Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
E così anche Marchionne è stato costretto a ricorrere all'espediente vittimistico della minaccia terroristica nella speranza di riguadagnare legittimazione, esattamente come un qualsiasi esponente del ceto politico italiano. Si tratta di un gravissimo segnale di debolezza, che segue intere settimane in cui, mentre l'informazione ufficiale e gli esponenti dei principali partiti osannavano Marchionne, è andato invece crescendo il sostegno verso la FIOM.
Gli appelli che numerosi intellettuali hanno scritto e firmato in segno di solidarietà alla FIOM, si sono basati su argomenti reali ma insufficienti, come la difesa dei diritti del lavoro e della rappresentatività sindacale, senza che venisse posto in evidenza il contesto, cioè lo strangolamento coloniale a cui l'Italia è attualmente sottoposta da parte del Fondo Monetario Internazionale e delle multinazionali. Ciononostante la mobilitazione degli intellettuali, promossa dalla rivista "Micromega", non può essere considerata con disprezzo o sufficienza, poiché risulta indicativa del potenziale di coinvolgimento sociale che può suscitare un sindacato non appena esca dalle ambiguità e dai cedimenti. Non a caso la CGIL ed il suo segretario Camusso, dopo settimane in cui sembravano sprofondare nelle sabbie mobili del Partito Democratico, hanno dovuto rompere gli indugi e accettare di sostenere lo sciopero generale indetto dalla FIOM per il 28 gennaio.
Paradossalmente il tramonto del fascino divistico di Marchionne, è stato messo in evidenza proprio dagli ultimi interventi di opinionisti al suo seguito, come quello dell'ex commissario europeo Mario Monti sul "Corriere della Sera". Per esaltare le virtù di riformatore dell'Amministratore Delegato della FIAT, Monti gli ha fatto addirittura l'onore di paragonarlo alla ... Gelmini!
L'abbraccio di un personaggio come la Gelmini, in termini di immagine, risulta più mortale di una sventagliata di mitra. Durante i giorni del ricatto di Pomigliano, Marchionne si esibì in ridicole imitazioni del ministro Brunetta, lanciando inconsistenti e pretestuose accuse di assenteismo ai lavoratori della FIAT del Meridione d'Italia. Nessuno però nell'informazione ufficiale si sognò allora di osare un accostamento fra Marchionne e Brunetta, sebbene lo stesso Brunetta in quel periodo si desse da fare per rivendicare il copyright di quello stile comunicativo a base di insulti gratuiti. Oggi invece a Marchionne tocca persino di essere appaiato col ministro Gelmini, e questo capita in un articolo apologetico sul "Corriere della Sera". La caduta degli dei!
Da segnalare il tentativo dell'ex segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni, di rilanciare l'asse con Marchionne, un asse che nel giugno ultimo scorso appariva in auge. Il tentativo però si è arenato in un documento, del quale anche i più affezionati supporter di Veltroni hanno dovuto confessare di non aver capito quasi nulla. Le sole due cose comprensibili del documento sono risultate di una puerilità sconcertante. C'è il solito slogan che non bisognerebbe difendere, ma "cambiare", come se il cambiamento fosse un valore in sé. In tal caso anche l'essere ammazzati sarebbe meglio che rimanere vivi, dato che comunque la morte rappresenterebbe un "cambiamento".
Del resto "cambiare" le regole del mercato del lavoro non ha portato bene: le statistiche ufficiali ci hanno appena rivelato che, a sette anni dalla Legge 30/2003 (la cosiddetta Legge Biagi), la disoccupazione giovanile ha toccato il livello record. Quindi lo slogan "meglio un lavoro precario che nessun lavoro" costituiva l'ennesima falsa alternativa. La precarizzazione non ha aumentato i posti di lavoro, però ha determinato un crollo degli investimenti in innovazione tecnologica e formazione del personale, con il risultato di far regredire tutto il sistema industriale. Nel centrosinistra Veltroni è stato il maggiore difensore della Legge 30, anzi proprio colui che ne ha impedito l'abolizione da parte dell'ultimo governo Prodi. "Cambiamento" è diventato in effetti sinonimo di colonizzazione, perciò Veltroni avrebbe bisogno di cambiare vocabolario.
Altrettanto puerile è che Veltroni rinfacci alla FIOM il fatto che Marchionne la stia escludendo dalla rappresentanza di fabbrica in base alle stesse norme che la FIOM aveva voluto per tagliare fuori il sindacalismo di base. In realtà questa esigenza di salvare a tutti i costi la rappresentanza di fabbrica sta ossessionando la Camusso, ma non Landini. Il problema non riguarda la rappresentanza a Mirafiori o di riuscire ad arraffare il prelievo della quota sindacale sulle buste-paga, ma la rappresentatività in generale. Non si tratta di tutelare le minoranze, come minimizza D'Alema, ma di tutelare le maggioranze. In base al diktat di Mirafiori nulla più impedirà che un padrone possa firmarsi gli accordi che vuole con il suo sindacato d'azienda, anche se questo sindacato non avesse nessun iscritto, per poi imporre ai lavoratori un sì, con il ricatto del "se no, me ne vado". A questo punto neanche più niente impedirebbe al padrone di imporre l'iscrizione al sindacato aziendale ai lavoratori per poter loro estorcere anche la quota dalla busta-paga; ciò in base al ricatto velato che chi non si iscrivesse diventerebbe automaticamente sospetto di velleità ribellistiche.
Tra l'altro il sindacalismo di base non si è dimostrato affatto vincolato a puntigli di ripicca e rivalsa sulla FIOM, tanto che la scelta dei COBAS di convocare lo sciopero generale per il 28 gennaio ha contribuito in modo decisivo a smuovere la CGIL dalle sue ambiguità ed a convocare a sua volta lo sciopero generale, ciò a causa del timore di trovarsi scavalcata. Anche nell'impedire che il referendum di Pomigliano divenisse una resa o una disfatta operaia, l'attivismo dei COBAS si è rivelato determinante, quindi oltre venti anni di sindacalismo di base non sono passati invano.(1)
Il Partito Democratico sta condizionando tutta la sua linea all'esito del referendum di Mirafiori, ma se quello è un referendum, lo sarebbe anche quello del rapinatore che ti intima "o la borsa o la vita". Invece la FIOM ha già stabilito il calendario delle sue iniziative di lotta indipendentemente dal referendum, tanto è vero che lo sciopero generale è già fissato per il 28 gennaio. Una vittoria dei sì al referendum non costituirebbe una sconfitta per la FIOM, mentre sarebbe una disfatta/figuraccia per il PD nella eventualità che vincessero i no. La vittoria dei sì però si qualificherebbe come un mero successo della prepotenza, della quale il PD sarebbe visto come complice. E in questa situazione assurda il vertice del PD ci si è ficcato tutto da solo.
Veltroni si è arrampicato inutilmente sugli specchi, dato che la improponibilità del "Veltracchionne" è risultata evidente dopo il golpe natalizio di Marchionne, cioè quello pseudo-"accordo" di Mirafiori che metteva tutti davanti al fatto compiuto e disarticolava il sistema delle relazioni industriali in Italia, scavalcando del tutto il ruolo istituzionale di governo e parlamento. Il contratto collettivo ha sempre tutelato poco il lavoro, in compenso ha tutelato le piccole e medie imprese dal pericolo del sindacalismo giallo/malavitoso gestito dalle multinazionali. I sindacati gialli e malavitosi non servono alle multinazionali soltanto per garantirsi la disciplina interna alle proprie fabbriche, ma anche come arma per intimidire e ricattare i piccoli concorrenti. In base ai discorsi di Pietro Ichino (anche lui "vittima del terrorismo" ad honorem), si capisce che è proprio questo il risultato che si sta perseguendo. Ma Ichino ammette esplicitamente che il benessere delle multinazionali costituisce la sua unica preoccupazione. L'Authority dell'Antitrust ovviamente non ha niente da obiettare riguardo alle forme di concorrenza sleale che si potranno verificare in assenza del contratto collettivo; ma non c'è da stupirsene, dato che, ad onta del suo nome, l'Antitrust è stata inventata da Giuliano Amato appunto per favorire le concentrazioni, non certo per contrastarle.
Il più sollecito a dare man forte alla recita di Marchionne/vittima del terrorismo ad honorem, è stato il segretario della CISL Bonanni, cioè un altro personaggio che ormai regge la sua immagine pubblica soltanto sul vittimismo. In tutti questi mesi di piagnistei anti-FIOM, Bonanni non si è nemmeno scomodato a spiegare cosa ci stia più a fare un sindacato confederale come la CISL se si abolisce il contratto collettivo di lavoro. CISL e UIL avevano presentato come una grande vittoria il contratto collettivo firmato senza la FIOM appena un anno fa con Federmeccanica; ma oggi quel contratto sarebbe già da cestinare, perché a Marchionne non piace. Anzi, persino Federmeccanica non serve più a niente, così la piccola/media impresa allo sbando avrà Marchionne come unico duce e condottiero. Ma allora, se tutto si riduce a obbedire ciecamente a Marchionne, a che serve firmare "accordi"? Perché non sostituirli direttamente con un giuramento di fedeltà al padrone? La messinscena sindacale serve solo per continuare ad estorcere le quote sindacali ai lavoratori?
Il fatto è che i vertici di CISL e UIL sanno benissimo che, se passa il diktat di Mirafiori, il sindacalismo confederale verrebbe cancellato, quindi stanno già pensando ad una propria sistemazione altrove, e devono essergli state fatte parecchie promesse e rassicurazioni a riguardo. La burocrazia della FIOM invece continua ad affidare la propria sorte personale alla sopravvivenza dell'organizzazione. Se si tratta solo di un calcolo per salvare le proprie carriere sindacali, comunque ciò implica una base di serietà. Può aver contribuito a questa ritrovata serietà il fatto che la liquidazione elettorale di Rifondazione Comunista abbia sortito indirettamente l'effetto di preservare negli ultimi due anni il gruppo dirigente della FIOM dalle infezioni parlamentaristiche. Probabilmente Veltroni non aveva pensato a questo possibile effetto indiretto di radicalizzazione della FIOM, quando nel 2008 ha messo in atto la liquidazione elettorale di RC.
Le sorti mediatiche di Marchionne sono ora in gran parte legate al sostegno che gli provenga dalle "Forze dell'Ordine" nell'avallare la messinscena della minaccia terroristica. Ma per il momento i segnali non sono incoraggianti per Marchionne, poiché la polizia ha già ridimensionato l'entità della presunta minaccia.
I commenti immediati dei giornalisti televisivi agli slogan corredati di stella a cinque punte, sono stati impagabili: secondo loro gli inquirenti stavano analizzando chi potesse aver concepito e scritto una frase arguta come "Marchionne fottiti!"; oppure quale gruppo potesse aver sviluppato un' analisi così profonda :"non siamo noi a dover diventare come i lavoratori cinesi, ma i lavoratori cinesi a diventare come noi". Con queste premesse persino gli inquirenti avranno rinunciato a fare l'ennesima figura patetica, magari col rischio di scoprire che non si trattava di una stella a cinque punte delle Brigate Rosse, ma di un pentagono massonico dipinto personalmente dal massone Piero Fassino.
Forse gli inquirenti sarebbero stati persino costretti a rivelare al mondo che l'autore di questi improbabili raffronti razzistici con la Cina era nientemeno che Pierluigi Bersani, a cui forse nessuno ha mai detto che gli operai cinesi non sono affatto più remissivi di quelli europei, anzi sono impegnati in dure lotte salariali.(2)
Bersani sembra ignorare anche che, nel sedicente "mercato globale", la Cina compete facendosi forte di un sistema economico basato sulle partecipazioni statali e sulle banche pubbliche; perciò non si capisce perché gli operai italiani debbano invece rimanere disoccupati se i padroni privati se ne vanno. (3)
Inoltre non è un buon momento per le relazioni tra il governo e le cosiddette Forze dell'Ordine, poiché i tagli e le privatizzazioni nella pubblica amministrazione stanno colpendo duramente poliziotti, carabinieri e finanzieri. In queste ultime settimane i sindacati di polizia hanno già inscenato tre manifestazioni di piazza contro Berlusconi, il quale si è ormai così sfacciatamente identificato con la causa di Marchionne da rischiare di tirargli addosso il suo discredito.
Anche il feeling di due anni fa tra le Forze Armate ed il ministro della Difesa La Russa appare un pallido ricordo, poiché si è scoperto che lo stesso La Russa, da bravo figlioccio dell'affarista Salvatore Ligresti, pensa solo a privatizzare. Dopo la pagliacciata dell'esibizione del ministro della Difesa in tuta mimetica, La Russa è stato costretto a rimangiarsi con la coda tra le gambe le sue sfuriate contro lo Stato Maggiore, da lui accusato di aver mentito sulla morte dell'alpino in Afghanistan. Come se non fosse compito istituzionale dei vertici militari il mentire sistematicamente sulle operazioni militari. Sembra ormai che, per uno come La Russa, la propria personale pavidità sia rimasto l'ultimo, disperato, aggancio con la realtà.
Che un governo di destra si trovasse così isolato e screditato rispetto al contesto sbirresco/militare che avrebbe dovuto essergli consono e familiare, costituisce uno dei dati inediti di questo periodo. Senza l'appoggio delle burocrazie in uniforme, la riedizione di una nuova pseudo-emergenza terroristica risulterebbe molto problematica, perciò Marchionne rischia di ridursi anche lui a lanciarsi da solo in faccia delle statuette della Mole Antonelliana.
(1) http://www.cobas.it/
(2) http://archiviostorico.corriere.it/2010/luglio/10/Cina_Toyota_apre_agli_aumenti_co_9_100710048.shtml
(3) http://www.cattolicanews.it/3356.html
L'enfasi che la propaganda ufficiale ha attribuito al caso della richiesta di estradizione dal Brasile di Cesare Battisti, si colloca certamente nei meccanismi consueti di un potere politico che ricerca la sua unica legittimazione nell'agitare pretestuosamente l'emergenza-terrorismo. Stavolta, però, ciò che avrebbe dovuto costituire l'ennesimo diversivo, ha finito invece per riportare l'attenzione al centro del problema.
Si possono fare molte speculazioni sui motivi per i quali il presidente brasiliano Lula ha negato l'estradizione. Si è persino favoleggiato per anni sulle arti malefiche della maliarda Carla Bruni e sul suo presunto ruolo nella vicenda-Battisti. L'intervento del pubblicista sionista Bernard-Henry Levy a favore di Battisti ha fatto inoltre ipotizzare che il latitante fosse in possesso di chissà quali segreti con cui condizionare le scelte dei governi.
Tutto è possibile, ma la dietrologia si giustifica quando vi sia palese sproporzione tra cause ed effetti, o tra obiettivi dichiarati e strumenti adottati, quindi non in questo caso, dato che c'era di mezzo Berlusconi con la sua penosa immagine nel mondo. Cosa avrebbe guadagnato infatti Lula ad accontentare il governo italiano? Nulla, dato che attualmente il governo italiano non conta nulla nei rapporti internazionali. Cosa avrebbe invece perso Lula in termini di immagine, sia interna che internazionale, se avesse riconsegnato un rifugiato politico alle brame vendicative dell'universalmente disprezzato satrapo di Arcore? Moltissimo.
Quand'anche le prove giudiziarie contro Battisti fossero state convincenti - e certo non lo erano -, la sostanza politica del problema non sarebbe cambiata, perché è chiaro che un capo di Stato assume le sue decisioni in base a criteri politici e non giudiziari. Il problema quindi, dalla solita e fittizia emergenza-terrorismo, è stato ricondotto alla realtà della delegittimazione internazionale dell'attuale governo italiano. La legittimazione sulla base dell'emergenza-terrorismo funziona ancora per il governo in chiave interna, ma non riesce ad annullare l'handicap dell'effetto-Berlusconi all'estero.
Risulta evidente anche l'ironia involontaria di un governo italiano che, mentre fa la voce grossa con Lula, si cala le brache davanti a Marchionne; lo stesso Marchionne che l'ultimo 28 dicembre è andato con il cappello in mano a Pernambuco per inaugurare, insieme con Lula, un nuovo stabilimento della FIAT in Brasile. Tale stabilimento dovrebbe produrre auto soprattutto per il mercato brasiliano, ciò in linea con la scelta economica di Lula di rilanciare i consumi interni, liberando il Brasile dalla direttiva del Fondo Monetario Internazionale, che lo costringeva a basare la sua economia sulle esportazioni, con la conseguenza di mantenere forzosamente bassi i salari.
http://www.morningstar.it/it/news/article.aspx?articleid=93497&categoryid=56
Quando Piero Fassino ha intimato ai lavoratori della FIAT di chinare il capo di fronte al ricatto di Marchionne, con la scusa che ora bisognerebbe fare i conti con la Cina ed il Brasile, ha perciò detto la sua ennesima fesseria. La realtà è che l'Italia si deve misurare con un Brasile che attua la piena libertà sindacale e con una Cina che fonda la sua economia sulle partecipazioni statali e sulle banche di proprietà pubblica. Una delle principali banche cinesi è infatti gestita direttamente da un ministro del governo.
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:Bx3lcSjCV9cJ:www.newsmercati.com/Article%3Fida%3D4479%26idl%3D2579%26idi%3D1%26idu%3D45248+sistema+bancario+cinese&cd=3&hl=it&ct=clnk&gl=it
http://www.worldlingo.com/ma/enwiki/it/China_Development_Bank
Il problema è che la Cina ed il Brasile non hanno rinunciato affatto alla direzione politica dell'economia, mentre l'Italia è diventata una colonia delle multinazionali. Il recente salvataggio di un Berlusconi ormai allo stremo delle sue già non esaltanti capacità mentali, ha ottenuto l'effetto politico di lasciare per intero il palcoscenico al protagonismo di Marchionne. Ciò sta a dimostrare che chi ha voluto mantenere Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, ritiene che potrebbe bastare davvero molto poco per rischiare di fare ombra alla stella di Marchionne; segno che la sua leggenda di combattente si è costruita in match truccati.
Dopo che l'ambiguo presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha eseguito per conto delle multinazionali il salvataggio di Berlusconi, costringendo le opposizioni a dilazionare di un mese il voto di sfiducia, ora la ulteriore mazzata, forse definitiva, per il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, è arrivata ancora una volta dall'interno. In questo caso il traditore è stato il principale sponsor di Bersani nel partito, cioè Massimo D'Alema, proprio l'uomo che aveva collocato Bersani nella posizione di massimo dirigente. D'Alema ha infatti sposato in toto la linea di Piero Fassino sul cosiddetto "accordo" di Mirafiori, spingendosi sino a sollecitare i lavoratori FIAT a votare per il sì al referendum/ricatto.
La posizione di Bersani sul cosiddetto accordo risultava di una moderazione irrealistica data la situazione, e appariva soprattutto come un compromesso tra le varie linee del partito sulla questione. Ma il discorso di Bersani partiva quantomeno da un dato di fatto, cioè dagli effetti destabilizzanti sul sistema delle relazioni industriali che il diktat di Marchionne comporta.
Quanto deciso per Mirafiori riguarda in minima parte le sorti della FIAT, poiché costituisce un precedente che, se non contrastato dal potere politico, porrà le basi per uno sconvolgimento del quadro delle relazioni industriali. D'Alema si è posto esclusivamente in base alla dottrina ufficiale di Marchionne, cioè investimenti in cambio di meno diritti del lavoro, riducendo l'eliminazione della rappresentatività sindacale ad un mero problema di tutela del dissenso. Anche volendosi dimenticare che Marchionne si è già rivelato bugiardo e sleale, dato che appena sei mesi fa aveva presentato l'accordo di Pomigliano come dettato dall'emergenza/assenteismo in fabbrica, vale comunque ciò che aveva almeno accennato Bersani, e cioè che in questa occasione Marchionne ha scavalcato il governo e si è posto lui come nuovo gestore extra-istituzionale delle relazioni industriali.
In Parlamento giacevano due proposte di legge sulle relazioni industriali, una di Pietro Ichino, senatore del PD, e l'altra del ministro Sacconi; sia l'una che l'altra facevano a gara per compiacere le tesi di Marchionne, il quale però le ha snobbate entrambe per assumere lui il potere sulle relazioni industriali con una sorta di golpe. D'Alema non soltanto ha fatto finta di non vedere questa delegittimazione del ruolo del potere politico, ma è andato anche ad affossare uno dei principali serbatoi elettorali del PD, cioè gli iscritti alla CGIL, e ciò proprio mentre si profila la possibilità di elezioni anticipate. Il segretario generale della CGIL, Camusso, ha proposto l'espediente del sì "tecnico" all'accordo di Mirafiori, nel disperato tentativo di smussare la contrapposizione col PD, ma è chiaro che la stessa CGIL ne esce comunque con le ossa rotte e con una ulteriormente ridotta capacità di convogliare voto organizzato.
La stupidità e l'insipienza dei dirigenti della sinistra non sono in grado di spiegare tutto, e neppure le semplici compromissioni col sistema affaristico possono motivare questa suicida linea anti-partito. La pubblicistica dei giornali borghesi e gli opinionisti come Panebianco o Galli Della Loggia sono particolarmente caustici nel rilevare questo presunto deficit intellettuale del ceto politico. A parte l'inattendibilità del fatto che personaggi come Panebianco o Galli Della Loggia possano valutare l'intelligenza altrui, è anche molto dubbio che la direzione di un partito richieda particolari doti intellettuali, come se si trattasse di dipingere la Cappella Sistina. In generale tutti gli espedienti retorico-polemici dell'opportunismo si riducono al rimproverarti di non essere Dio: non sei in grado di capire la "complessità", non sei capace di guardare la storia dal piedestallo dell'onniscienza, non sei mai abbastanza creativo ed innovativo. Nel suo discorso al Meeting di Rimini invece Marchionne non solo ha rivendicato a sé queste mirabolanti qualità divine, ma ha anche precisato di riuscire a possederle senza pretendere di "avere la verità in tasca". Miracolo nel miracolo!
L'elettoralismo costituisce in realtà un'operazione elementare alla portata anche di menti molto limitate. Berlusconi, depenalizzando il falso in bilancio, ha fatto un favore a se stesso e contemporaneamente ha riscosso i voti gestiti dalla Confindustria e dalla Confcommercio; e con il condono edilizio ha salvato le sue palazzine abusive, e contemporaneamente ha rimediato i voti per vincere le elezioni regionali. La destra compra i voti distribuendo licenze di delinquere e di evadere il fisco, mentre la sinistra si dovrebbe conquistare l'elettorato difendendo le garanzie sociali.
Il Pd, che dovrebbe curare i propri orticelli elettorali, dalla GGIL alla Lega delle Cooperative, invece plaude a Marchionne che glieli scompagina entrambi distruggendo le garanzie sociali. La Lega delle Cooperative rischia infatti di essere la prossima vittima della disarticolazione del sistema delle relazioni industriali. Ciò che ha consentito sinora in Italia lo sviluppo di un solido e diffuso sistema autonomo di piccola e media impresa era proprio la garanzia costituita dalla rappresentatività sindacale, che impediva la proliferazione del sindacalismo giallo gestito dalla malavita organizzata, un fenomeno che altrove costituisce uno degli strumenti di intimidazione con cui le multinazionali riescono a vincolare la piccola e media imprenditoria al proprio carro. Distrutto il sistema delle relazioni industriali, sarà più facile per le multinazionali costringere i padroncini a delocalizzare le loro produzioni nei Paesi dell'Est Europa, come la Serbia, feudo di quella Philip Morris di cui Marchionne è "director". Si tratta di una vera e propria rapina coloniale di impianti e tecnologie.
http://www.theofficialboard.com/org-chart/philip-morris-international
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Serbia/Gli-USA-al-primo-posto-negli-investimenti-in-Serbia
La connessione tra Marchionne, la Philip Morris e il business delle delocalizzazioni in Serbia è di una evidenza così sfacciata e macroscopica che, a quanto pare, stavolta la solita retorica degli slogan epocali non è stata sufficiente a coprirla, perciò Eugenio Scalfari, per sollevare altro fumo, è stato costretto ad escogitare nuove panzane come quella del Marchionne esecutore delle volontà dei sindacati della Chrysler. Che a Marchionne ed alle multinazionali non gliene freghi nulla del comparto produttivo italiano, è dimostrato proprio dal fatto che questi "accordi" stanno distruggendo il maggiore fattore di controllo del lavoro, cioè il sindacato.
Quando un dirigente di partito agisce contro il suo partito e la sua base elettorale, se ne può dedurre che egli in effetti stia affidando le sue sorti personali a ben altri lidi ed a ben altre prospettive di carriera. Ed anche qui la dietrologia non c'entra, dato che c'è il noto precedente di Giuliano Amato, che ha lasciato l'attività politica per essere accolto come alto dirigente della multinazionale Deutsche Bank.
http://www.deutsche-bank.de/medien/en/content/press_releases_2010_4871.htm
Certo, si potrà sempre dire che è una pura coincidenza il fatto che uno che quando stava al governo faceva gli interessi delle multinazionali, poi abbia trovato la sua occasione di carriera proprio nella dirigenza di una multinazionale.
La Chiesa Cattolica ha sempre condannato come eretica la tesi secondo cui la Chiesa dovrebbe essere povera, ed in effetti i preti hanno ragione, perché una Chiesa che rinunciasse alle sue ricchezze non conterebbe più nulla. Di conseguenza, anche la dottrina liberista dello Stato "leggero", cioè alleggerito dei suoi monopoli, delle sue imprese e dei suoi patrimoni immobiliari, porta inevitabilmente all'effetto-Congo, cioè ad uno Stato talmente povero che anche la più scalcagnata delle multinazionali è in grado di mettere in campo risorse maggiori e di comprarsi in blocco la classe dirigente locale. Venti anni di privatizzazioni stanno determinando in Italia la stessa situazione, per cui oggi la politica non è neppure lontanamente in grado di prospettare possibilità di carriera e arricchimento comparabili con quelle offerte dalle multinazionali. Non a caso il mito ed il falso bersaglio della politica strutturata in "casta", sono stati creati dai media come il "Corriere della Sera" proprio nel momento in cui la "casta" in quanto tale aveva cessato di esistere, diventando un'appendice delle multinazionali.
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