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"Per la propaganda del Dominio, nulla può giustificare il terrorismo; in compenso la lotta al terrorismo può giustificare tutto."

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 28/09/2023 @ 00:19:43, in Commentario 2023, linkato 8009 volte)
Alcuni commentatori si domandano quale possa essere la sorte elettorale del governo Meloni in seguito al fallimento delle sue promesse di bloccare i flussi migratori. Lo scarso successo riscosso dalla Meloni in quel di Lampedusa era scontato, visto come se la passano gli abitanti del posto; ma ciò non comporta necessariamente delle ripercussioni negative sul piano elettorale a livello nazionale. La cosiddetta politica, con i suoi rituali elettorali, svolge oggi una funzione di intrattenimento del tutto staccata dalla realtà. Il governo “Meloni” non governa e non decide nulla, è completamente sotto tutela come i minori; quindi non è in grado di fare neppure quel pochissimo che sarebbe nella disponibilità di un governo “adulto”. La stessa Presidente del Consiglio è un personaggio che appartiene al regno della fiction, della pura narrativa. Come era già in parte successo anni fa anche col Buffone di Arcore, la “Giorgia” è stata “adottata” da una gran parte dell’opinione pubblica; anzi, il fenomeno ha assunto caratteristiche esasperate, per cui la cosiddetta “premier” è come l’eroina di una serie televisiva, una “Cinderella” che ha scalato l’alta società ed ha toccato il cuore dei potenti. Gli spettatori non guardano ai risultati bensì ai buoni sentimenti ed alla buona volontà che la loro Giorgia ci mette, ed anche alle belle figure che ci fa fare all’estero perché veste elegante e sa le lingue. C’è perciò il rischio che i fallimenti e le disavventure rendano Giorgia persino più simpatica al pubblico televisivo, dato che ci sarà sempre qualche “cattivo” a cui attribuire la colpa.
La narrativa mediatica in generale, il cosiddetto mainstream, ha ormai scarsi rapporti con la realtà. Le notizie che possono disturbare il quadro rimangono ai margini dell’informazione, ed anche quando riescono a filtrare, trovano comunque ad ostacolarle la sabbia mobile del politicamente corretto. Questa non è una semplice ideologia ma uno schema comportamentale, una corsa a conquistare il piedistallo morale in qualsiasi discussione. L’indisponibilità a ricevere nuove informazioni, fa in modo che queste vengano espulse e censurate in base a quello schema che in tempi lontani veniva riassunto nella frase “ha parlato male di Garibaldi”. Non ci si preoccupa di accertare se un dato modifichi il quadro, ma solo se “offenda” una delle “specie protette” in quel momento dal politicamente corretto, in modo da potersi indignare a comando. Accade così che tutta la narrazione sul fenomeno migratorio si riduca al paradigma della fuga dalla povertà e dalle guerre col dilemma tra accoglienza e respingimento, e con la pantomima della diatriba tra buonisti e cattivisti. Sono anni che le ricerche sociologiche mettono in evidenza il legame causale tra microfinanza e migrazione, cioè il fatto che il business del microcredito allo “sviluppo” crei fenomeni di sovraindebitamento che obbligano a cercare una via di scampo nella migrazione, poiché solo se si guadagna qualcosa in monete forti come l’euro, si potrà sperare, grazie al cambio di valuta, di ripagare i debiti e di mantenere la famiglia. Si dovrà quindi contrarre un nuovo debito per affrontare le spese del viaggio, così come il giocatore spera di rimettersi in pari dalle perdite con una nuova scommessa. Un punto di riferimento in queste ricerche è l’opera di Maryann Bylander, docente di sociologia presso il “Lewis and Clark” College di Portland.

Soggetti sociali poveri, o poverissimi, come sono i migranti risultano perciò iper-finanziarizzati, sono il target di una serie di servizi finanziari che vanno dai piccoli prestiti sino al trasferimento in patria delle rimesse. Per il 2022 la Banca Mondiale ha calcolato che il volume delle rimesse dei migranti ammonta a 630 (seicentotrenta) miliardi di dollari, quindi c’è stato parecchio da “scremare” con le commissioni bancarie sui trasferimenti di valuta e con gli interessi sui prestiti. Sopra il migrante la banca campa.
In questo processo di “banchizzazione” delle masse povere non poteva mancare il ruolo del filantro-capitalismo del non profit, cioè le mitiche ONG. Il ruolo salvifico di queste organizzazioni umanitarie non è solo quello di tassisti del mare, ma anche di diffusori del Vangelo del microcredito che, secondo il mantra ufficiale, solleva dalle miserie e consente di avviare una piccola attività “imprenditoriale”. In realtà si tratta di lavoratori con la partita IVA che si assumono i rischi d’impresa, ma che di fatto rimangono dei dipendenti.
Nelle ricerche sociologiche la microfinanza non ha un’altissima considerazione, mentre invece continua ad averla nelle sedi che contano, cioè le grandi istituzioni finanziarie, come la Banca Europa di Investimenti. Questa ci racconta mirabilie sugli effetti di contrasto alla povertà che il microcredito avrebbe avuto in un paese africano come la Costa d’Avorio, consentendo la nascita di tante piccole “imprese”. La mitologia di riferimento per questa epopea imprenditoriale è quella delle solite icone cioè i grandi prestanome delle lobby d’affari trasversali al pubblico ed al privato: Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg; come se fossero davvero modelli da poter imitare e non degli spot pubblicitari viventi.
La realtà infatti è che queste piccole esperienze cosiddette imprenditoriali finiscono nella ragnatela dei sub-sub-subappalti nell’ambito dei processi di “esternalizzazione” (outsourcing) della produzione delle imprese occidentali. Il caso di Nike, azienda “vuota” che esternalizza e subappalta tutta la sua produzione è conosciutissimo, ma non si tratta soltanto di settori a bassa tecnologia come il calzaturiero ed il tessile. Oggi anche la produzione informatica e metalmeccanica viene esternalizzata e subappaltata in paesi come la Costa d’Avorio ed il Senegal. Il risultato è che una pletora di micro-pseudo-imprese è costretta a farsi una feroce concorrenza al ribasso, riducendo all’osso i costi, finché non si può più reggere.
Sarà una sfortunata coincidenza, ma la Costa d’Avorio, un paese senza guerre e con una buona crescita del PIL, è diventata una delle principali aree di emigrazione dall’Africa verso l’Europa. Magari il sovraindebitamento c’entra qualcosa; perciò invece di raccontare fesserie sui blocchi navali, bisognerebbe cercare di azzerare il sovraindebitamento e di mettere al bando la microfinanza. Il nostro governo, come tutti i governi europei, è un promotore del business del microcredito ed ovviamente anche delle esternalizzazioni dei processi produttivi. Comunque Giorgia ha ragione: dare la caccia ai mitici “scafisti” (ammesso che esistano davvero) per tutto “l’orbe terracqueo”, è molto meno rischioso che disobbedire ai banchieri, che notoriamente sono vendicativi.
Investire in microfinanza è un business sulla pelle dei poveri, ma non è affatto un business povero; anzi, consente altissimi profitti con bassissimi rischi, poiché l’insolvenza dei debitori arriva soltanto dopo che hanno già pagato tanto in termini di interessi. Il microcredito è il vero “Big Brother” del nostro tempo, ed è avvantaggiato da costi di gestione irrisori; perciò nessun investimento industriale può pensare di rivaleggiare. La deindustrializzazione del Sacro Occidente non è un casuale accidente, bensì l’effetto della sempre minore competitività dell’investimento industriale rispetto alla finanza. Secondo la vulgata, la finanza dovrebbe costituire uno dei motori dello sviluppo industriale, mentre invece si dimostra un fattore di deindustrializzazione. La finanziarizzazione riguarda persino il pensiero, per cui si perde il senso delle priorità e ci si preoccupa dell’entità del debito pubblico, mentre il problema è che non c’è più la base industriale per ripagarlo; anzi, manca la capacità produttiva per fare qualsiasi cosa.
L’abitudine al capitalismo vessatorio e bullistico sulla pelle dei debolissimi, ha determinato un crescente distacco delle oligarchie occidentali dalla “durezza del vivere”, come avrebbe detto Padoa Schioppa buonanima. Vediamo perciò che una NATO viziata dalla vita comoda si è cacciata in avventure di imperialismo/militarismo iper-aggressivo e bullistico senza un adeguato retroterra industriale a supporto. Pare però che se ne stiano accorgendo. In uno spassoso articolo di qualche settimana fa sul “New York Times”, tra un’arrampicata sugli specchi e l’altra, si constatava che la retrograda, sprovveduta e sanzionatissima industria pubblica russa riesce da sola a produrre più del doppio in termini di armamenti di tutto il Sacro Occidente messo assieme, nonostante la Russia riservi alla spesa militare una piccola frazione di ciò che spendono gli USA.
 
Di comidad (del 21/09/2023 @ 00:34:13, in Commentario 2023, linkato 7997 volte)
In un suo vecchio film Woody Allen raccontava di come la ragazza lo avesse lasciato poiché lui voleva farle ciò che il presidente Eisenhower aveva fatto per otto anni al popolo americano. In effetti Dwight Eisenhower, soprannominato affettuosamente “Ike”, si è fatto onore sino alla fine, ed alcune sue clamorose prese per i fondelli incontrano tuttora un notevole successo di critica e di pubblico. Nel suo discorso di commiato del gennaio 1961, il vecchio Ike lanciò un allarme sul pericolo per le istituzioni democratiche rappresentato dal “complesso militare-industriale”. Quel discorso è considerato oggi una sorta di testamento spirituale; ma in concreto ha lo stesso valore della predica di un nonno che dice al nipotino di stare attento perché là fuori c’è brutta gente.
Sembra che molti presidenti americani si divertano a passare da zimbelli che si sono fatti sfuggire la situazione di mano; infatti con quel discorso Ike ha inventato un “genere” che è stato frequentato anche da altri ex presidenti, sebbene con minore fama e fortuna presso i posteri. Nel dicembre del 1963, in un articolo sul “Washington Post”, anche Harry Truman lanciò un ammonimento al popolo americano, denunciando la deriva in cui era caduta la sua creatura, la Central Intelligence Agency. Truman affermava di aver fondato la CIA esclusivamente per fare in modo che il presidente avesse a disposizione tutte le informazioni, anche le più spiacevoli, e non per creare una banda che girasse per il mondo per allestire operazioni di “cappa e spada” ; era evidente l’allusione alla fallita incursione alla Baia dei Porci del 1961, organizzata durante la presidenza Eisenhower e lanciata durante la presidenza Kennedy. Secondo Truman occorreva riportare la CIA alle sue funzioni originarie di intelligence. Le soluzioni offerte da Truman per controllare la CIA, erano però talmente vaghe e innocue che la stessa CIA può esibire quell’articolo sul proprio sito.
Una ricercatrice del Boston College, Lindsey O’Rourke, nel 2018 pubblicò un testo sulle operazioni, coperte o scoperte, di “regime change” lanciate dagli Stati Uniti dal 1947 in poi. Per la sua notevole e precisa documentazione, il testo della O’Rourke ha incontrato molti riconoscimenti in ambito accademico ed è considerato un punto di riferimento per le ricerche sulle relazioni internazionali. La O’Rourke ha calcolato sessantaquattro operazioni di cambio di regime perpetrate dagli USA. Nella maggior parte dei casi queste operazioni di cambio di regime sono fallite, o immediatamente, oppure a distanza di tempo. Lo spot pubblicitario con cui queste operazioni vengono giustificate è sempre quello del far saltare il tappo della dittatura che teneva compresso lo champagne della democrazia; ma, al di là delle fiabe da pubbliche relazioni, il fallimento delle operazioni di “regime change” riguardava soprattutto il non riuscire ad istituire governi vassalli oppure a mantenerli a lungo. Queste operazioni di "regime change" inoltre causano conflitti sanguinosi ed ottengono l’effetto di alimentare l’ostilità verso gli USA, persino da parte di coloro che inizialmente ostili non erano.
La O’Rourke tenta alcune analisi motivazionali su questa gestione “irrazionale” della politica estera statunitense. Il discorso potrebbe però essere spostato sull’aspetto funzionale e finanziario. Il dato interessante in queste operazioni di destabilizzazione di regimi stranieri è che l’impegno delle forze armate o della CIA non è necessariamente diretto o immediato. La gran parte del lavoro di "regime change" è svolta infatti da fondazioni private, cioè dal filantro-capitalismo. Può risultare fuorviante soffermarsi troppo sui casi straconosciuti della Open Society Foundation di Soros o della Rockefeller Foundation; non perché non siano attinenti al tema (tutt’altro), bensì perché fissarsi sui soliti nomi rischia di far perdere di vista la vastità, profondità e prolificità del fenomeno del non profit in funzione della “promozione della democrazia”. L’ex segretario della NATO Anders Rasmussen, appena lasciato il suo prestigioso incarico pubblico, ha trovato modo di far fruttare la propria esperienza. Gli è bastato mettere su una fondazione non profit per la diffusione della democrazia nel mondo, “Alliance of democracies”. Il percorso di Rasmussen è analogo a quello di altri funzionari della NATO o della CIA, che, una volta lasciata la carriera pubblica, si sono messi a gestire capitali privati attirati dalla prospettiva di non pagare tasse grazie alla patente dell’intento filantropico e democratico.
Promuovere democrazia nel mondo è infatti un business esentasse, un paradiso fiscale, e ciò spiega perché le sedicenti élite del Sacro Occidente siano sempre così idealiste e progressiste. Ad esempio, il NED (National Endowment for Democracy) opera in Africa convogliando investimenti privati in stile neocoloniale. La differenza sta appunto nel fatto di individuare dei “nemici della democrazia” da esorcizzare, in questo caso i cattivi che infettano l’Africa sono Russia e Cina. Per certi versi si tratta di una riedizione del colonialismo classico, in quanto ONG e fondazioni sono come i missionari dell’800 che preparavano il terreno ai colonialisti armati. Adesso il Vangelo da diffondere è quello della democrazia e dei diritti umani; ed anche quello della mitica Scienza occidentale, un richiamo della foresta che ha aggregato gran parte della sinistra “antagonista”, che ha fatto propria la fiaba secondo cui le masse povere del mondo stavano in ansiosa attesa dei nostri salvifici vaccini.
Se si fosse trattato soltanto di affari ci avresti dovuto pagare le tasse; ma se, oltre a fare affari, giri per il mondo a diffondere democrazia (cioè a destabilizzare e fomentare guerre civili), allora sei autorizzato ad eludere il fisco. Mille anni fa partecipare alla guerra santa ti garantiva il paradiso cristiano, mentre oggi ti garantisce il paradiso fiscale. Finché diffondere democrazia sarà così redditizio, non ci sarà motivo per le “élite” occidentali di rinunciare al loro idealismo. Ovviamente l’imperialismo occidentale è un fenomeno articolato e non può essere ricondotto al solo filantro-capitalismo non profit. Ma, in base ai classici del liberalismo come Locke e Montesquieu, fisco e politica sono due nomi per la stessa cosa; si tratta cioè di decidere a chi e su cosa far pagare più tasse, ed a chi e su cosa farne pagare meno; o non farne pagare affatto. Nel Sacro Occidente l’attività di destabilizzare altri paesi è una delle più agevolate sul piano fiscale, ti spalanca il paradiso fiscale. Non a caso, una ONG non profit come “Freedom House” (quella che ha preso di mira il Venezuela) è diventata un gigantesco collettore di denaro pubblico e privato; infatti prende soldi dal Dipartimento di Stato USA e da vari governi occidentali, poi ci sono fiumi di “donazioni” private. Tutti i dati sul finanziamento sono orgogliosamente esibiti sul sito di “Freedom House”.
Grazie all’emergenza del riscaldamento globale si sono prospettate nuove crociate che aprono spazi inediti al non profit, come si è visto nel caso dell’Ikea. La “multinazionale svedese” del mobilio è in realtà una fondazione non profit olandese, che si è procurata una quasi completa immunità fiscale in nome della guerra al cambiamento climatico. Forse in futuro tutte le multinazionali si struttureranno come fondazioni non profit di beneficienza, e si realizzerà pienamente quel ”potere dei buoni” profetizzato da Giorgio Gaber. L’imperialismo del non profit è l’indizio rivelatore di un Occidente organicamente strutturato in funzione guerrafondaia; la guerra santa, la crociata, non sono semplici ideologie di copertura, bensì paradigmi sociali e pre-ideologici, schemi emozionali ed aggregativi, in cui convogliare i buoni sentimenti e trasformarli in pulsioni aggressive. Magari si scopre che dai tempi di Goffredo di Buglione la mitica civiltà occidentale non ha fatto passi avanti. Non ha senso quindi rifugiarsi nella fiaba rassicurante del “melamarcismo”, cioè l’illusione che ci sia stata una deviazione da un percorso che altrimenti sarebbe stato retto e illuminato. Per non farsi stanare, il politicamente corretto si è creato il suo ultimo e inespugnabile bunker nei mantra del melamarcismo: come siamo pacifici noi occidentali, peccato che si sia formato quel bubbone del complesso militare-industriale; come siamo buoni noi occidentali, però che disgrazia quella CIA che ha deragliato dallo spirito originario. Ammesso che Putin sia il nuovo Hitler, il problema vero è che senza i nuovi Hitler il Sacro Occidente andrebbe in crisi d’astinenza.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


17/05/2024 @ 11:37:02
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