Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Venerdì scorso le prime pagine dei quotidiani italiani sono state dedicate ad un video ipoteticamente attribuito all'ipotetico attentatore dell'11 settembre. L'enfasi data a questa non-notizia fa contrasto con i toni dimessi con cui pochi giorni prima era stata diffusa la vicenda del ferimento di alcuni soldati italiani in Afghanistan.
La versione ufficiale delle circostanze di questo ferimento era, come al solito, falsa sino all'insolenza, poiché ci veniva fatto sembrare che i nostri soldati se ne stessero andando in giro per i fatti loro, quando si sarebbero imbattuti in un ordigno dei brutali terroristi. Ma si tratta di bollettini di guerra, i quali, per definizione, rispondono ad esigenze militari e non di informazione.
In ambito militare la disinformazione è un'arma come le altre, ma il vero problema è che la lotta al terrorismo e le "missioni umanitarie" hanno creato uno stato di guerra permanente, che autorizza di fatto i governi ad operare una disinformazione permanente.
Infatti a tutt'oggi non si sa quale sia l'effettivo impegno italiano in Afghanistan in termini di uomini e mezzi. Non si sa neppure quale sia l'effettivo budget della missione, poiché le vere spese possono essere inserite e dissimulate anche in altre voci del bilancio dello Stato.
Le prime pagine dei quotidiani del 7 settembre quindi non davano informazione sull'Afghanistan, in compenso fornivano giustificazione alla prosecuzione dell'avventura afgana del nostro governo.
Questo zelo dei giornalisti è abbastanza comprensibile, se si considera che tutti i quotidiani sono di proprietà di gruppi affaristici che si avvantaggiano in qualche modo delle spese militari. Quando si dice che la guerra ha cause economiche si entra in affermazioni e questioni metafisiche, ma quando si osserva che guerra e affarismo sono fenomeni così intrecciati da risultare spesso indistinguibili, allora si fa una constatazione persino ovvia.
Si parla tanto di ridurre la spesa pubblica, ma quanto incidano oggi le spese militari sul bilancio, è in pratica un segreto di Stato. È un segreto anche quanto le spese militari incidano nel determinare l'urgenza di tagli in altri settori.
Sino all'aggressione NATO alla Serbia, una delle formule propagandistiche più frequenti per giustificare l'adesione dell'Italia a quel patto di alleanza, era che, senza la presenza dei generosi Stati Uniti, un Paese come il nostro avrebbe dovuto spendere molto di più per la difesa. Oggi questa giustificazione risulta falsa in modo molto più evidente di dieci anni fa. Gli ultimi governi italiani hanno aumentato enormemente le spese militari, anche se nella realtà hanno investito pochissimo per la difesa vera e propria.
Il governo italiano, ad esempio, non spende nulla per rafforzare ed aggiornare la contraerea e le batterie costiere, mentre spende tantissimo per elicotteri da combattimento che sono utili solo per fare dell'antiguerriglia nei Paesi che va ad aggredire. I costi di un elicottero antiguerriglia inoltre sono fantasmagorici, incomparabilmente superiori a quelli di qualsiasi artiglieria contraerea.
Da ciò si capisce perché gli affaristi - e per loro i giornalisti - siano interessati all'aggressione a lontani Paesi, ma se ne infischino della difesa del "sacro suolo della Patria". E risulta anche che lo Stato italiano spende sempre di più per esigenze militari, per risultare in definitiva sempre più indifeso. Ma questo è appunto l'effetto di certe "alleanze".
13 settembre 2007
Non è un caso che l'emergenza lavavetri sia scoppiata pochi giorni dopo l'allarme sul terrorismo islamico a Perugia, rivelatosi poi l'ennesima montatura poliziesco-mediatica.
Per intensificare lo sfruttamento della manodopera immigrata, occorre spaventarla, farla sentire accerchiata da un'opinione pubblica ostile. In tal modo gli immigrati sono sempre più costretti a chiedere protezione alle organizzazioni che si occupano del traffico di esseri umani. La dipendenza di milioni di persone dalle organizzazioni criminali è conseguenza del loro isolamento sociale, un isolamento che non potrebbe sussistere senza queste cicliche operazioni di guerra psicologica.
Non è neppure un caso che a gestire la campagna forcaiola sui lavavetri sia stato chiamato il "buonista" Walter Veltroni. In questi anni il buonismo è stato infatti il principale veicolo di disinformazione circa la vera natura dell'immigrazione, fatta passare per un fenomeno tutto sommato spontaneo e fisiologico. La retorica dell'accoglienza è servita a mascherare la realtà di un nuovo schiavismo, di una moderna tratta degli schiavi.
Uno dei paradossi dell'attuale situazione è che le aziende che sfruttano direttamente il lavoro immigrato, sono poi quelle che meno beneficiano di questo sfruttamento. Le ditte che si servono di manodopera immigrata sono infatti aziende che hanno ricevuto dei subappalti a condizioni sfavorevolissime, e possono quindi cercare di guadagnare solo riducendo al minimo il costo del lavoro.
Oggi esistono moltissime aziende che non hanno nessuna struttura produttiva, la cui unica risorsa è quella di trovarsi nella posizione favorevole per ricevere appalti, per poi smistare il lavoro in subappalto ad aziende minori, che sono quelle che devono assumersi il ruolo sporco e rischioso dello schiavista.
Questa forma di parassitismo è diventata oggi uno dei maggiori business, e l'attuale Confindustria è in gran parte composta di questo tipo di "imprenditori" che non svolgono alcuna attività produttiva, ma che si limitano a lucrare sull'intermediazione. Questi imprenditori rimarranno "puliti", poiché nessun lavoratore immigrato morirà mai nei loro cantieri per assenza di misure di sicurezza, appunto perché cantieri non ne hanno.
La faccia tosta dei vertici confindustriali è arrivata nei giorni scorsi al punto di minacciare di espulsione tutti quegli imprenditori che pagassero il "pizzo" ai vari racket, con ciò chiarendo che il solo "pizzo" ed il solo racket legittimi sono quelli gestiti dalla Confindustria.
In questi giorni i sindacati confederali si avviano alle trattative sui contratti collettivi di lavoro. Tutta la contrattazione risulterà ancora una volta falsata, perché i vertici confindustriali potranno gestirla dall'alto del loro piedistallo di falsa superiorità morale.
6 settembre 2007
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