Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La Banca Centrale Europea ha preso per i fondelli il governo italiano con una lettera in cui gli rinfacciava di non essere in grado di dimostrare che l’introduzione dei nuovi limiti all’uso del contante abbia dei reali effetti sulla riduzione dell’evasione fiscale. La notizia è stata banalizzata da molti commenti nel senso che anche la BCE oggi ammetterebbe che la limitazione del contante non ha effetti positivi, semmai deleteri. In realtà il PD non s’è inventata la fobia per il contante, ma l’aveva adottata con il tipico entusiasmo conformistico che oggi caratterizza le sinistre di fronte ad ogni direttiva che piova dalle organizzazioni sovranazionali.
L’attuale presidente della BCE, Christine Lagarde, era sino a pochi mesi fa direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, cioè proprio quell’istituzione che negli anni passati ha condotto una furiosa lotta contro il contante, presentando il “no cash” come misura indispensabile per sollevare le masse povere del mondo dal loro analfabetismo finanziario. Il primo Paese ad adottare in modo drastico questa misura è stato l’India, che è diventata
un laboratorio di finanziarizzazione di massa. Il FMI, pur riconoscendo gli inconvenienti che l’abolizione del contante aveva comportato in India, ne celebrava ugualmente i presunti benefici effetti per la “salvezza” delle masse povere.
Il FMI rappresenta la principale agenzia di lobbying finanziario, quindi il vero scopo della lotta al contante era quello di favorire l’indebitamento esponenziale dei poveri attraverso il microcredito o microfinanza. Il denaro contante facilita gli scambi mentre
il denaro elettronico facilita l’indebitamento: puoi far indebitare le masse di ogni angolo del mondo senza la difficoltà di doversi trasferire materialmente il denaro contante.
Adottata parallelamente a forme di biometrizzazione, come il riconoscimento attraverso la mano, o l’iride, al posto delle tradizionali carte di credito, la digitalizzazione finanziaria consente di allargare a dismisura ciò che il FMI definisce, con subdola retorica umanitaria, come
“inclusione” finanziaria. Gli strumenti biometrici consentono infatti di esercitare un controllo molto più pervasivo e incisivo sui debitori di quello che si potrebbe attuare con il contante.
In Europa ci sono però Paesi che contano, come la Germania, i quali non hanno nessuna intenzione di privarsi dell’agevolazione che il contante comporta negli scambi, perciò la BCE prende le distanze dal “no cash” mettendo alla gogna i governi gonzi che si erano bevuta la propaganda lobbistica del FMI. La protervia del lobbying di marca FMI non ha limiti nell’evocare palingenesi salvifiche o catastrofi incombenti pur di imporre le misure che fanno comodo ai potentati finanziari e industriali.
Da anni nel mirino del Fmi c’è la previdenza pubblica. Per le lobby finanziarie non si tratta solo di favorire la previdenza privata, ma anche di impedire che il sostegno alle famiglie garantito da una pensione renda i giovani lavoratori meno ricattabili e meno disponibili ad accettare salari sempre più bassi e condizioni di lavoro sempre meno dignitose. E, se i salari sono bassi, tanto più bisogna rivolgersi al credito ai consumi; insomma, i prestiti sostituiscono i salari. Ecco perché il FMI non perde occasione per paventare
apocalissi previdenziali, che sarebbero dovute alla presunta lievitazione delle “aspettative di vita”, apocalissi da scongiurare ovviamente con drastiche “riforme strutturali”. Il fatto che proprio tutte queste “riforme” determinino una crescente disoccupazione e sottooccupazione e quindi una diminuzione dei contributi previdenziali, non viene minimamente posto in evidenza.
L’obbiettivo del lobbying finanziario quando attacca le pensioni, è di impoverire i lavoratori e i ceti medi. La povertà rafforza la dipendenza: il rapporto gerarchico basilare è quello tra ricchi e poveri.
In Francia la “riforma” delle pensioni imposta da Macron in obbedienza alle direttive del Fmi, ha determinato un’opposizione energica e di una durata inaspettata. Per inciso, nel caso che rivolte simili avvenissero in Paesi come l’Iran o il Venezuela, ciò sarebbe considerato motivo sufficiente dalla sedicente “Comunità Internazionale” per imporre un intervento militare o sanzioni in difesa dei diritti umani.
Almeno in Francia la propaganda lobbistica non è bastata e il sospetto che gli allarmismi sul buco previdenziale abbiano altri scopi comincia a diventare senso comune. Attaccando le pensioni il lobbying colpisce un fondamentale ammortizzatore sociale, un fattore di equilibrio che per decenni ha funzionato per smussare le tensioni e per impedire che intere parti della popolazione sprofondassero verso il basso. Un intero sistema di mediazione sociale viene oggi liquidato con la prospettiva di poterlo sostituire con strumenti di controllo tecnologico.
La pauperizzazione non crea alle oligarchie alcun problema morale poiché il divario di classe viene da loro percepito come una differenza razziale. L’idea che le classi dominanti condividano con i propri dominati un senso di comune umanità, è una pia illusione. Il razzismo non riguarda solo il colore della pelle o i tratti somatici, bensì è una visione complessiva dei rapporti sociali. Ma le attuali oligarchie finanziarie sono ancora più sradicate dai territori in confronto alle oligarchie che le avevano storicamente precedute. Ciò comincia a mettere in questione la stessa nozione di società.
Premessa obbligata: i lavoratori del settore bancario godono di una situazione del tutto privilegiata rispetto ai lavoratori di altri settori. Ugualmente, l’impatto delle trasformazioni attuali sta distruggendo piano piano questi privilegi. Sotto gli occhi di tutti le profonde trasformazioni del settore: tassi zero o sottozero quindi poco business, sofferenze bancarie che affliggono i bilanci, riduzione strutturale della presenza storica sul territorio (cioè le filiali), informatizzazione-digitalizzazione che distrugge posti di lavoro. Tutte cose risapute, e come al solito meccanismo delle parti che dura da circa venti anni, la colpa è dei lavoratori e del loro costo.
Può essere vero che i lavoratori bancari costano troppo rispetto a quanto producono, il problema è il genere di lavoro che essi si trovano a svolgere. Il denaro di per sé è un oggetto immateriale, le attività bancarie connesse alla sua gestione (pagamenti-introiti, credito, investimenti) ben si prestano a una ben meno costosa gestione informatica-digitale. Curioso osservare l’accanimento sul tema del costo del lavoro, al confronto della sufficienza con cui si considerano i cosiddetti manager che permettono una organizzazione e decisioni manageriali sbagliate o addirittura fraudolente: ma si sa, la storia la scrivono i vinti e la colpa è sempre del più debole: i lavoratori bancari sono il bersaglio.
Dal momento di svolta (crisi 2007/2008) il settore ha perso 26mila addetti e oggi ne conta circa 280mila destinati a inevitabili future riduzioni già annunciate (
vedi notizie di Unicredit meno ottomila addetti). In Europa si stimano 470mila gli addetti persi, ed è notizia recente che Deutsche Bank ha un piano di riduzione di 18mila.
È triste dirlo, ma sono perdite annunciate e irrecuperabili. I sindacati di fronte a questa situazione sembrano come gli esperti di pastorale quando parlano della gente che non va più a messa: tante spiegazioni e interpretazioni e tentativi di vie nuove un irraggiungibile risultato: nel futuro così come le chiese continueranno a svuotarsi, allo stesso modo il settore bancario ridurrà il numero di addetti. In banca non si assume in misura consistente, e i lavoratori attualmente in carico finora non sono stati mai licenziati direttamente, piuttosto sono oggetto di trattamenti alternativi tipo esodo volontario (se non lo accetti, rischio trasferimento altra sede e lavoro ingrato).
Recentemente i sindacati sono usciti dal nuovo contratto nazionale con una serie di micro cambiamenti (ottimizzazioni) e con un aumento di 190 euro l’anno ovvero qualcosa meno che un euro per giorno lavorativo: qualcuno canta vittoria, qualcun altro ammette la realtà, e cioè che la situazione è grama. L’impressione è che siano le aziende ovvero ABI ad avere in mano il pallino della decisione, i sindacati sono a cercare di minimizzare i danni, bene fanno ma poco hanno da pesare sul piatto della contrattazione. In questo modo
gli argomenti addotti dai sindacati sono colorati di propaganda: “mantenimento del numero di occupati”, “più formazione”, “più assunzioni”, e pure sorprendentemente “una scuola per manager”.
ll problema sono le prospettive di un settore: in banca il passato glorioso mai più tornerà. Il modo di fare banca è cambiato e la digitalizzazione ne è protagonista e crea due effetti: meno occupazione e meno retribuzione per i lavoratori umani. Sebbene ci siano persone come Colombani di first-Cisl che negano questo effetto (
uno studio) altri sindacati si rendono conto che
il problema è attuale e incominciano a parlarne.
Al di là delle sfumature, il futuro del settore è facile prevederlo, anzi ABI ci dice pure che cosa vuol fare con
“Agenda Digitale” per lo sviluppo del paese con investimenti di 20 miliardi e interventi avveniristici ancora tanti da fare (es. “integrazione delle reti informatiche pubbliche e di quelle bancarie” oppure “interoperabilità tra le identità pubbliche e bancarie digitali del cittadino”
C’è poco da dire, nel futuro ci sarà più digitalizzazione e più sostituzione massiccia del ruolo umano con il ruolo dei computer, non solo per l’esecuzione di operazioni meccaniche (burocrazia, contabilità, comunicazione ...) ma anche operazioni analitiche-decisionali (concessione credito, roboadvisory ovvero consulenza di investimenti in base a programmi ...).
Nel futuro avremo quattro generi di lavoratori:
1. operatori di data entry o comunque “mediatori uomo-macchina” (i computer in qualche modo devono essere assistiti);
2. manutentori e gestori di sistemi informativi ovvero programmatori e data analyst insomma “informatici”;
3. consulenti/gestori di clienti con attitudine commerciale ovvero coloro che fanno da interfaccia tra la banca e i clienti (ma solo per quelli di una certa importanza altrimenti non ne vale la pena e si fa con le macchine: soglia di qualche centinaio di migliaia di euro);
4. sovra gestori del sistema ovvero i direttori-manager, incaricati di gestione tecnica-direzionale e politica-di potere.
Le categorie 1 e 2 saranno pagate poco perché è un lavoro tutto sommato facile e i lavoratori sono ben fungibili; la categoria 3 (indicativamente i titolari di filiale di medio-grande dimensione oppure i gestori di clienti importanti, sicuramente meno del 10% della popolazione bancaria) ha in mano la fiducia dei clienti e quindi una parte del business, potrà avere miglior trattamento; mai come la categoria 4 piccola élite che da sempre si configura come quella che guadagna di più a fronte di sostanziale irresponsabilità sul proprio operato.
In questo contesto, la recente firma del ccnl perde tutta la sua apparenza di punto di arrivo (è seguita a una lunga contrattazione) per essere quello che è: veramente poca cosa. A ben vedere, se i rapporti tra azienda-banca e suoi lavoratori sono orientati allo scontro, come nel pugilato quando il tuo avversario (i lavoratori) è stanco, soffre, è alle corde, che cosa fare se non aumentare gli sforzi per assestare un colpo knock down? Il supporto di argomenti in questo caso viene dal sistema mediatico che mai si stanca con sempre nuove analisi. È il caso del recente (novembre 2019) report di Oliver Wyman, società di consulenza “boutique” del settore bancario, in pratica “esperti che se lo dicono loro non può che essere vero”. Ecco
una sintesi
(leggi bene che ABI analizzerà con attenzione il rapporto, evidentemente per trarne argomenti per il prossimo round contrattuale). Di seguito
il report vero e proprio per chi ha voglia di leggerlo
Con questi presupposti, nel 2020 si potrà vedere qualcosa di nuovo nel settore bancario? Ci sono cose che si danno per scontate e che magari possono essere introdotte dato che il sistema economico le ha introdotte con apparente successo in altri settori:
• la possibilità di licenziare (cosa finora mai accaduta);
• La possibilità di assumere in modo consistente a tempo determinato (già adesso esiste ma non molto diffusa);
• la possibilità di ricontrattualizzare il lavoro (naturalmente al ribasso);
• la perdita di costosi privilegi del settore (fondo pensione, credito a basso costo, buoni pasto);
• la possibilità di lavorare non più a ore ma a risultato (a provvigione);
• la possibilità di sostituire i lavoratori dipendenti con lavoratori a partita iva (analogamente al settore assicurativo)
Purtroppo il futuro sembra sempre più grigio per i lavoratori bancari e con sempre nuove difficoltà per i sindacati del settore.
Giorgio