In un suo vecchio film Woody Allen raccontava di come la ragazza lo avesse lasciato poiché lui voleva farle ciò che il presidente Eisenhower aveva fatto per otto anni al popolo americano. In effetti Dwight Eisenhower, soprannominato affettuosamente “Ike”, si è fatto onore sino alla fine, ed alcune sue clamorose prese per i fondelli incontrano tuttora un notevole successo di critica e di pubblico. Nel suo
discorso di commiato del gennaio 1961, il vecchio Ike lanciò un allarme sul pericolo per le istituzioni democratiche rappresentato dal “complesso militare-industriale”. Quel discorso è considerato oggi una sorta di testamento spirituale; ma in concreto ha lo stesso valore della predica di un nonno che dice al nipotino di stare attento perché là fuori c’è brutta gente.
Sembra che molti presidenti americani si divertano a passare da zimbelli che si sono fatti sfuggire la situazione di mano; infatti con quel discorso Ike ha inventato un “genere” che è stato frequentato anche da altri ex presidenti, sebbene con minore fama e fortuna presso i posteri. Nel dicembre del 1963, in un articolo sul “Washington Post”,
anche Harry Truman lanciò un ammonimento al popolo americano, denunciando la deriva in cui era caduta la sua creatura, la Central Intelligence Agency. Truman affermava di aver fondato la CIA esclusivamente per fare in modo che il presidente avesse a disposizione tutte le informazioni, anche le più spiacevoli, e non per creare una banda che girasse per il mondo per allestire operazioni di “cappa e spada” ; era evidente l’allusione alla fallita incursione alla Baia dei Porci del 1961, organizzata durante la presidenza Eisenhower e lanciata durante la presidenza Kennedy. Secondo Truman occorreva riportare la CIA alle sue funzioni originarie di intelligence. Le soluzioni offerte da Truman per controllare la CIA, erano però talmente vaghe e innocue che la stessa CIA può esibire quell’articolo sul proprio sito.
Una ricercatrice del Boston College, Lindsey O’Rourke, nel 2018 pubblicò un testo sulle
operazioni, coperte o scoperte, di “regime change” lanciate dagli Stati Uniti dal 1947 in poi. Per la sua notevole e precisa documentazione, il testo della O’Rourke ha incontrato molti riconoscimenti in ambito accademico ed è considerato un punto di riferimento per le ricerche sulle relazioni internazionali. La O’Rourke ha calcolato sessantaquattro operazioni di cambio di regime perpetrate dagli USA. Nella maggior parte dei casi queste operazioni di cambio di regime sono fallite, o immediatamente, oppure a distanza di tempo. Lo spot pubblicitario con cui queste operazioni vengono giustificate è sempre quello del far saltare il tappo della dittatura che teneva compresso lo champagne della democrazia; ma, al di là delle fiabe da pubbliche relazioni, il fallimento delle operazioni di “regime change” riguardava soprattutto il non riuscire ad istituire governi vassalli oppure a mantenerli a lungo. Queste operazioni di "regime change" inoltre causano conflitti sanguinosi ed ottengono l’effetto di alimentare l’ostilità verso gli USA, persino da parte di coloro che inizialmente ostili non erano.
La O’Rourke tenta alcune analisi motivazionali su questa gestione “irrazionale” della politica estera statunitense. Il discorso potrebbe però essere spostato sull’aspetto funzionale e finanziario. Il dato interessante in queste operazioni di destabilizzazione di regimi stranieri è che l’impegno delle forze armate o della CIA non è necessariamente diretto o immediato. La gran parte del lavoro di "regime change" è svolta infatti da fondazioni private, cioè dal filantro-capitalismo. Può risultare fuorviante soffermarsi troppo sui casi straconosciuti della Open Society Foundation di Soros o della Rockefeller Foundation; non perché non siano attinenti al tema (tutt’altro), bensì perché fissarsi sui soliti nomi rischia di far perdere di vista la vastità, profondità e prolificità del fenomeno del non profit in funzione della “promozione della democrazia”. L’ex segretario della NATO Anders Rasmussen, appena lasciato il suo prestigioso incarico pubblico, ha trovato modo di far fruttare la propria esperienza. Gli è bastato mettere su una fondazione non profit per la diffusione della democrazia nel mondo,
“Alliance of democracies”. Il percorso di Rasmussen è analogo a quello di altri funzionari della NATO o della CIA, che, una volta lasciata la carriera pubblica, si sono messi a gestire capitali privati attirati dalla prospettiva di non pagare tasse grazie alla patente dell’intento filantropico e democratico.
Promuovere democrazia nel mondo è infatti un business esentasse, un paradiso fiscale, e ciò spiega perché le sedicenti élite del Sacro Occidente siano sempre così idealiste e progressiste. Ad esempio,
il NED (National Endowment for Democracy) opera in Africa convogliando investimenti privati in stile neocoloniale. La differenza sta appunto nel fatto di individuare dei “nemici della democrazia” da esorcizzare, in questo caso i cattivi che infettano l’Africa sono Russia e Cina. Per certi versi si tratta di una riedizione del colonialismo classico, in quanto ONG e fondazioni sono come i missionari dell’800 che preparavano il terreno ai colonialisti armati. Adesso il Vangelo da diffondere è quello della democrazia e dei diritti umani; ed anche quello della mitica Scienza occidentale, un richiamo della foresta che ha aggregato gran parte della sinistra “antagonista”, che ha fatto propria la fiaba secondo cui le masse povere del mondo stavano in ansiosa attesa dei nostri salvifici vaccini.
Se si fosse trattato soltanto di affari ci avresti dovuto pagare le tasse; ma se, oltre a fare affari, giri per il mondo a diffondere democrazia (cioè a destabilizzare e fomentare guerre civili), allora sei autorizzato ad eludere il fisco. Mille anni fa partecipare alla guerra santa ti garantiva il paradiso cristiano, mentre oggi ti garantisce il paradiso fiscale. Finché diffondere democrazia sarà così redditizio, non ci sarà motivo per le “élite” occidentali di rinunciare al loro idealismo. Ovviamente l’imperialismo occidentale è un fenomeno articolato e non può essere ricondotto al solo filantro-capitalismo non profit. Ma, in base ai classici del liberalismo come Locke e Montesquieu, fisco e politica sono due nomi per la stessa cosa; si tratta cioè di decidere a chi e su cosa far pagare più tasse, ed a chi e su cosa farne pagare meno; o non farne pagare affatto. Nel Sacro Occidente l’attività di destabilizzare altri paesi è una delle più agevolate sul piano fiscale, ti spalanca il paradiso fiscale. Non a caso, una ONG non profit come “Freedom House” (quella che ha preso di mira il Venezuela) è diventata un gigantesco collettore di denaro pubblico e privato; infatti prende soldi dal Dipartimento di Stato USA e da vari governi occidentali, poi ci sono fiumi di “donazioni” private. Tutti i dati sul finanziamento sono orgogliosamente esibiti sul
sito di “Freedom House”.
Grazie all’emergenza del riscaldamento globale si sono prospettate nuove crociate che aprono spazi inediti al non profit, come si è visto nel caso dell’Ikea.
La “multinazionale svedese” del mobilio è in realtà una fondazione non profit olandese, che si è procurata una quasi completa immunità fiscale in nome della guerra al cambiamento climatico. Forse in futuro tutte le multinazionali si struttureranno come fondazioni non profit di beneficienza, e si realizzerà pienamente quel ”potere dei buoni” profetizzato da Giorgio Gaber. L’imperialismo del non profit è l’indizio rivelatore di un Occidente organicamente strutturato in funzione guerrafondaia; la guerra santa, la crociata, non sono semplici ideologie di copertura, bensì paradigmi sociali e pre-ideologici, schemi emozionali ed aggregativi, in cui convogliare i buoni sentimenti e trasformarli in pulsioni aggressive. Magari si scopre che dai tempi di Goffredo di Buglione la mitica civiltà occidentale non ha fatto passi avanti. Non ha senso quindi rifugiarsi nella fiaba rassicurante del “melamarcismo”, cioè l’illusione che ci sia stata una deviazione da un percorso che altrimenti sarebbe stato retto e illuminato. Per non farsi stanare, il politicamente corretto si è creato il suo ultimo e inespugnabile bunker nei mantra del melamarcismo: come siamo pacifici noi occidentali, peccato che si sia formato quel bubbone del complesso militare-industriale; come siamo buoni noi occidentali, però che disgrazia quella CIA che ha deragliato dallo spirito originario. Ammesso che Putin sia il nuovo Hitler, il problema vero è che senza i nuovi Hitler il Sacro Occidente andrebbe in crisi d’astinenza.