Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La concezione pseudo-razionalistica del potere ce lo descrive come un rapporto negoziale asimmetrico, cioè con un contraente forte ed un altro contraente debole o debolissimo: se non rispetti le leggi ti sbatto in galera, se non paghi la bolletta ti taglio la corrente, se non studi ti boccio, se non paghi il pizzo t’incendio la bottega, eccetera. La base del potere sarebbe quindi una concreta minaccia con la conseguente paura del minacciato.
Se la questione fosse così lineare, non si starebbe da millenni ad interrogarsi sulla natura del potere. La realtà è che se non rispetti le leggi puoi incorrere in sanzioni, ma se cerchi di rispettarle il potere può anche trattarti molto peggio. Anche l’idea che il potere si fondi sulla paura ha ovviamente dei riscontri oggettivi, ma alla paura ci si abitua, ed inoltre la paura può anche essere razionalizzata.
Analizzare razionalmente il potere non vuol dire affatto accettare supinamente che il potere sia razionale; al contrario, il nonsenso e l’autosmentita rappresentano la costante del suo comportamento e della sua comunicazione, per cui il potere risulta schizogeno e schizocratico. La politica economica di questi ultimi decenni è stata fondata su vari ossimori, tra cui la “austerità espansiva”. È vero che il capitalismo è deflazionista e pauperista, ma nella “stagnazione secolare” come si potranno mai pagare le tasse e i debiti?
Il riferimento alla conflittualità interimperialistica e intercapitalistica può spiegare alcune incongruenze a cui assistiamo, ma non si scorge traccia di tale conflitto allorché si mettono a confronto le varie politiche economiche. Se davvero il cialtrone Trump voleva difendere i capitali più nazionali contro quelli transnazionali, che senso aveva ridurre indiscriminatamente le tasse a tutte le corporation?
Il potere non vive di progettualità ma di potere, quindi nella beata irresponsabilità. In termini di puro dominio, il nonsenso paga; poiché il nonsenso è più seduttivo della paura. Al presidente USA Harry Truman è attribuita la sentenza in cui è sintetizzato il principio della psicoguerra: “Se non puoi convincerli, confondili”. Nella realtà vediamo che il potere preferisce confondere piuttosto che convincere, poiché le convinzioni possono cambiare. Sia il dominio fondato sulla paura, sia il consenso basato sul convincimento, risultano incerti e transitori, mentre uno stato confusionale può perpetuarsi indefinitamente nel tempo, stabilendo un senso di smarrimento e di fragilità permanente e quindi una dipendenza duratura.
Ci sono psicopatici, che sebbene non si trovino in posizione di forza, possono ugualmente stabilire rapporti di dominio su altre persone; ciò attraverso uno schema comportamentale in cui si alterna l’atteggiamento di dare una esagerata importanza all’altro, con un atteggiamento esattamente opposto, di disprezzo e irrisione. In tal modo si instilla nella vittima la persuasione di aver perduto la benevolenza dell’altro a causa di qualche proprio errore o mancanza. Mentre la paura può essere razionalizzata, lo stato confusionale spinge invece ad un’acritica identificazione col proprio aggressore.
Vediamo come nella gestione dell’emergenza Covid il potere si è comportato come quegli psicopatici, alternando un’attenzione esagerata per la salute e la vita dei cittadini con un disprezzo assoluto per la loro sopravvivenza economica. Già di per sé l’emergenza rappresenta una plateale autosmentita del potere, che esibisce oscenamente la propria inettitudine e la propria incapacità, per poi utilizzarle invece come pretesti per riaffermare il proprio dominio. Persino i più sordidi business connessi all’emergenza vengono sbattuti in faccia all’opinione pubblica con la tecnica comunicativa già rilevata da fra Cristoforo; per cui il potere “può adirarsi che tu mostri sospetto di lui e, al tempo stesso, farti sentire che quello di che tu sospetti è certo”.
Il cosiddetto cittadino comune oggi non sa cosa voglia il potere da lui. Il cittadino si sforza di seguire alla lettera le regole più assurde, prima draconiane, poi falsamente permissive (ti lascio uscire a patto che non esci); ma più ci si sforza di fare i bravi bambini per accontentare la mamma, più ci si trova caricati di minacce per il futuro. Questa situazione suscita solo scarse velleità di ribellione, mentre rafforza nei più la sensazione di avere in sé qualcosa di sbagliato. Uno stato confusionale crea perciò molta più dipendenza della paura o del consenso.
Questo potere a personalità bipolare ci indica mete di salvezza, ci impone l’icona mariana della Merkel per prostrarci e mostrare eterna gratitudine, ci raffigura il banchetto dei duecentonove miliardi del Recovery Fund (pochissimi in effetti per l’entità del disastro economico) che dovrebbero risolvere tutti i nostri problemi; ma, contemporaneamente, ci anticipa che non saremo affatto capaci di spendere quei soldi, perché non abbiamo i progetti; abbiamo invece la burocrazia inefficiente e siamo pure corrotti, evasori, mafiosi, e chi più ne ha più ne metta.
La psicoguerra contro i propri stessi sudditi, e persino contro lo stesso personale politico, è quindi intimamente connessa alla pratica del potere. Creando continuamente confusione e caos, ogni sistema di potere va incontro all’autointossicazione. Il sistema si droga di emergenza, caricandola di attese palingenetiche. Molti ricorderanno le frasi di Romano Prodi e Mario Monti sulle crisi mandate dalla Provvidenza per consentire al progetto europeo di avanzare, magari verso il baratro. L’emergenzialismo palingenetico ha contagiato anche molti soggetti della “sinistra radicale”, che hanno visto nel Covid una “occasione”.
Per questo motivo la categoria del tradimento è invocata troppo spesso per inquadrare o spiegare i continui cedimenti alle ingerenze coloniali, rischiando di banalizzare il problema. Il Grande Fratello è un mito ed il potere è pur sempre gestito da esseri umani, per cui si è contemporaneamente attori e vittime della psicoguerra. Ci si affeziona morbosamente ai nonsensi ed agli ossimori come se fossero il segnale di una ricchezza e di un’apertura di pensiero.
Il MES è insensato dal punto di vista economico e finanziario, per cui si tratta di una tipica operazione bellica di conquista coloniale, nella linea storica del “vincolo esterno”; un vincolo che è invocato da gran parte del nostro ceto politico per ovviare alle presunte tare storiche dell’Italia. Le oligarchie del Nord sognano persino di usare il commissariamento europeo come una sorta di veicolo per la secessione. Ma l’autocolonialismo è una tipica operazione schizofrenica, un sogno di potenza da realizzare non attraverso forze proprie, bensì nella puerile identificazione con un idealizzato padrone, che però non potrà mai accettare di condividere le sue glorie con i Paesi sudditi; e poi anche il padrone deve vedersela con altri padroni.
Un po’ di psicoguerra non la si fa mancare nemmeno nei confronti dei mitici Tedeschi. Il Consiglio d’Europa ha sede a Strasburgo ma non c’entra con l’Unione Europea, ed è un organo sovranazionale di più diretta obbedienza agli USA. Ora il Consiglio d’Europa si è accorto improvvisamente che il governo e la legislazione della Germania sono troppo manipolati dalle lobby e chiede “più trasparenza”. Anche questa richiesta appare un po’ schizofrenica: chiedere trasparenza alle lobby è come chiedere al Conte Dracula di esporsi al sole, cioè di svanire.
La perdita di qualsiasi potenziale di critica e di opposizione da parte della cosiddetta “sinistra”, si manifestò tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ’70 con l’adozione del concetto di “legalità”. La funzione della Legge non è di instaurare un sistema di regole condivise, bensì di fondare un nuovo spazio, quello
dell’illegalità, che diventa feudo soltanto di alcuni privilegiati che possono avvantaggiarsene in esclusiva. Ogni potere si caratterizza per il fatto di conferire uno status ad uno specifico tipo di criminalità comune, perciò, ad esempio, briganti e mafiosi divennero le aristocrazie e le cavallerie dell’antichità e del medioevo.
Nell’epoca moderna lo sviluppo dei sistemi di comunicazione e di trasporto aprì nuove possibilità per forme di criminalità comune molto meno radicate in un particolare territorio, come la pirateria e la frode commerciale e finanziaria. Le banche, le Borse e le compagnie commerciali (antenate delle attuali multinazionali), rappresentarono l’istituzionalizzazione e la consacrazione di queste forme di criminalità comune più “sradicate” e globali, cioè meno legate al controllo di uno specifico territorio. Nessun potere però è in grado di eludere del tutto la questione del controllo del territorio, perciò il potere globale della finanza non può fare a meno della sponda del militarismo, dell’intreccio con le burocrazie militari e statali, anche con il metodo della porta girevole tra incarichi privati ed incarichi pubblici.
L’istituzione della Borsa valori determinò le condizioni per la nascita di una forma di criminalità quasi del tutto nuova e inedita, cioè il giornalismo. I giornalisti erano nuovi tipi di criminali in funzione di un nuovo tipo di reato: l’aggiotaggio, cioè la diffusione di notizie false e tendenziose allo scopo di alterare il valore di merci o titoli.
Ci si accorse però ben presto che la funzione di intossicazione svolta dalla stampa poteva essere a sua volta intossicata con forme di comunicazione ancora più sofisticate: le pubbliche relazioni. Il truffatore può essere a sua volta truffato, cioè si manipola il giornalista per farne un latore inconsapevole di notizie che corrispondono ad interessi diversi da quelli del proprio mandante originario. Finanza, giornalismo e pubbliche relazioni sono sempre stati fenomeni strettamente correlati, che si intrecciarono da subito con l’istituzione dei moderni servizi di “intelligence”, la cui funzione non è più solo quella del tradizionale e atavico spionaggio, ma soprattutto di intossicazione e infiltrazione dei sistemi informativi altrui.
Una delle “invenzioni” più efficaci del sistema delle pubbliche relazioni fu il “capitalismo filantropico”, una dimensione in cui la speculazione commerciale e finanziaria trova un alibi morale e l’ombrello dell’immunità fiscale, e in più l’occasione di fare cordata con le operazioni di ingerenza e aggressione imperialistica. Il filantrocapitalimo (o filantroimperialismo) è quindi un fenomeno composito, nel quale il lobbying finanziario e commerciale si combina con le operazioni di guerra psicologica e di guerra imperialistica ibrida “a bassa intensità”. Per la sua stessa complessità l’apparato del filantroimperialismo può incorrere in fenomeni di autointossicazione.
Nell’ottobre dello scorso anno una “esercitazione/simulazione” su un’epidemia di Covid era stata organizzata dal John Hopkins Center for Health Security, dalla Bill&Melinda Gates Foundation e da altre fondazioni “filantropiche” non profit. Nella simulazione il contagio partiva dal Brasile a causa dell’infezione di allevamenti di maiali da parte di pipistrelli.
I dirigenti cinesi in quel periodo erano in grave difficoltà per la rivoluzione colorata di Hong Kong, determinata da ingerenze imperialistiche statunitensi e britanniche. La dirigenza cinese non ha fatto altro che adottare quello schema impostato nella simulazione Covid, trovandoci un pretesto per imporre la disciplina interna. In Cina il famigerato pipistrello non ha infettato maiali ma pesci o pangolini, lo scenario però non è cambiato di molto rispetto all’originale. Sarebbe interessante chiedersi da quanto tempo il Covid circolava senza che le autorità ne facessero un allarme o un’emergenza; ma è più interessante rilevare che una simulazione di guerra imperialistica “a bassa intensità” elaborata negli USA, sia stata ripresa e ritorta tatticamente contro gli autori per difendere l’integrità territoriale della Cina.
Il non profit è un paradiso fiscale in casa, perciò le fondazioni filantropiche possono attirare capitali e canalizzarli verso i vari business alla faccia di qualsiasi conflitto di interessi. Un sistema di dominio che non si fa scrupolo di limitare le libertà più elementari dei cittadini comuni, conferisce alla libera circolazione dei capitali questo ulteriore viatico a carattere “morale”.
Ma anche in questa situazione ultraprivilegiata non mancano i rischi di autointossicazione, a causa della sovraesposizione di alcuni personaggi chiamati ad interpretare la parte del “miliardario filantropo”. Quando Bill Gates pubblicizza i suoi cessi ecologici e salva-pianeta, conferendo ad un business il salvacondotto umanitario del non profit, finisce non solo per fare la figura del pagliaccio, ma soprattutto va a screditare l’intero sistema del filantroimperialismo.
D’altra parte anche gli dei della Bibbia e dell’Iliade facevano figure di merda ad ogni piè sospinto. Più è surreale l’inconsistenza di certi personaggi, più si ribadisce l’umiliante e superstiziosa dipendenza nei confronti di quegli improbabili salvatori dell’umanità. Lo spettacolo della disuguaglianza sociale viene così promosso a culto, a nuova religione ufficiale.
Ridotto a materia inerte per le sperimentazioni sociali, il comune cittadino non riesce ad esprimere altra ribellione che l’attesa di un “salvatore” alternativo rispetto a quelli che gli vengono imposti, per cui il conflitto gli viene rappresentato all’interno dell’Olimpo delle attuali divinità: i miliardari. La “ribellione” si riduce perciò a fare il tifo mentre nell’arena mediatica si svolge la lotta tra “miliardari buoni” e “miliardari cattivi”. Intanto, ad onta del buonsenso e della decenza, mentre parlano di imposta patrimoniale sulle casette e sui risparmiucci dei comuni cittadini, i governi occidentali continuano ad allargare i privilegi fiscali per il non profit.
Ringraziamo Mario C. “Passatempo” per la collaborazione.
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