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"Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea."

Oscar Wilde
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 07/11/2024 @ 00:01:01, in Commentario 2024, linkato 5769 volte)
La questione coerenza/incoerenza è un’esca dialettica piuttosto abusata, eppure quasi sempre riesce a far abboccare i pesci (o i polli) all’amo. Un ulteriore esempio lo si è avuto con lo spot governativo contro l’evasione fiscale, che ha suscitato i prevedibili commenti sarcastici sul governo Meloni che parla di lotta agli evasori mentre vanta il record dei condoni fiscali. Non si è notato così che lo spot contiene delle informazioni false. Anzitutto consolida il mito secondo il quale le principali imposte siano quelle sul reddito, dimenticandosi di quelle sui consumi ed in particolare delle accise sui carburanti. La seconda informazione falsa riguarda l’immagine dell’evasore fiscale, associata tout court alla figura del ricco privilegiato.
In realtà l’evasione fiscale è soprattutto una pratica del lavoro autonomo, quindi del ceto medio di professionisti, artigiani e bottegai. Tra gli “evasori fiscali” si possono annoverare anche i lavoratori in nero; e questo è un dettaglio che all’occorrenza viene sottolineato con maligno compiacimento da parte di esponenti della destra quando risulta utile per imbarazzare la sinistra. Le grandi imprese multinazionali invece non hanno bisogno di evadere il fisco, poiché possono permettersi di eluderlo. Avere la sede legale nel paradiso fiscale olandese non è neppure un’esclusiva dei grandi gruppi privati come Stellantis, Mediaset o Ferrero, ma è una scelta anche di imprese a partecipazione pubblica come ENI ed ENEL. In quanto maggiore azionista di ENEL e, tramite Cassa Depositi e Prestiti, anche di ENI, il Ministero Economia e Finanze elude il suo stesso fisco. Siamo alla barzelletta.
Ma c’è anche una terza falsità nello spot governativo, che infatti ripropone la solita narrazione in stile apologo reazionario di Menenio Agrippa sul corpo sociale in cui tutte le membra devono concorrere al “bene comune”; che poi, chissà perché, coincide sempre con quello dei ricchi. Questa concezione organica del corpo sociale, che ignora l’oppressione di classe dei ricchi contro i poveri, è diventata l’ideologia concessa in appalto alla cosiddetta “sinistra”. Ancora una volta è la destra a suggerire alla sinistra cosa deve pensare e professare, gonfiando il mito del fisco come strumento redistributivo a vantaggio dei poveri (la presunta “via fiscale al socialismo”); lasciando poi alla “sinistra” stessa l’incombenza di sciogliere inni di lode alle tasse e di propinare alle masse la fiaba secondo la quale i proventi fiscali si tradurrebbero in “servizi sociali”. Al contrario, la stessa Meloni si premura di farci sapere che la manovra finanziaria del governo si concentra sul destinare risorse pubbliche alle imprese, ovviamente alle “imprese che assumono”. Si tratta dell’ennesimo falso storico. Non c’è nessun nesso consequenziale tra sussidi governativi alle imprese e aumento dei posti di lavoro, semmai la storia e la cronaca dicono l’esatto contrario.

Magari il pensiero va agli Elkann che riscuotono denaro pubblico per distribuirsi dividendi mentre chiudono le fabbriche in Italia. Ma gli Elkann fanno parte di una tradizione familiare consolidata. Dal 1977, cioè dai governi di unità nazionale, la FIAT di Gianni Agnelli ha riscosso varie decine di migliaia di miliardi di lire in sussidi governativi, e si parla di finanziamenti extra rispetto ai soliti contributi per la cassa integrazione, che seguono altre vie di finanziamento. Si spende denaro pubblico per tenere in piedi la mistificazione del capitalismo privato. Ma questo è ancora niente rispetto all’orrida cronaca.
Grazie ai miliardi elargiti nel 1977 da un governo appoggiato anche dal Partito Comunista di Berlinguer, la FIAT nel 1980 fu messa nelle condizioni di forza per inasprire lo scontro di classe e imporre i licenziamenti. In un’intervista del “Manifesto” ad un dirigente FIOM si parlava praticamente di tutto il folklore e il fumo mediatico annessi alla narrativa su quella vertenza FIAT del 1980, senza farsi sfuggire quella pagliacciata definita dai media “Marcia dei Quarantamila”. L’unico dettaglio che ci si dimentica nell’intervista è quello concreto dei finanziamenti pubblici alla FIAT, usati per licenziare e non per assumere.
Ci sono definizioni suggestive del socialismo e del comunismo, ma intanto si potrebbe anche segnalare che sarebbe il caso di smettere di spendere denaro pubblico per mantenere in piedi la costosa mistificazione del capitalismo privato. La spremitura fiscale dei contribuenti poveri non è un dettaglio secondario nel funzionamento del cosiddetto “capitalismo”, ovvero del sistema di assistenzialismo per ricchi. L’elemosina dei poveri nei confronti dei ricchi viene occultata tramite la generica retorica antifiscale annessa alle fiabe del sedicente liberismo. Nel frattempo la pressione fiscale sui contribuenti poveri viene aumentata tramite l’inasprimento delle tasse sui carburanti: è ciò che hanno fatto Margaret Thatcher, Ronald Reagan ed ora anche il loro emulo Milei in Argentina.
 
Nessuno si interessa all’opinione degli albanesi sugli hub per migranti dislocati nel loro paese dal governo Meloni. Per quanto se ne è potuto sapere attraverso contatti episodici, l’opinione pubblica albanese è assolutamente contraria all’operazione e, addirittura, sospetta che sia un espediente del governo italiano per scaricare illegalmente i migranti in Albania lasciandoli evadere dai centri di raccolta. In generale gli albanesi fanno benissimo a diffidare degli italiani ma, nel caso specifico, l’ipotesi che gli hub siano in realtà centri di evasione presenta molti buchi. L’Albania è troppo vicina all’Italia e sarebbe quindi il nostro territorio la prima meta degli eventuali evasi, dato che l’Albania stessa manca dell’attrattiva fondamentale per qualsiasi migrante, cioè una moneta forte. La moneta albanese, il lek, ha più o meno lo stesso valore delle monete dei paesi di provenienza dei migranti, quindi non consentirebbe di guadagnare sul cambio tra una moneta forte, come l’euro o il dollaro, ed una moneta debole. Soltanto attraverso l’effetto cambio i bassi salari dei migranti possono consentire di mantenere le famiglie rimaste nella madre patria e, al tempo stesso, di pagare gli interessi sui debiti. Ormai abbonda la letteratura scientifica sul nesso causale tra indebitamento e spinta migratoria, ma i media continuano a far finta di nulla. Meglio mantenere il discorso sulla migrazione sul piano ludico del wrestling retorico tra buonisti e cattivisti, tra accoglienti e respingenti, invece di rischiare qualcosa parlando degli interessi delle multinazionali finanziarie nella proliferazione mondiale del microcredito e nella conseguente destabilizzazione sociale.
L’esternalizzazione degli hub per migranti ha trovato molti supporter sui media ed anche tra politici europei. Per difendere l’operazione in Albania si è anche un po’ barato sui conti, comparando gli attuali cinque miliardi di spesa per l’accoglienza con gli ottocento milioni del costo degli hub in Albania. In realtà nel computo dei costi occorre tener conto non solo di quanto speso per la costruzione degli hub ma anche delle spese della gestione annua e dei trasporti. Sarebbe stato invece interessante non soffermarsi sulla falsa alternativa tra l’accoglienza e l’esternalizzazione, ed invece comparare i costi con un’operazione molto più semplice, cioè ottenere il rimpatrio volontario dei migranti in cambio del pagamento da parte delle autorità italiane per l’estinzione dei loro debiti. In questo caso l’effetto cambio si rovescerebbe a favore del rimpatrio poiché si tratterebbe di pagare con valute “pregiate” i debiti contratti dai migranti in valute deboli. Quest’operazione avrebbe però un enorme difetto: non creerebbe un giro d’affari, come invece fanno sia l’accoglienza, sia l’esternalizzazione.

Nei confronti dell’accoglienza l’esternalizzazione presenta un vantaggio in più, e non da poco. Anche in questo caso la ricerca ha svelato l’arcano. Il vero fascino dell’esternalizzazione non consiste soltanto nella possibilità di comprare lavoro e servizi a prezzi competitivi grazie al solito effetto cambio, ma soprattutto nel trovare margini molto più ampi per il riciclaggio del denaro dato che si opera all’estero. Si può trattare di auto-riciclaggio per evasione fiscale, o di riciclaggio di denaro di provenienza illegale; oppure, meglio ancora, di riciclaggio di denaro pubblico, come nel caso degli hub per migranti, per cui una parte dei fondi pubblici stanziati può essere “privatizzata” abusivamente. L’esternalizzazione è quindi fisiologica alla cleptocrazia. Il caso da manuale è Israele, cioè l’esternalizzazione della cleptocrazia americana. Non per nulla il quotidiano “Jerusalem Post” si vanta nel considerare il numero sterminato di aziende che esternalizzano le loro attività in Israele.
Ovviamente in Italia questa rimane solo teoria, dato che qui certe cose brutte non succedono, perciò sarebbe ingeneroso attribuire a motivazioni così meschine la passione per l’esternalizzazione da parte della Meloni. Oltretutto alla fascista Meloni sono venuti in soccorso anche “sinceri democratici” come Ursula von der Leyen e Keir Starmer, tutti a celebrare i presunti vantaggi di spargere all’estero i centri per migranti. Ammesso che questi personaggi politici siano in grado di avere delle opinioni proprie e non si muovano invece come semplici palline da flipper alle pressioni del lobbying. Una volta i lobbisti si limitavano a scrivere le leggi ai politici, mentre oggi gli forniscono anche slogan e narrative, cioè un tutoraggio completo per fintocrati. Le analisi sul nesso tra esternalizzazione e riciclaggio risultano abbastanza puntuali nel descrivere il fenomeno ma, chissà perché, quando si tratta delle modalità di controllo e contrasto al riciclaggio, tutto si risolve nel consueto elenco di esortazioni e buone intenzioni.
A proposito di esternalizzazioni, in base ai dati della Banca Mondiale l’Albania ha un record: è infatti al primo posto nel mondo per la presenza di banche straniere. In Albania non migrano lavoratori stranieri ma banche straniere sì. La presenza in Albania di tanti istituti finanziari multinazionali coincide sfortunatamente con un primato mondiale anche nelle attività di riciclaggio; ciò almeno secondo i dati della Procura albanese per il contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata. Come fintocrati i magistrati sono diventati molto più bravi dei politici, tanto che sembrano sempre sulla breccia ed in procinto di processare l’intero establishment, ma è tutto illusionismo. Purtroppo i soliti malpensanti approfitteranno lo stesso di questa malaugurata coincidenza tra il riciclaggio e la presenza di tante banche straniere per ricamarci sopra.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


21/11/2024 @ 13:49:35
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