Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
In queste settimane nelle quali si è registrato un esperimento sociale privo di qualsiasi precedente storico, molti commentatori hanno sottolineato il fatto che i media hanno offerto il loro “meglio” per diffondere paura, mettendo sistematicamente in ombra gli stessi dati ufficiali pur di raggiungere lo scopo di terrorizzare. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, i deceduti per Covid-19 che non avessero patologie pregresse, sarebbero in Italia soltanto dodici.
È vero, ma tale capacità di spaventare non è dovuta solo al potere di suggestione e mistificazione dei mezzi di comunicazione; infatti l’alternativa alla credulità nei confronti dell’emergenza-virus, è persino più spaventevole dell’emergenza sanitaria stessa. Si tratterebbe di constatare che si è alla completa mercé di un potere, anzi di uno strapotere, del tutto arbitrario che non esita a manipolare brutalmente la vita delle persone pur di fare il proprio tornaconto.
Nonostante tutto, e pur in questo contesto di crescente intimidazione mediatica e poliziesca, non tutti sono sufficientemente allenati a rinunciare al buonsenso e all’evidenza, perciò nei radi incontri a distanza consentiti dalle attese o dalle file, c’è ogni tanto una persona che lancia qualche frase prudente per sondare il terreno, in modo da capire se sia il solo a dubitare. Tra l’altro, per molti anziani risulta ostico credere ad un potere che si accora tanto per la loro sorte, vista la disinvoltura con la quale negli ultimi decenni sono state colpite la Previdenza e la Sanità, un fattore che aveva determinato un pesante calo della vita media, da molto prima che si parlasse di pandemie.
Come diceva quel tizio migliaia di anni fa, già il sapere di non sapere rappresenterebbe un buon punto di partenza, però ciò non toglie che qualche mollichina da seguire, qua e là, ci sia. Scavando negli anni passati, si scopre che nel 2015 già si stava preparando un clima emergenziale da virus Corona. Da tre anni prima, nel 2012, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva registrato delle sindromi respiratorie in Medio Oriente; nel 2015 si segnalava una presunta esplosione di casi di contagio in Corea del Sud. Nel 2015 sembrava quindi che l’OMS fosse a un passo dal proclamare la pandemia su scala planetaria.
Nel gennaio del 2015 il “filantropo” Bill Gates aveva lanciato un allarme, secondo il quale bisognava prepararsi ad una guerra contro una pandemia mondiale (ma che uomo preveggente!). La dichiarazione era abile perché combinava il fascismo col politicamente corretto, la retorica bellicista con la retorica umanitaria.
Da bravo lobbista, Bill Gates considerava i vantaggi di un’emergenza pandemica in termini di business: non solo i miliardi e miliardi di dosi di vaccino da vendere, ma anche i profitti enormi per l’alta finanza, poiché la brusca recessione economica dovuta alla pandemia avrebbe determinato un’ancora più acuta dipendenza debitoria degli Stati e delle famiglie nei confronti delle multinazionali del credito (come si vede, business ed economia non sono la stessa cosa). Per non parlare poi della posizione monopolistica a livello commerciale che le quarantene concedono alle multinazionali digitali della distribuzione, come Amazon.
Nel 2015 tutto sembrava bello e pronto per far scattare il business della pandemia, ma qualcosa non funzionò. Il fatto è che non basta avere gli ingredienti giusti per fare il pasticcio, ci vuole anche qualcuno che te lo metta in forno. Il lobbismo industriale e finanziario può anche allestire i propri mega-business, ma se non trova l’intreccio con gli interessi militari di qualche grande potenza, non va da nessuna parte. Del resto lo sa benissimo proprio Bill Gates, che avrebbe potuto partecipare a tutti i riti delle sette sataniche di cui farebbe parte secondo le dicerie, ma se non fosse stato prescelto dal Pentagono per commercializzare a livello civile le tecnologie militari di internet, a quest’ora farebbe al massimo il fattorino.
Si è diffusa la tesi secondo la quale l’epidemia cinese sarebbe stata provocata dagli USA. La voce ha trovato una conferma da parte dello stesso governo cinese. Tecnicamente sarebbe possibile, poiché le armi virologiche esistono e non certo da oggi. Questa tesi comporterebbe però l’accreditare l’effettiva pericolosità di tale virus, solo che di prove a riguardo non ne sono state fornite. Un’arma virologica che possa definirsi tale, non può essere un virus opportunista che si limita ad ammazzare quasi soltanto persone anziane e già malate. Si tratta di una vera arma solo se colpisce anche, e soprattutto, le persone giovani e valide.
A ben guardare però gli Americani c’entrano (gli Americani c’entrano sempre). L’attuale schema di aggressione degli USA nei confronti dei giganti asiatici (Russia e Cina) è quello della destabilizzazione interna, cioè di cercare di smembrarli in Stati più piccoli: di un gigante fare parecchi nani. Si tratta di una guerra atipica, di una guerra a bassa intensità, ma pur sempre di guerra. Per non trasformare il concetto di guerra in una mera astrazione o in una vaga metafora, occorre definire come “guerra” tutto ciò che concerne il conflitto per il controllo del territorio. Nel momento in cui si favorisce, organizza e finanzia una rivolta interna a un dato Paese per provocare una secessione territoriale, si sta facendo un atto di guerra.
Il fatto che la rivolta di Hong Kong fosse una “rivoluzione colorata” organizzata dal Dipartimento di Stato USA e dalle sue ONG, non vuol dire che quella rivolta non toccasse storici nervi scoperti dell’impero cinese. Come tutte le costruzioni nazionali, la Cina è un artificio, perciò in Cina c’è sempre stata la contraddizione tra un nord più autarchico e proiettato verso la terra, e un sud-est a vocazione marittima e commerciale. Nel nord e nel sud-est della Cina si parlano persino lingue diverse. Se gli USA fossero riusciti a staccare dalla Cina la città di Hong Kong e l’area cantonese, probabilmente la prossima loro meta sarebbe stata la secessione della Manciuria, e così via. Negli anni passati i dirigenti cinesi si erano troppo concentrati sul Tibet, perdendo di vista che i veri punti deboli dell’impero cinese erano altri.
La pandemia universale tanto desiderata dall’OMS e da Bill Gates sarebbe rimasta forse un sogno nel cassetto, un sogno proibito, per tanto tempo, magari per sempre. Le esigenze di controllo del territorio da parte del governo cinese hanno fornito però all’OMS l’assist, la sponda, l’avallo di cui aveva bisogno: niente di meglio di una bella epidemia per costringere tutti i cittadini di Hong Kong a stare in casa e stroncare così le rivolte.
L’altro indispensabile assist per l’OMS è arrivato dal secessionismo lombardo e dai suoi storici agganci in Germania. Per i media italiani l’argomento è tabù, mentre in Germania si discute tranquillamente di tutte le iniziative per favorire i separatismi di quelle aree, dalla Lombardia alle Fiandre, che sono già integrate nelle filiere produttive tedesche. Questo atteggiamento delle oligarchie tedesche appare quantomeno sconsiderato, dato che mette in pericolo in prospettiva persino la stessa unità della Germania. Il separatismo bavarese infatti sta già approfittando di queste acquisizioni coloniali per promuovere una secessione della Germania meridionale. Ma tant’è.
Alla lobby dei vaccini dell’OMS questi risvolti geopolitici interessano poco e quello che conta è di aver trovato l’ultimo tassello del puzzle pandemico. Per quanto sia importante la Cina, senza la “testa di ponte” lombarda del Covid-19 in terra europea, all’OMS non sarebbe stato possibile proclamare la pandemia mondiale.
Nel caso italiano l’emergenza-pandemia non è servita come in Cina a mantenere l’integrità del territorio, bensì, al contrario, a operare un travaso di poteri alla Regione Lombardia, a colpi di fatti compiuti, giustificati dall’emergenza sanitaria. Il vero test era però nei confronti del governo italiano e delle burocrazie dello Stato centrale, per capire quanto e come avrebbero reagito ad un’iniziativa autonomista così radicale. Le reazioni sono state timide, esitanti e subito rientrate. Alla fine è stata sempre la Regione Lombardia a dettare la linea al governo per tutto ciò che concerne l’emergenza sanitaria. Per il separatismo lombardo la strada appare spianata.
Si è ormai di fronte all’evidenza di un colpo di Stato in Italia. Si tratta però di un colpo di Stato atipico. Nei colpi di Stato “normali” è un governo centrale ad acquisire e gestire tutto il potere. Assistiamo invece ad una strana contraddizione, per cui le libertà fondamentali, e persino elementari, dei cittadini vengono azzerate, mentre le prerogative delle autonomie locali non solo non vengono toccate, ma si dilatano al punto da violare completamente l’ordinamento vigente. L’emergenza sanitaria ha impresso al regionalismo la più forte spinta dell’ultimo mezzo secolo, creando nuovi precedenti che hanno sovvertito l’assetto istituzionale in termini tali da rendere ormai obsolete e preistoriche le pur larghissime concessioni del ministro Boccia all’autonomia differenziata. Vediamo di ricostruire il quadro della situazione.
Se i dati sulla mortalità per Corona Virus della Regione Lombardia fossero stati riscontrati in qualche Regione meridionale, si sarebbe, del tutto giustamente, invocato ed attuato il commissariamento della Sanità di quella Regione per stabilire le cause di una tale anomalia. Al contrario, la Regione Lombardia non solo non è diventata oggetto di indagine da parte del governo, ma addirittura ha acquisito una posizione di privilegio, per cui può dettare la linea di condotta all’intero Paese. È stata infatti la Giunta regionale lombarda ad annunciare lo stato di emergenza e ad imporlo al governo.
Già dal febbraio scorso le cose avevano assunto questa piega paradossale. Di fronte alle perplessità del Presidente del Consiglio Conte per le “invasioni di campo” della Regione Lombardia, l’assessore alla Sanità di quella Regione reagiva in modo insolente, accusando Conte di ignoranza e intimandogli in pratica di conformarsi a quanto gli veniva imposto. Di fronte a tanta arroganza, Conte si è ritirato con la coda tra le gambe. Il governo, da Roma, si era spostato a Milano.
Si era creata infatti una di quelle situazioni in cui interessi diversi avevano trovato un comune denominatore emergenziale e si sono fatti da sponda l’uno con l’altro. La Cina aveva interesse ad enfatizzare il pericolo del contagio per sedare la rivolta interna di Hong Kong; l’Organizzazione Mondiale della Sanità (alias la lobby dei vaccini) non aspettava altro che l’occasione per proclamare lo stato di pandemia a livello planetario, perciò ha offerto agli allarmismi della Regione Lombardia tutto il credito possibile. A loro volta Fontana e soci avevano trovato l’occasione d’oro, quella che si presenta una sola volta nella vita, cioè veicolare e camuffare il proprio autonomismo/separatismo con l’alibi inattaccabile, “oggettivo”, dell’emergenza sanitaria, evitando di fare la fine ingloriosa del separatismo catalano, che aveva avuto l’ingenuità di uscire troppo allo scoperto. Forse è un caso ma il flirt del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, con la Cina era cominciato già da qualche mese, ufficialmente per viaggi d’affari.
In tutto il mondo il Corona Virus presenta tassi di mortalità comparabili con quelli di una normale influenza. Solo in Lombardia i dati hanno assunto proporzioni allarmanti, superiori persino a quelle segnalate dalla Cina. La stessa stampa mainstream non può fare a meno di notare che qualcosa non torna nei metodi di rilevamento dell’infezione e si insinua il dubbio che i numeri siano se non taroccati quantomeno confusi.
In questi giorni, il quotidiano francese “Le Monde” si chiede: "E se facessimo altrettanto contro l'influenza?". In effetti è piuttosto strano che l'influenza stagionale passi quasi sotto silenzio; eppure in Francia i numeri sono impressionanti: 8100 decessi nel 2019, 13.000 nel 2018 e ben 14.000 nel 2017. Visto che i numeri in Italia sono paragonabili, c'è da chiedersi dove siano finiti i decessi per influenza semplice e per polmonite in questo periodo.
Forse è possibile spiegare il collasso delle strutture ospedaliere anche con la sovrapposizione di persone colpite dal mitico virus e di quelle colpite da influenza grave e da polmonite che negli anni scorsi venivano fatti "tranquillamente" morire a casa, magari con la diagnosi neutra di “arresto cardiaco”. Da anni in Italia molti anziani avevano infatti rinunciato al sistema sanitario a causa degli alti costi. Fra l'altro, sembra ormai certo che le persone morte per altre malattie, ma che in sede di referto autoptico risultano positive al CV19, vengono conteggiate tutte come vittime del Covid.
Del resto anche negli ambienti scientifici si comincia a sospettare che proprio l’ospedalizzazione massiccia abbia determinato un “effetto lazzaretto”, cioè la creazione di aree in cui i degenti potessero scambiarsi le rispettive patologie. D’altronde anche l’effetto lazzaretto può spiegare solo in parte il divario delle cifre sui morti.
La Francia, come la Cina, aveva un preciso interesse ad enfatizzare l’emergenza sanitaria allo scopo di sedare le rivolte interne; eppure la Francia ha spinto sull’acceleratore emergenziale meno dell’Italia. Da noi la realtà dell’emergenza non può assolutamente essere messa in discussione e giustifica continue restrizioni. Nei giorni scorsi la Regione Lombardia ha intimato al governo di imporre la chiusura delle fabbriche. I toni della Regione Lombardia sono stati ultimativi: o fai quello che ti diciamo, oppure l’ordinanza di chiusura delle produzioni “non essenziali” (e quali sarebbero?), la facciamo noi. Conte si è calato le brache ancora una volta, anche perché sapeva bene che Fontana sarebbe stato immediatamente seguito acriticamente dagli altri presidenti di Regione, ormai ubriacati dal nuovo protagonismo che gli è capitato tra le mani. Se oggi Fontana e soci possono tenere in ostaggio un intero Paese, è anche grazie alla sete di potere di questi nuovi ducetti.
La Lega ha ovviamente sponsorizzato la linea della Regione Lombardia ed al diktat si è adeguata anche la Meloni, a dimostrazione di quanto diceva Benedetto Croce, cioè che i fascisti fanno un’ambigua retorica nazionale ma, nei fatti come nello stile comunicativo, sono degli anti-italiani. Al presidente di Confindustria Boccia è toccato il ruolo, per lui inedito, di chi richiama al buonsenso, ricordando che le produzioni sono quasi tutte interconnesse, per cui, tolta la bigiotteria o l’alta moda, tutto è essenziale. Non si possono produrre generi alimentari senza macchinari, senza pezzi di ricambio, senza detersivi, senza tute da lavoro, eccetera. I sindacati invece si sono schierati con la Regione Lombardia. Maurizio Landini è diventato ormai il clone del sindacalista giallo Marco Bentivogli, perciò ha imboccato la strada dello sciopero generale per spingere il governo alla chiusura delle fabbriche, senza minimamente chiedersi quante di queste riapriranno, cioè quanti imprenditori approfitteranno della situazione per delocalizzare le produzioni. Che il colpo di Stato autonomista (o separatista?) della Regione Lombardia abbia trovato appoggi nelle cancellerie estere e nelle lobby industriali e finanziarie degli altri Paesi europei, è quindi abbastanza ovvio. Saccheggiare il sistema industriale italiano sarà ora un gioco da ragazzi. Come pure sarà uno scherzo, a questo punto, imporre ad un’Italia economicamente prostrata la ratifica del MES.
Forte degli appoggi finanziari bavaresi e dell’ispirazione di quel centro di destabilizzazione europea che è l’Intereg di Monaco di Baviera, la Lega in questi anni ha agito come un’agenzia di dissoluzione dello Stato unitario e, al tempo stesso, ha creato il fantoccio pseudo-sovranista Matteo Salvini, in modo da occupare preventivamente lo spazio politico di coloro che avrebbero potuto contrastarla. Tutto è avvenuto con la complicità dei talk-show, i quali, nel momento in cui la Lega integrava le Regioni del Nord nella Macroregione Alpina a guida bavarese, propinavano all’opinione pubblica la fiaba della Lega “partito nazionale”. Il colpo di Stato della Regione Lombardia è una rivincita storica di quella corrente politica filogermanica che i rivoltosi milanesi delle Cinque Giornate del 1848 chiamavano spregiativamente gli “austriacanti”. Pare proprio che oggi gli “austriacanti” siano all’offensiva.
Ringraziamo il compagno Mario C. "Passatempo" per i suggerimenti e le segnalazioni.
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