Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Ogni azione che Israele compie non fa altro che riaffermare la sua dipendenza dalla tutela e dal denaro degli Stati Uniti. Israele ricorda un tipo di personaggio da soap opera, cioè il figlio di papà, viziato, scapestrato e tossicodipendente, spesso arrogante col genitore, ma che viene costantemente tirato fuori dai guai grazie al portafogli ed alle conoscenze di papà. L’ultimo regalo di Biden è un assegno di tre miliardi e mezzo di dollari, con cui Israele dovrebbe rifornirsi di armi americane nei prossimi anni. Ovviamente gran parte di quei soldi farà come Lassie e tornerà a casa in forma di contratti per le multinazionali delle armi e di tangenti per i parlamentari; ma le cleptocrazie funzionano appunto con questi meccanismi di sponda.
La tossicodipendenza non c’è soltanto nei confronti del giro di denaro ma anche dei miti che giustificano quel giro di denaro. Già Israele è fondato sul falso storico della sua nascita come conseguenza dell’Olocausto. In realtà la lettera del ministro degli Esteri inglese Balfour al banchier-barone Rothschild, con la quale il Regno Unito riconosceva una patria ebraica in Palestina, porta la data del 1917; quindi si trattava di creare un avamposto coloniale occidentale nei territori strappati all’impero ottomano. Una delle ultime balle in ordine di tempo è quella del “pogrom” del 7 ottobre, che nei nostri media è diventato un mantra intoccabile, ad onta del fatto che la stampa israeliana ha documentato il ruolo determinante del “fuoco amico” nelle dimensioni della strage. “Fuoco amico” per modo di dire, poiché, secondo le testimonianze, la priorità è stata volutamente data al colpire i “terroristi” e impedirgli di prendere ostaggi, anche a costo dell’eliminazione di cittadini israeliani.
A Moshe Dayan viene attribuita la dottrina del “cane pazzo”, secondo la quale Israele deve sempre avere reazioni sproporzionate ed esageratamente brutali. Simulare l’irrazionalità servirebbe infatti a terrorizzare il nemico ed indurlo a non compiere mosse avventate. Sembra “Enrico IV” di Pirandello: il personaggio protagonista sta fingendo di essere pazzo, oppure la sua pazzia consiste nell’illudersi di fingerla? Ma l’epopea del “cane pazzo” può anche rientrare nello schema emergenzialismo-assistenzialismo per ricchi. Tanto per fare un esempio: le pazzie di Israele hanno letteralmente salvato la multinazionale Boeing, che si regge ormai soltanto sul business delle bombe, come quelle che Israele sta lanciando su Gaza, che sono appunto di marca Boeing. Da anni infatti Boeing non riesce più a produrre un aereo che stia in volo, o con sportelli in grado di chiudersi o ruote che non si stacchino al decollo. Dal punto di vista produttivo le corporation si sono dimostrate dei mostri di inefficienza: prosperano inizialmente sulla commercializzazione di qualche tecnologia elaborata in ambito militare e pagata dal denaro pubblico; dopo di che, per presentare bilanci in attivo agli azionisti, devono tagliare sugli investimenti e sul personale. Meno male che ci sono Israele e la NATO sempre lì a provocare e destabilizzare, sennò le bombe non le vendi. Israele cane pazzo sì, ma col guinzaglio.
Un altro mito fondante di Israele, collaterale al “cane pazzo”, è quello della “vendetta”, col mito annesso dell’abilità del Mossad negli omicidi mirati. Un buffo articolo di Gianluca Di Feo su “Repubblica” ci parla di sei gradi di separazione tra il Mossad e le sue ignare fonti di informazione. In realtà l’articolo dovrebbe intitolarsi “sei gradi di puttanate”, poiché si tratta di una serie di illazioni sconnesse basate su una premessa arbitraria. Non c’è infatti nessuna prova che il “dirigente di Hamas” ucciso a Teheran fosse di per sé il bersaglio pianificato in anticipo, o che invece non sia stato ucciso semplicemente perché in quel momento fosse il più disponibile e facile da colpire, in quanto costretto ad esporsi per partecipare ad una cerimonia ufficiale.
In particolare manca qualsiasi prova documentale, e neppure qualche riferimento concreto, a supporto di uno dei miti più diffusi sul Mossad, cioè la storia secondo cui i suoi agenti sarebbero stati in grado di colpire tutti, o quasi tutti, i responsabili dell’organizzazione dell’attentato di Monaco del 1972. Al contrario, è documentato il caso di Ahmed Bouchiki, assassinato dal Mossad nel 1973 per un banale scambio di persona. Ci sono anche esempi in cui i bersagli sono stati agenti del Mossad, come nel caso dell’imbarcazione colpita nel maggio dell’anno scorso sul Lago Maggiore. Pare che agenti italiani ed israeliani fossero a caccia di “oligarchi russi” in contatto con degli iraniani per l’acquisto di droni.
Uno dei fiaschi più famosi non riguarda proprio il Mossad ma una sua “emanazione”, il Lakam, diretto nientemeno che da Rafi Eitan, uno degli agenti del Mossad che nel 1960 riuscirono a rapire Adolf Eichmann in Argentina. Rafi Eitan del Mossad non va confuso con l’omonimo generale dell’esercito israeliano che fu uno dei responsabili della guerra israelo-libanese degli anni ’80. Mentre il suo omonimo faceva fiasco in Libano, il Rafi del Mossad non riusciva ad evitare che nel 1985 venisse beccato dal FBI un agente dei servizi segreti della Marina statunitense che spiava per conto di Israele, Jonathan J. Pollard. In Israele l’operazione Pollard fu molto criticata, e non perché Israele stesse fregando il suo finanziatore statunitense, ma per il modo cialtronesco in cui il doppio agente Pollard era stato mandato allo sbaraglio da Eitan.
Costretto a dimettersi per lo scandalo e poi costretto anche ad accettare un mega-stipendio per dirigere una grande azienda chimica, Rafi Eitan negli anni ’80 si segnalò anche per i suoi contatti con il presidente colombiano Virgilio Barco, dal quale ebbe un contratto per svolgere il ruolo di “consulente”. Non si sa per certo se vi sia un nesso diretto tra le due cose, ma nello stesso periodo militari israeliani erano in Colombia per addestrare componenti dei cartelli della droga.
La presenza di Eitan in Colombia coincise con l’esecuzione di circa seimila omicidi ai danni di esponenti del partito di sinistra Unione Patriottica. Non vi sono documenti scritti che lo confermino, ma, secondo testimonianze, il “consiglio” di ricorrere a quella eliminazione di massa fu elargito a Barco proprio da Eitan. Immaginiamoci la delusione del povero Virgilio Barco, che aveva ingaggiato l’uomo che aveva catturato Eichmann, illudendosi di poter ricevere dal quel super agente del Mossad chissà quali “dritte” sul modo di neutralizzare gli avversari politici; invece si ritrovò la solita tecnica di farli fuori tutti. Secondo le testimonianze Eitan sollecitò a Barco anche un secondo contratto per eseguire lui gli omicidi, ma i militari colombiani si opposero, perché, dato che si trattava soltanto di sequestrare ed ammazzare delle persone, loro erano capacissimi di farlo da soli. Ma guarda che irriconoscenza.
Tempi duri per i pessimisti cosmici che si ostinano a negare l’esistenza del progresso. Una volta per indicare una discussione a vuoto si diceva: “disputare sul sesso degli angeli”; oggi invece si disputa sul sesso dei pugili. Il salto di qualità (il “qualitativer sprung”, per dirla alla Hegel) non poteva essere più promettente. Comunque, mai sottovalutare la futilità e tantomeno la diatriba tra identitari e trans-identitari. Qualcuno ricorderà la schitarrata del maggio scorso del segretario di Stato Antony Blinken in un locale ucraino; Blinken usò il titolo di una canzone di Neil Young per fare un’arringata sul mondo libero. In effetti la libertà è importante, soprattutto quella di saccheggiare il denaro pubblico; un’arte in cui Blinken ci sa fare.
Con la sua espressione da pesce in barile che non capisce nulla e non si accorge di nulla, Blinken viene spesso sottovalutato e disprezzato. Eppure il personaggio ha dimostrato di sapere quello che vuole. Quando il presidente Obama varò una legislazione spot per far credere al suo pubblico di voler limitare il potere delle lobby a Washington, costringendole a dichiarare per chi lavorassero, Blinken ricorse ad un semplice trucco semantico. Nel 2017, insieme con altri diplomatici, fondò una propria società di lobbying, ma, per aggirare quella legge fatta apposta per essere aggirata, la chiamò società di consulenza. Nacque così la West Exec Advisors; che, in quanto società di consulenza, non era tenuta a rivelare l’identità dei propri clienti. Blinken esibisce orgogliosamente nel suo curriculum ufficiale il suo passato di pluri-portagirevolista tra il management privato e il ruolo di diplomatico del Dipartimento di Stato. La stessa persona può passare la porta girevole tra pubblico e privato innumerevoli volte.
L’identità è importante; tanto che alle volte non è opportuno dichiararla ufficialmente, anche se poi è il segreto di Pulcinella, come nel caso dei clienti di Blinken, che sono le solite multinazionali delle armi, dell’high-tech e della finanza che parassitano il budget della difesa. Tutto ciò grazie ad un trans-identitario confesso come Antony Blinken, che infatti si vanta della sua doppia identità: è un funzionario pubblico, un segretario di Stato, cioè un ministro degli Esteri; ma è anche il gestore di una società di affari privata, da cui però momentaneamente si è sospeso, perché ci dicono che così è sicuro che si evitano i conflitti di interessi. La West Exec si occupa di consulenze internazionali e promuove anche aziende israeliane del settore difesa e sicurezza. Diventato segretario di Stato, ovviamente Blinken ha dimenticato la sua vita precedente di affarista privato ed agisce esclusivamente per tutelare interessi pubblici. D’altra parte Blinken ha una doppia identità, o addirittura una doppia personalità, e magari l’una non si ricorda quello che fa l’altra. Nei suoi viaggi all’estero Blinken può quindi tranquillamente occuparsi di quello e quello, affari e politica; tanto le sue due personalità fanno vite separate e forse sono ignare l’una dell’altra. Del resto non sarebbe giusto negare a Blinken ciò che viene consentito a Superman e Clark Kent.
In un opuscolo pubblicitario della sua azienda Blinken dichiarava: “I consulenti di West Exec hanno lavorato insieme con i massimi livelli del governo, gestendo e anticipando l’impatto delle crisi internazionali sul processo decisionale: possiamo fornire le stesse intuizioni e strategie ai leader aziendali di tutto il mondo”. L’opuscolo non poteva essere più chiaro di così: grazie al fatto di tenere il piede in due scarpe, Blinken e soci possono “anticipare” le situazioni di tensione internazionali, in quanto loro stessi le provocheranno, in modo da creare occasioni di business per i loro clienti. La corruzione ed il conflitto di interessi vengono venduti come “competenza”; ed in effetti anche derubare il contribuente è una competenza. Forse non è una coincidenza il fatto che da segretario di Stato Blinken non abbia mai contribuito a risolvere, e neppure ad attenuare, nessuna crisi internazionale; semmai ha contribuito ad aggravare la situazione.
Le teorie della cospirazione si basavano sull’ingenuo presupposto che esista un’autorità legale-razionale detta Stato, che può essere aggirata solo attraverso una manipolazione dall’esterno; mentre invece si vede che legale ed illegale sono complementari al funzionamento della cleptocrazia. D’altra parte i cleptocrati hanno i loro addetti alle pubbliche relazioni che producono affabulazione distopica in modo da avvolgere il furto legalizzato in un alone di ingegneria sociale. “Forbes” ha dedicato un dettagliato articolo alle ricchezze che Blinken ha potuto accumulare grazie alla sua condizione di portagirevolista tra incarichi pubblici e business privati. Non c’è niente da nascondere perché è tutto legale (o legalizzato), ma l’eccessiva evidenza dà adito alla sottovalutazione.
Visto che tutto è arcinoto, anche la stampa di establishment ha riportato le notizie sulla condizione trans-identitaria dell’amministrazione Biden. Il “Washington Post” pubblicò un documentato articolo sull’occupazione del Dipartimento di Stato da parte dei procuratori d’affari della West Exec, e ciò proprio all’atto dell’insediamento di Biden. La commistione tra politica e affari ed i conflitti di interesse non sono nati né oggi, né ieri, né l’altro ieri. Il “qualitativer sprung” sta nel fatto che la corruzione legalizzata ed istituzionalizzata viene attualmente ostentata e pubblicizzata, in modo da allargare il giro dei clienti.
A questo punto definire gli Stati Uniti come una repubblica delle banane sarebbe un eufemismo e persino un complimento. Siamo infatti di fronte alla cleptocrazia conclamata ed autocelebrata. Sennonché la sindrome trans-identitaria colpisce anche i redattori del “Washington Post”. Anzi, forse transitano addirittura in universi paralleli, nei quali gli Stati Uniti sono una democrazia ed uno Stato di Diritto e quindi possono permettersi di salire sul pulpito ed impartire lezioni di legalità a Maduro.
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