Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il Trattato di Lisbona, che in questo periodo è all'approvazione dei vari Paesi dell'Unione Europea, reintroduce sia la pena di morte, sia la possibilità di esecuzione sommaria. Ovviamente ciò non viene ottenuto con una dichiarazione esplicita, ma attraverso quello che è il criterio fondamentale e caratterizzante di tutto il "Diritto" europeo, cioè la totale incertezza normativa. Dilatando all'infinito i concetti di guerra, insurrezione o terrorismo, vi si può comprendere qualsiasi comportamento sgradito, ed è appunto questa la strada perseguita dal Trattato di Lisbona.
Tutti coloro che si stanno impegnando per impedire l'approvazione di questo Trattato, svolgono un'azione veramente importante, ma, d'altra parte, occorre anche evitare di cadere nel paradosso del catastrofista, che si preoccupa di una catastrofe incombente senza accorgersi che, in realtà, la vera catastrofe è già avvenuta da tempo.
Il problema è che i trattati internazionali creano di per sé una situazione giuridica assolutamente anomala, non riconducibile a quelli che sono i consueti criteri di legalità e illegalità. Uno dei primi a denunciare questo fenomeno, fu Giovanni Giolitti, che si riferiva al Patto di Londra del 1915, in base al quale l'Italia si ritrovò coinvolta nella prima guerra mondiale contro la volontà della stragrande maggioranza del Parlamento.
Come Presidente del Consiglio e Ministro degli Interni, Giolitti era abituato a star dentro e fuori della legalità a seconda delle convenienze - per questo fu definito dallo storico Gaetano Salvemini come "Ministro della Mala Vita" -; ma lo stesso Giolitti rimase perplesso e indignato di fronte alla situazione di totale extralegalità determinata dai trattati internazionali. Come si fa a stare dentro o fuori della legge, se di fatto una legge non c'è?
È precisamente questa la condizione della Unione Europea, nella quale è pressoché impossibile rintracciare un edificio legislativo, e nella quale l'unica regola è l'arbitrio di gerarchie altrettanto arbitrarie. L'opinione pubblica è stata abituata a credere che l'Europa costituisca un edificio istituzionale in cui vi siano procedure e luoghi decisionali riconoscibili. Questa illusione è ottenuta attraverso una comunicazione suggestiva, analoga a quella pubblicitaria.
Giornali e telegiornali parlano spesso di decisioni e richiami della "Unione Europea" nei confronti dell'Italia. Ci si riferisce appunto a questa vaga entità, la "Unione Europea", senza quasi mai specificare di quale organo si tratti di volta in volta. Ma anche quelle rare volte che l'organo viene specificato, le cose non risultano affatto più chiare. Di recente i media ci hanno riferito di un richiamo della Banca Centrale Europea nei confronti del neoeletto Berlusconi, accusato di voler ledere la "autonomia" della stessa BCE poiché osa darle dei consigli (Berlusconi dà consigli a tutti, anche alle casalinghe). In realtà, non solo questa autonomia non è sancita da nessuna parte, ma oggi si assiste al paradosso di una Banca Centrale Europea che, pur priva di un preciso inquadramento giuridico, domina ugualmente sulle varie Banche centrali nazionali, nonostante che queste vedano garantita la loro autonomia dalle Costituzioni dei vari Paesi.
L'illusionismo europeo è basato su tecniche di suggestione pubblicitaria, tendenti a far credere all'esistenza di qualcosa che in realtà non c'è. La istituzione del cosiddetto "Parlamento" europeo risponde appunto a questa funzione illusionistica. Nonostante che questo "Parlamento" abbia ormai ventinove anni, svolge ancora funzioni "consultive", cioè non decide nulla.
I "parlamentari" europei sono degli eterni minorenni che, oltre ad essere strapagati, vivono in un guscio ovattato e dorato di privilegi. I media, che se la prendono sempre con i presunti fannulloni della pubblica amministrazione, poi non ci spiegano perché debbano esistere questi fannulloni del Parlamento europeo. A voler esser giusti, però i "parlamentari" europei, con la loro presenza, una funzione la svolgono, cioè quella di suggerire alla opinione pubblica che, dato che esiste una cosa detta "Parlamento", allora esista anche una normalità istituzionale in tutto il resto.
La gran parte della opinione pubblica ignora che il "Parlamento" europeo è solo consultivo, o perché non l'ha mai saputo, o perché l'ha dimenticato, dato che i media hanno cessato da tempo di ricordarglielo. Se un Parlamento puramente consultivo poteva avere un senso in via sperimentale per uno o due legislature, il fatto che si continui su questa strada dopo quasi trenta anni, è indice di una pervicace volontà di mistificazione.
Un'altra suggestione che ci viene imposta, è che esista una sorta di continuità istituzionale tra l'attuale Unione Europea e la comunità europea nata con il Trattato di Roma del 1957. Qui non si tratta di ritenere che in origine esistesse una comunità europea "buona", poi sostituita da una un'altra "cattiva", ma è solo questione di constatare che almeno dal 1973 l'aggregato europeo risponde ad una logica del tutto diversa. Se prima del 1973 l'identità europea era incerta, dopo quella data è divenuta inafferrabile. L'ingresso della Gran Bretagna nel 1973 ha infatti determinato una condizione che definire assurda è dir poco, dato che questo Paese determina le decisioni senza incorrere in nessuno degli obblighi che ne conseguono. La Gran Bretagna non ha dovuto sottoporsi alla forca caudina del Sistema Monetario Europeo, quando questo fu istituito nel 1979, e oggi conserva la sua autonomia monetaria in quanto non adotta l'Euro. Dal 1973 quindi la cosiddetta Europa non è altro che una propaggine della NATO e del colonialismo anglo-americano.
A voler definire l'Unione Europea, questa costituisce l'etichetta di un potere del tutto abusivo, incontrollato e incontrollabile, non individuato e non individuabile; cioè una cosca criminale, al cui confronto, peraltro, Cosa Nostra potrebbe apparire come un tempio della trasparenza e della certezza del diritto.
Per cercare di dare un volto a questo potere si parla spesso di una "Eurocrazia" espressione di logge massoniche internazionali. Qui però si rischia di confondere la causa con l'effetto: le massonerie sono uno strumento di corruzione e penetrazione utilizzato dalle cosche criminali, non viceversa.
1 maggio 2008
Per spiegare il crollo elettorale della lista di Bertinotti,
è stato spesso evocato in questi giorni un soggetto
fantasmatico: l'elettorato. In realtà, anche se esiste una
quota di voto "sciolto", d'opinione, in democrazia però
è sempre il voto organizzato a fare la differenza.
Le grandi ristrutturazioni politiche - come il passaggio di consegne
dalla Democrazia Cristiana a Forza Italia - sono state spesso
segnate dalla morte misteriosa di baroni del voto, come Toni Bisaglia
in Veneto, Salvo Lima in Sicilia, Carmine Mensorio in Campania. Lo
strano annegamento di Toni Bisaglia aprì a suo tempo la
strada per il passaggio di una quota considerevole del voto
democristiano al neonato leghismo; successivamente gran parte di questa
massa di voti ha costituito anche il perno del berlusconismo. Il
fratello di Bisaglia - un prete che indagava su quella morte -
morì, manco a dirlo, anche lui annegato in circostanze
altrettanto non chiarite.
Persino la cosiddetta "sinistra" si sostiene soprattutto sul voto
organizzato, ed è noto che la Lega delle Cooperative e la
CGIL controllano milioni di voti. Una quota non cospicua, ma comunque
consistente, di questi voti è sempre andata a sostenere
Bertinotti, che spesso si è mostrato ricattabile a causa di
questa dipendenza. Nel 1995 Rifondazione Comunista non poté
far mancare al governo Dini i suoi voti di fiducia, proprio
perché questa dipendenza gli fu fatta pesare dai dirigenti
della CGIL.
L'entrata nella Sinistra Arcobaleno di due ex-dirigenti DS del calibro
di Mussi e Salvi avrebbe dovuto garantire Bertinotti che l'ulteriore
annacquamento del suo messaggio politico e la rinuncia alla falce e
martello, sarebbero stati comunque compensati da voti gestiti dalla
stessa CGIL e dalla Lega delle Cooperative. Mussi e Salvi hanno invece
recato solo danni, disorientando il tradizionale voto di appartenenza e
di bandiera, e non portando nessuna frazione di voto organizzato. In
più, anche Bertinotti è stato lasciato a secco
dagli ex-colleghi della CGIL. La cosa era persino risaputa, tanto che
il segretario dei Comunisti Italiani, Diliberto, ha colto un pretesto
per rinunciare alla candidatura e non esporsi alla figuraccia di essere
trombato alle elezioni.
In questi giorni furoreggia nelle librerie un altro best-seller che ci
intrattiene sulle magagne dell'altra "casta": i sindacati, che sono
diventati vere e proprie aziende di Stato, che gestiscono grosse quote
di salario operaio ed anche di denaro pubblico. Ora, proprio questa
"casta" non aveva nessun interesse ad affidarsi esclusivamente a
Veltroni e a liquidare definitivamente non soltanto Bertinotti,
Diliberto, Mussi e Salvi, ma persino Boselli.
Una posizione di potere e di privilegio garantita ai dirigenti
sindacali dal controllo di un ente come l'INPS, è oggi
esposta ai pericoli di una privatizzazione, che potrebbe verificarsi
anche a vantaggio di agenzie finanziare internazionali che devono
compensare lo sfuggire di altri business, a causa della crisi
finanziaria di origine statunitense. Di fronte ad un rischio del
genere, avere qualche appoggio in più in Parlamento avrebbe
fatto comodo ai dirigenti sindacali, che invece hanno portato tutti i
voti da loro gestiti ai piedi dell'altare veltroniano.
Mentre i dirigenti della Lega delle Cooperative possono essere stati
convinti a sostenere esclusivamente Veltroni dietro la promessa di
altri affari a cui partecipare, ciò non può
essere avvenuto con i dirigenti sindacali, i quali possono vedersi
sfuggire le loro galline dalle uova d'oro proprio a causa della
crescente invadenza dell'affarismo privato e dalla ingerenza delle
multinazionali.
Nella scelta di presentarsi alle elezioni senza gli alleati
tradizionali, la malafede di Veltroni è stata evidente nel
momento in cui non si è limitato a mollare la cosiddetta
"sinistra radicale", ma ha condannato alla sparizione anche i
socialisti del mite e remissivo Boselli, rispetto al quale non aveva
nessuna differenza "programmatica". Veltroni ha rivendicato
perciò una posizione di monopolio assoluto a sinistra.
Fidarsi di un unico padrone non è saggio, e nessuna "casta"
ha mai consentito volentieri all'accumulo di un tale potere personale.
Oggi si parla sempre della "Storia" intesa come una sorta di categoria
dello spirito, un astratto tribunale che pronuncerebbe sentenze che i
media si incaricano di rivelarci. Nel frattempo, l'esperienza storica -
cioè il ricorrere di certi comportamenti, il verificarsi di
certe costanti - viene tranquillamente ignorata e rimossa. L'esperienza
storica dice che le caste non si comportano così, non si
legano mani e piedi ad un unico padrone, a meno di non esservi
costrette.
Come spesso accade, la denuncia pubblica delle nefandezze di una
oligarchia - di una "casta" -, è conseguente proprio al
declino di quella oligarchia, al fatto che è stata espugnata
e sottomessa da altri poteri, in questo caso il potere
colonialistico degli Stati Uniti.
Infatti si è scoperta la pedofilia dei preti
allorché il potere finanziario del Vaticano era ormai in
declino irreversibile. Quando un Ratzinger - ormai così
artificiosamente pomposo da sembrare il Bonifacio VIII di Dario Fo - si
presenta all'ONU per sostituire i Vangeli con la Dichiarazione
d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America, va a mettere in crisi
proprio i miti di cui si è sempre avvolta la casta
clericale, che non ha mai parlato di "diritti umani" concessi
direttamente dal Creatore, ma ha sempre posto l'enfasi sul proprio
specifico ruolo di mediazione, in quanto rappresentante in Terra di
Cristo.
Il calo di brache - o di sottane - di Ratzinger trova quindi
corrispondenza in altri cali di brache nei confronti del colonialismo
statunitense che si stanno verificando in questo periodo in Italia e in
Europa.
24 aprile 2008
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