Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I media mainstream hanno catalogato
la sentenza della Corte Costituzionale polacca, sulla superiorità dell'ordinamento statuale rispetto a quello comunitario, nell’ambito dell’orrido “sovranismo”. Altri commentatori, meno ufficiali, hanno invece sottolineato, con più fondatezza, il doppiopesismo della Commissione europea, che non ha assunto atteggiamenti sanzionatori quando analoghe sentenze sono state emesse dalla Corte Costituzionale tedesca.
Occorre però considerare la diversità dei contesti e delle motivazioni delle rispettive sentenze. La Corte tedesca si è sempre mossa nei canoni classici del gioco delle parti, opponendo una sorta di resistenza di principio prima al MES, e poi al nuovo corso della BCE nel senso dell’inondazione di liquidità monetaria. Di fatto, in entrambi i casi la Corte tedesca, mentre impartiva lezioncine e imponeva paletti, non bloccava un bel nulla, poiché sia la scelta del MES, sia il nuovo corso della BCE, hanno favorito gli interessi tedeschi. Definire la Corte tedesca una sorta di filodrammatica dell'orgoglio germanico, non è spregiativo ma solo realistico.
Tutt'altro contesto si ritrova nel caso polacco. La Polonia, come altri Paesi del disciolto, o dissolto, Patto di Varsavia, è stata accolta nell'Unione Europea in base agli interessi della NATO, cioè in quanto Paese di frontiera della stessa NATO contro la Russia. La Polonia andava quindi gratificata ed incentivata con uno status internazionale e, soprattutto, con sostanziosi aiuti economici, assegnandole il compito di enfatizzare propagandisticamente la minaccia russa. Risulta adesso abbastanza ovvio che la Polonia rivendichi questa sua posizione privilegiata di Paese di frontiera della NATO, una posizione su cui ha costruito la prospettiva di una nuova “grandeur”, e non accetti le forche caudine imposte dall'UE, dal momento che conta di potersi giovare del sostegno degli USA. Washington, al di là delle chiacchiere, riconosce nella Russia la principale insidia al suo dominio globale. La Russia attuale non ha, e non può avere a causa della sua debolezza, alcuna velleità espansiva, ma rappresenta comunque un limite oggettivo all'imperialismo USA.
Il sovranismo è quindi soltanto un babau della propaganda, e certamente non c’entra nulla col caso polacco. L’oligarchia polacca cerca di ritagliarsi un suo spazio sub-imperialistico all'ombra del super-imperialismo USA. La posizione polacca ha una sua base oggettiva, poiché l’edificio dell’unità europea è stato creato dagli USA in funzione della NATO, in applicazione dell'articolo 2 del Patto Atlantico. D'altra parte, proprio a causa della subordinazione agli interessi della NATO, l'unità europea non può essere messa in discussione e nessun Paese continentale può cercare di sottrarsi. La Brexit si configura come un'eccezione, un lusso che ha potuto concedersi il Regno Unito grazie al rapporto speciale e diretto che intrattiene con gli USA. Se gli Inglesi hanno potuto sottrarsi alle follie dell’UE, ad altri non sarebbe concesso, perciò i Paesi dell'Europa continentale sono condannati dalla NATO a stare insieme ed a rimanere esposti alle iniziative sub-imperialistiche dei propri vicini.
I sogni di “grandeur” di serie B nell'UE non sono infatti un’esclusiva polacca, tutt’altro. Vi sono Paesi che dissimulano le loro velleità sub-imperialistiche molto meglio, ma ciò non vuol dire che non ce l’abbiano. L'UE viene considerata superficialmente come un edificio dell’imperialismo tedesco, cosa vera ma solo in parte. Il sub-imperialismo tedesco fa infatti da sponda al sub-imperialismo atipico e particolarmente avventuristico dell’Italietta, che ha rappresentato in questi decenni la maggiore spinta al consolidamento dei legami comunitari. La tattica seguita dall’oligarchia italiana è quella dell’emergenzialismo finanziario. L’Italia infatti è l’unico Paese che trucca i conti pubblici all’incontrario, ad esempio fa apparire una spesa pensionistica superiore a quella effettiva poiché, a differenza degli altri Paesi, vi inserisce anche la spesa assistenziale. Lo stesso vale per il debito pubblico: mentre la Germania lo dissimula non calcolando l’indebitamento dei Lander e di altre agenzie governative, al contrario i governi italiani esibiscono il proprio debito per agitare sotto il naso dei partner europei il fantasma di una mina innescata.
Un certo luogo comune, avallato da “esperti” di geopolitica, mostra l’Italia come Paese esclusivamente “economicista”. Se è vero che l’oligarchia italiana non ha mai sacrificato i propri affari, è certo invece che ha sacrificato lo sviluppo economico del Paese per mantenere quel clima di emergenza finanziaria che costringesse gli altri Paesi europei a rafforzare il potere delle istituzioni comunitarie. Coloro che presentano l’Italia come una sorta di vittima o succuba della Germania, dovrebbero spiegare anche quale effettivo potere contrattuale detenga la Germania nei confronti dell’Italia, dato che è la Germania stessa il Paese che avrebbe maggiormente da perdere in caso di implosione della moneta unica. La mitologia germanica si basa su fake news propalate a dispetto degli stessi dati ufficiali, come la fiaba della santa Merkel che ci avrebbe fatto
la grazia del Recovery Fund: duecentonove miliardi, poi ridotti a duecentouno, che in realtà tra dare e avere sono solo venticinque, spalmati su sei anni; per il resto si tratta dei soliti debiti.
Quando si dice imperialismo USA, invece non si parla di fumo, dato che ci sono più di cento basi militari americane sul territorio italiano; e inoltre, a scanso di equivoci, Washington detiene
nei forzieri della Federal Reserve quasi metà delle riserve auree italiane. Volendo usare una metafora elegante, si potrebbe dire che gli USA ci tengono per le palle.
Il politicamente corretto considera disdicevole l’antimperialismo poiché favorirebbe il nazionalismo. Si tratta di una scemenza, dato che l’antimperialismo non è solo l’opposizione all'imperialismo degli altri Paesi, ma soprattutto l'opposizione al proprio imperialismo. L’oligarchia italiana sta “conquistando” l'Europa sacrificando la propria popolazione, cioè a colpi di emergenze finanziarie che dettano le scadenze alle cancellerie europee, troppo razziste per capire che non è una questione di semplici furberie italiche per non pagare i debiti, ma di tattiche di vero e proprio accerchiamento emergenziale. Si tratta di un concetto illustrato più volte sia da Romano Prodi, sia da Mario Monti: il progetto europeo può andare avanti solo a colpi di crisi. Anche nel caso dell’emergenza Covid, Prodi non ha esitato ad affermare che per il rilancio dell’UE è
una grande occasione. E l’emergenza Covid chi l'ha lanciata in Europa, se non l’Italia?
L’oligarchia polacca, per sostenere i suoi sogni imperiali, sta cercando di irreggimentare la propria popolazione con misure autoritarie di stampo tradizionale; mentre l’oligarchia italiana per imporre la disciplina imperiale ricorre alla sofisticazione digitale del Green Pass, oggi giustificato col Covid, domani con altre emergenze. Il fatto che le innumerevoli contraddizioni della narrazione emergenziale non creino alcun imbarazzo in gran parte dell'opinione pubblica, indica che l’oligarchia è riuscita a contagiare a livello subliminale molti Italiani con i sogni di grandeur. Se il governo Draghi riuscirà ad irreggimentare la sua popolazione a colpi di app, avrà dimostrato ai partner europei di potergli dettare le scadenze anche sui tempi della digitalizzazione di massa.
Il giornalista Federico Rampini ha scoperto che la sua missione nella vita è di convincerci che bisogna a tutti i costi fermare la Cina. E, invece, di fermare l’Italia, che è molto più pericolosa, non se ne parla proprio. L'ex Presidente del Consiglio Romano
Prodi canta le lodi del Green Pass totalizzante, che dimostrerebbe che noi Italiani siamo i più bravi al mondo. Mentre altri promettono che a gennaio il Green Pass svanirà (ovviamente se faremo i buoni), Prodi invece dichiara senza pudore che lo si manterrà finché ce ne sarà bisogno, cioè da qui all’eternità. Prodi ha trovato anche il modo di fare il moralista inflessibile con coloro che il 15 ottobre, primo giorno del Green Pass sui luoghi di lavoro, si sono dati malati. Un classico del moralismo: celebrativi nei confronti della crudeltà, spietati verso le debolezze umane.
Durante il lockdown la digitalizzazione si era presentata col volto rassicurante dell’ancora di salvezza, dello strumento provvidenziale che consentiva di continuare a garantire i rapporti sociali, la produzione e i consumi. Il Green Pass ci svela invece il volto osceno del vampirismo digitale, della
digitalizzazione forzata che prende in ostaggio i rapporti sociali, trasforma le persone in appendici biologiche di una app e pone l'identità digitale come viatico non solo della socialità ma anche della pura sopravvivenza.
I lockdown hanno messo fuori mercato migliaia di piccole aziende, e ci hanno raccontato che ciò era normale darwinismo sociale: nei momenti difficili i forti come Amazon sopravvivono, mentre i deboli bottegai e artigiani soccombono. Dato che si trattava di “selezione naturale”, non si dovevano versare lacrime sull’estinzione di imprese che vivevano di evasione fiscale e di inquinamento. Viva allora le multinazionali, che non hanno bisogno di evadere il fisco perché lo eludono legalmente con i paradisi fiscali e con le fondazioni “non profit”, e non inquinano col CO2 ma col litio.
Il denaro segue il denaro ed i flussi di capitali seguono i flussi di capitali, perciò esiste una tendenza intrinseca del capitale a concentrarsi in poche mani; ma ciò vale univocamente solo per la finanza, mentre nell’ambito industriale vi sono delle controtendenze. Ora, con l’istituzione del Green Pass, abbiamo ancora una volta l'evidenza che la concentrazione dei capitali industriali non è operata affatto dalla selezione di mercato nei momenti difficili, bensì con mezzi politici, con ostacoli pretestuosi alle attività economiche, con forzature narrative, con impalcature emergenzialiste che si rivelano strumenti dell'assistenzialismo per i più ricchi. Gli ostacoli frapposti artificiosamente alle attività produttive tradizionali, aprono spazio all'ingresso trionfale del capitale multinazionale, cioè del capitale più assistito dallo Stato.
L’Italia è oggi l’unico Paese al mondo ad adottare il Green Pass sui luoghi di lavoro, e ciò è in linea col fatto che anche la falsa emergenza pandemica è uno strumento di dominio lanciato in Europa dal “genio italiano” (sempre per citare Prodi), anzi, per essere più precisi, dal genio della Regione Lombardia. L’identità digitale obbligatoria si prospetta come il più grande business della storia, con risvolti militari ed anche finanziari, come la moneta elettronica. Riuscire ad essere la prima oligarchia che piega la propria popolazione a fare da cavia dell’identità digitale obbligatoria, non significa riscuotere la medaglietta o il diploma, ma mettersi in prima fila nella spartizione degli affari e delle quote dei Quantitative Easing della BCE.
Dal marzo dello scorso anno, l’Italia riesce a detenere lo scettro dell’emergenzialismo, che consente di mettere gli altri Paesi davanti al fatto compiuto e di dettargli le scadenze. In base ai soliti pregiudizi razzistici, nelle cancellerie europee ci si attarda a considerare gli Italiani come i soliti “furbetti” che non vogliono pagare i debiti. Non si comprende che col paravento autorazzistico della bistrattata Italietta frivola e pacioccona che vive all’ombra dell’imperialismo tedesco, l’oligarchia italiana sta cercando in realtà di ridefinire ed elevare il suo status all’interno della gerarchia imperialistica internazionale, ponendo l’Italia come il più importante laboratorio delle multinazionali del digitale.
Partire ed arrivare primi nella corsa alla digitalizzazione non è questione di semplice prestigio, ma di diventare i principali referenti delle lobby d'affari del digitale. Per raggiungere lo scopo, il proprio popolo diventa il nemico da battere; e, pur dietro il velo delle cazzate, l'intento delle oligarchie appare evidente.
In tutti i conflitti imperialistici, anche in quelli ibridi e a bassa intensità come questo, il proprio popolo per le oligarchie rappresenta il primo bersaglio e svolge la funzione di cavia e di carne da macello. Le stesse opposizioni spontanee al Green Pass sono, per la potenza dei luoghi comuni, costrette inizialmente a muoversi in nome delle difesa della democrazia e della legalità costituzionale, cioè di cose che non sono mai esistite. Anche in Italia ci vorrà tempo per capire che lo scenario attuale non rientra semplicemente in un piano delle oligarchie mondialiste ma anche in uno scontro imperialistico tra di esse.
Ogni conflitto imperialistico comporta anche la guerra civile, ed un conflitto imperialistico a bassa intensità non esclude affatto la brutalità, tutt'altro; brutalità non solo contro le opposizioni, ma anche nei confronti dei servi, a cui non si risparmia nessuna umiliazione e non si concede più alcuna parvenza di dignità, come si è visto con Maurizio Landini e con quei professori universitari costretti per paura a firmare un puerile ed auto-squalificante appello contro Giorgio Agamben.