Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La scorsa settimana un gruppo di finanzieri in borghese ha compiuto una strana operazione di controllo della presenza e identità dei docenti al Liceo “Gioberti” di Torino. Presentata dai media come “blitz anti-furbetti”, l’operazione della Guardia di Finanza non ha sortito alcun risultato in quel senso, poiché è ovvio che gli insegnanti non hanno alcun modo per dissimulare la propria assenza e neppure possono inviare altri al posto loro, quindi la richiesta di esibire un documento di identità ha rivestito soltanto un carattere di umiliazione e ridicolizzazione di fronte agli studenti ed all’opinione pubblica.
In base a quanto confermato più volte da sentenze della Cassazione, gli insegnanti in classe sarebbero dei pubblici ufficiali, cosa che comporta per loro delle responsabilità gravissime con risvolti disciplinari, penali e civili. I docenti quindi non potrebbero essere oggetto di tali controlli in classe se non in flagranza di reato. Gli studenti hanno assistito perciò al curioso spettacolo di pubblici ufficiali (i finanzieri) che compivano il reato di oltraggio nei confronti di altri pubblici ufficiali (i docenti). Tra i reati commessi dai finanzieri ci potrebbe essere anche l’istigazione a delinquere nei confronti dei minori, poiché rappresentargli i docenti come potenziali criminali significa non solo fornire agli studenti un alibi bello e pronto per qualsiasi trasgressione, ma soprattutto la possibilità di rivestire il ruolo di spia dei propri docenti. In base al meccanismo spiegato da Joseph Conrad nel suo romanzo “L’Agente segreto”, ogni spia, per rendersi produttiva, tende a trasformarsi in agente provocatore, perciò la Scuola pubblica diventa un luogo di destabilizzazione permanente. Uno studente che riesca a mettere sotto accusa qualche insegnante, può garantirsi la promozione entrando in una sorta di “programma protezione testimoni”.
L’aspetto chiaramente pretestuoso e intimidatorio del cosiddetto “blitz” ha suscitato qualche blanda reazione sindacale. Poca attenzione è stata invece riservata al “mandante” dell’operazione, cioè l’ANAC, l’Autorità Nazionale Anti-Corruzione.
Dal 2016 l’ANAC si occupa stabilmente della Scuola pubblica ed ha elaborato un protocollo sulle attività scolastiche soggette a rischio corruttivo. Si potrebbe credere che si tratti solo degli appalti, invece secondo l’ANAC qualsiasi attività scolastica, dal PTOF alle note disciplinari, deve considerarsi a rischio corruttivo. Nel 2017 i sindacati confederali hanno presentato come un successo l’aver ottenuto che venissero ritirati alcuni degli obblighi più paradossali, come la pubblicazione della propria situazione patrimoniale da parte dei Dirigenti Scolastici e dei Consiglieri di Istituto; una norma che avrebbe dissuaso chiunque sia dal fare il Dirigente sia dal presentarsi per l’elezione dei Rappresentanti delle componenti della Scuola. Qualcuno deve aver spiegato all’ANAC che sia il Dirigente che il Consiglio di Istituto sono organi essenziali per garantire il non funzionamento della Scuola, perciò si è fatta marcia indietro. Sta di fatto che il protocollo di criminalizzazione preventiva delle attività scolastiche è rimasto in vigore e, a distanza di qualche anno, si è assistito platealmente alla bravata al Liceo di Torino, allo spettacolo di uno Stato che fa la guerra a se stesso.
Non che non ci fossero già dei precedenti in scala minore da qualche anno. È capitato che alcuni Dirigenti Scolastici chiamassero la forza pubblica contro i propri docenti, con lo stesso rituale della costrizione all’esibizione dei documenti. E si trattava di “trasgressioni” molto discutibili, come la pretesa della rilettura di un verbale durante un Consiglio di Classe oppure della richiesta insistente al DS di essere ricevuti. La sperimentazione procede da tempo.
Aleksandr Herzen diceva che il nichilismo non consiste nel voler ridurre le cose a nulla, bensì nel riconoscere il nulla quando lo si incontra. Episodi come quello di Torino confermano quanto sta diventando sempre più evidente: lo Stato non esiste, rimane allo stadio di chimera giuridica, mentre la realtà è quella delle lobby bancarie e industriali che animano di volta in volta il simulacro statale.
La Scuola privata, come del resto la Sanità privata, come business non dovrebbero avere alcuna chance, poiché il pubblico può garantire il servizio a livelli migliori e praticamente gratis. Si tratta quindi di business privati che possono esistere solo se si verifica un continuo sabotaggio del servizio pubblico. Ecco il motivo dell’attenzione di tanti esponenti delle banche e dell’industria nei confronti della Scuola Pubblica, con la nascita di lobby come la “Treellle” che hanno imposto alla Scuola pubblica un modello pseudo-aziendale che ha l’unico scopo di impedire qualsiasi genere di istruzione. Se non fosse per i tanti “oppositori” che si ostinano a prendere sul serio la “Scuola azienda”, il carattere di pura intossicazione di questo slogan sarebbe diventato palese. Affermare che la Scuola-azienda sarebbe in funzione dell’asservimento della Scuola all’impresa, è infatti del tutto pleonastico, poiché la Scuola pubblica è sempre stata asservita e subordinata a poteri esterni. La novità che si è registrata dagli anni ’90, è che alla Scuola viene semplicemente impedito di fare alcunché per l’istruzione, se non produrre masse di documenti inutili, che impongono parametri numerici che in sé non dimostrano nulla circa l’efficienza o meno del sistema.
Come diceva il buon AD dell’ENEL, Francesco Starace, la via maestra per imporre il ”cambiamento”, è creare sofferenza. Solo gli insegnanti non si sono ancora resi conto della guerra che gli è stata dichiarata; anzi, molti di loro vivono in una dimensione allucinatoria che li pone al riparo della realtà, almeno finché non finiscono personalmente nel mirino. A questa situazione molti insegnanti reagiscono come i soldati della prima guerra mondiale: con l’autolesionismo. Sarebbe interessante a riguardo una statistica sugli incidenti domestici nell’ambito della categoria dei docenti. (5)
Non tutti i docenti vivono male questa situazione di destabilizzazione; anzi, alcuni ci sguazzano. Ci sono quelli dei sempre più pletorici “staff”, ma anche gli “oppositori di Sua Maestà” che monopolizzano i Collegi dei Docenti con vuote polemiche, impedendo così che ai Dirigenti vengano mosse le obiezioni fondate. Ci sono poi i professionisti del mobbing orizzontale che forniscono ai Dirigenti sempre nuova carne da macello. Il carattere distintivo di tutti questi personaggi è l’ostentazione di “alti ideali” all’insegna del politicorretto.
L’attacco di Erdogan contro il nord della Siria ha indubbiamente sparigliato le carte sullo scenario internazionale. I beniamini del politicorretto, i Curdi, ora sono diventati alleati della bestia nera dei politicorretti, il “dittatore” Assad.
L’ennesimo tradimento degli USA nei confronti dei Curdi (ma quando mai li hanno veramente aiutati?) e il doppio gioco del cialtrone Trump, ufficialmente contrario all’invasione turca ma in effetti complice, hanno consentito a Putin di acquisire il ruolo di mediatore tra Curdi e Siriani. In tal modo Putin è riuscito a ribadire in modo clamoroso non solo il ruolo di superpotenza asiatica della Russia, ma anche la necessità per Regno Unito, Francia e Germania di accettare pienamente questo ruolo per non rimanere tagliati fuori da ogni tavolo di decisioni. Il paradosso in cui si trovano attualmente invischiati i Paesi europei è di trovarsi in contrasto con il cosiddetto “alleato della NATO” Erdogan e di dover cercare l’intesa col “nemico” Putin.
Tutto ciò sembra riconfermare il “declino” americano, l’eclissi del ruolo imperiale degli USA. Le analisi a riguardo in questi giorni si sprecano ed, in effetti, gli argomenti a sostegno di questa tesi sembrerebbero inoppugnabili. Non solo nel Vicino e Medio Oriente, ma in tutti gli scacchieri internazionali gli USA non hanno mai in mano il bandolo della matassa. La figuraccia siriana di CialTrump è arrivata subito dopo la debacle in Venezuela, dove gli USA hanno visto il loro fallito tentativo di abbattere Maduro trasformarsi in un varco per l’ingresso trionfale della Russia nello spazio sudamericano, come protettore e garante della stabilità venezuelana.
Tutto vero, ma l’equivoco riguarda forse la questione del cosiddetto “impero” americano. Esiste sicuramente un imperialismo americano, un imperialismo militare, finanziario e commerciale, ma ciò non implica l’esistenza di un impero americano. Le politiche imperiali si basano sui confini, con la necessità di difenderli e di stabilire alleanze e relazioni per garantirsi la stabilità di quei confini. La Russia è un impero e, a parte la parentesi di Eltsin, ha sempre dovuto fare i conti con la difesa dei suoi confini. La Cina è anch’essa un impero e ha dovuto regolarsi allo stesso modo.
Gli Stati Uniti hanno confini ma non hanno problemi di confini, poiché nessuna potenza limitrofa è in grado di minacciarli. La faccia tosta americana riesce a presentare il crollo delle Torri Gemelle come un “attacco”, ed anche l’infiltrazione di migranti dal confine meridionale come una “invasione”, tanto da dover erigere un “muro”.
Si parla spesso dell’alternarsi negli USA di aspirazioni globali e di regressioni isolazioniste. In realtà non c’è nessuna alternanza e nessuna contraddizione, dato che è proprio l’isolamento geografico degli USA a consentire politiche militari, commerciali e finanziarie di carattere aggressivo a livello globale senza porsi problemi di stabilizzazione. La realtà dell’imperialismo americano non implica affatto l’esistenza di un impero americano.
In questo quadro è perfettamente conseguente l’ambiguità degli USA nei confronti dell’avventura di Erdogan. La destabilizzazione permanente dell’area del Vicino e Medio Oriente, e di ogni altra area petrolifera, è considerata da anni da ogni analista economico come la condizione indispensabile per rendere commercialmente appetibile il petrolio ed il gas di scisto di cui gli USA sono diventati i massimi produttori; anzi gli USA hanno persino strappato all’Arabia Saudita il primato dell’estrazione di idrocarburi. Se l’instabilità tocca l’Iraq, l’Iran, l’Arabia Saudita, se le loro petroliere saltano e le loro esportazioni di petrolio diventano incerte, chi ci guadagna? Chi infatti, se non gli USA, potrebbe garantire certezza e stabilità nelle forniture?
Tutto il business statunitense dell’antiecologico e antieconomico “shale oil” si è basato sin dall’inizio su sfacciate agevolazioni fiscali, su sussidi statali a pioggia, su colossali indebitamenti, su truffe borsistiche e su scarsi profitti. Molte compagnie sono fallite, ma finché ogni area petrolifera del mondo rimarrà una polveriera, il business dell’estrazione dallo scisto non dovrà considerarsi fuori gioco.
Gli Stati Uniti stanno collezionando brutte figure da decenni o da secoli, ma la loro carta vincente non è mai stata la “credibilità”. Si parla spesso di “soft power” americano, della capacità degli USA di sapersi conquistare i cuori e le menti. Certo, gli USA possono vantare i loro giganti nella letteratura, nella musica ed una volta nel cinema; gli USA sono anche ossessivi nella propaganda e controllano la gran parte dei media mondiali. Ma questo aspetto, seppure reale, non va enfatizzato oltre un certo limite. Nella propaganda è spesso l’Europa ad assumere il ruolo di guida. Greta è un prodotto europeo ma, andando indietro nel passato, occorre ricordare che l’offensiva anticomunista che ha posto le basi del reaganismo è stata generata in Francia, quando una banda di ragazzotti semianalfabeti venne accreditata dai media del titolo di “Nuovi Filosofi” per contrabbandare una propaganda antisovietica ed antimarxista all’insegna dei più vieti luoghi comuni. Per non parlare di altri spacciatori di banalità anticomuniste come l’austriaco/britannico Karl Popper.
Il vero “soft power” degli USA consiste invece nel business. Ogni “alleanza” degli USA è una cordata affaristica ed anche un sostegno diretto e indiretto a quelle oligarchie locali che vogliono regolare i loro conti con le proprie classi lavoratrici. Il motivo della perenne memoria corta nei confronti dei tradimenti americani consiste nell’irresistibile odore degli affari.
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