’affari invece non si pongono di questi problemi; anzi, dato che comunicano con una logica pubblicitaria, tendono ad attivare contemporaneamente tutte le pulsioni, anche le più contraddittorie. Per questo motivo oggi gli USA ci appaiono come un grande caso psichiatrico, nel quale le pulsioni imperiali, isolazioniste e palingenetiche (la “cancel culture”) si esprimono in una gigantesca cacofonia ed in una rissa permanente che spappola ogni mediazione politica.
Lo spettacolo sempre più squallido e cialtronesco offerto dagli Stati Uniti però può essere fuorviante, poiché rischia di sollecitare negli altri un illusorio senso di superiorità. Da certe schizofrenie invece nessuno è completamente immune. Vediamo oggi il Nord Italia affetto da una febbre separatista e transalpina, all’inseguimento del sogno di aggregarsi ad una sorta di grande Baviera, cioè la macroregione dell’Eusalp (EU Strategy for Alpine region). Tutto ciò si è espresso nella legge sull’autonomia differenziata, che al di là della sua indeterminatezza di contenuti, ha il senso certo di santificare la disuguaglianza tra le regioni.

In Italia la gerarchia tra regioni settentrionali e regioni meridionali è sempre esistita, ma la retorica unitaria si incaricava di dissimulare questa gerarchizzazione interna poiché sarebbe andata a confliggere con la proiezione imperialistica esterna. Oggi invece vediamo la stessa Italietta che, mentre rimette in discussione l’unità del paese con gli stessi argomenti e pretesti di quelli che una volta venivano etichettati come “austriacanti”, poi va a recuperare strategie imperialistiche che sembrano ripescate dall’epoca di Francesco Crispi, come il “mediterraneo allargato”. Il Mediterraneo diventa infatti un’opinione e può dilatarsi geograficamente fino all’Indo-Pacifico.
Non si tratta soltanto di elucubrazioni propagandistiche, dato che la Marina italiana sta partecipando con la sua portaerei “Cavour” ad un’esercitazione navale che coinvolge addirittura Australia e Giappone. Pare infatti che, a differenza della portaerei francese, la nostra funziona e sta persino a galla. Mentre dalla “De Gaulle” non decolla neanche un aeroplanino di carta, dalla “Cavour” partono pure gli F-35. Come ciliegina sulla torta, la “Amerigo Vespucci” ha organizzato il suo tour mondiale in modo da fare scalo alla fine di agosto a Tokyo, per combinare l’esercitazione navale con le pubbliche relazioni.
Alcuni spiegano questa nostra strana presenza nell’Indo-Pacifico col fatto che i soliti cattivissimi americani ce l’hanno imposto. Nei nostri ambienti politici e militari però non c’è rassegnazione, bensì euforia. Del resto gli americani sono quelli scappati da Saigon e Kabul aggrappati alle ali degli aerei, perciò spiegare tutto con un presunto timore nei loro confronti appare un po’ semplicistico. La NATO è certamente uno strumento della proiezione imperialistica degli USA; ma, almeno dagli anni ‘90 sotto il suo ombrello, si esprime tutta una serie di autonome velleità imperialistiche, o sub-imperialistiche, di altri paesi. Nel contesto dei vari revanscismi imperialistici non poteva mancare l’Italietta pacioccona e patetica col faccione del nostro “ministrone” Crosetto, che usa la sponda della NATO per allargarsi il Mediterraneo ad libitum. Adesso vogliamo pure aprirci a colpi di navi e droni un bel corridoio marittimo verso il Mar Nero, anche se nessuno ci stava dando fastidio, quindi è un bullismo preventivo. La Guerra di Crimea cominciò nel 1853 e, ufficialmente, terminò nel 1856; ci partecipò anche il Piemonte risorgimentale. In realtà sembra che quella guerra non sia mai finita, ed anche l’Italietta vorrebbe disputare qualche altro round nel Mar Nero.
Visto quant’è largo il Mediterraneo (arriva almeno fino all’Isola di Pasqua) una sola portaerei non poteva bastarci. Prima o poi la portaerei “Garibaldi” dovrebbe essere pensionata, perciò ce n’è già quasi pronta un’altra, la “Trieste”, per la quale si prevede la piena operatività entro la fine dell’estate. Stando così le cose, l’Italia alla fine dell’anno dovrebbe avere tre portaerei operative. Un po’ troppe per raccontarci che siamo le vittime dei protervi americani.
Non siamo solo noi a vivere di inesistenti glorie del passato, dato che l’attuale Polonia ha resuscitato un progetto del suo eroe nazionale, il generale Pilsudski; si tratta di quel polo imperiale alternativo alla Germania ed alla Russia detto “Intermarium”. Anche altre tesi di Pilsudski vengono riciclate dagli attuali leader polacchi; come, ad esempio, la “decolonizzazione” della Russia, accusata di soggiogare tuttora tanti popoli asiatici. Tutto vero, ma anche la Polonia di Pilsudski, emersa dalla prima guerra mondiale, inglobava al suo interno più di un terzo di popolazione non polacca. Ma, si sa, l’imperialismo è solo quello degli altri, mentre il nostro imperialismo lo chiamiamo “legittimi interessi”.
Attualmente la NATO ha il comportamento irresponsabile ed il linguaggio insolente di una baby gang; da alleanza pseudo-difensiva, la NATO negli anni ’90 era diventata sfacciatamente offensiva, per poi qualificarsi come una centrale di provocazione globale, per cui ora si è messa a molestare anche la Cina. L’incongruenza sta nel fatto che si incentiva costantemente il business delle armi, senza però più possedere il potenziale industriale per reggere un confronto militare con una vera potenza. La Svezia sta esprimendo appieno questa sintesi tra cleptocrazia militare e baby-imperialismo ludico e velleitario. Ciò spiega la smania dell’oligarchia svedese di aderire ufficialmente alla NATO, con la quale peraltro si era già integrata da almeno trent’anni. La Svezia fu scacciata dalle sue colonie baltiche da Pietro il Grande e adesso ci sarebbe la possibilità di regolare i conti con lo zar in carica. Pare che sia in atto lo scongelamento dell’Artico e quindi bisogna metterci le mani prima che lo facciano i russi; o almeno questo è il pretesto, poiché per le lobby d’affari non è mai chiara la distinzione tra strategia e spot pubblicitario.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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