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"Se la pace fosse un valore in sé, allora chi resistesse all'aggressore, anche opponendosi in modo non violento, sarebbe colpevole di lesa pace quanto l'aggressore stesso. Perciò il pacifismo è impotente contro la prepotenza colonialistica che consiste nel fomentare conflitti locali, per poi presentarsi come pacificatrice."

Comidad
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 15/06/2017 @ 02:14:59, in Commentario 2017, linkato 2765 volte)
La milizia iraniana dei Pasdaran ha attribuito i recenti attentati di Teheran ad un complotto americo-saudita, tesi che ha trovato qualche sostegno anche tra i timidi commentatori nostrani, i quali hanno convenuto sul fatto che vi sia un tentativo di destabilizzazione dell’Iran. La destabilizzazione a tutto campo operata oggi dall’Arabia Saudita ha determinato per l’Iran anche uno spazio di nuove opportunità. C’è infatti da considerare che una potenza sciita come l’Iran è riuscita ad inserirsi brillantemente nell’attuale crisi che investe i rapporti nel mondo arabo sunnita, cioè tra Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti da una parte ed il Qatar dall’altra.
Anche la Turchia ha preso le parti del Qatar, ed era prevedibile dato che il piccolo emirato di Doha possiede gran parte del sistema bancario turco ed ha regolarmente finanziato le campagne elettorali di Erdogan. Ma in questi giorni sono soprattutto gli aiuti iraniani a consentire al Qatar di sopravvivere all’assedio allestito dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati.
Già nel 2014 sembrava che dovesse scoppiare una crisi del genere nei rapporti tra i Sauditi ed il Qatar. Allora però la petro-monarchia di Riad non aveva ancora ricevuto (o, per meglio dire, non aveva ancora pagato) l’investitura statunitense che CialTrump ha elargito ai Sauditi durante la sua recente visita, perciò Riad dovette accontentarsi di una soluzione fittizia, cioè di vaghe promesse e malfermi impegni di Doha, come non attaccare più il regime militare egiziano dall’emittente Al Jazeera (di proprietà dell’emiro del Qatar) e di non sostenere più i Fratelli Musulmani.
Il contenzioso del 2014 era infatti lo stesso di adesso, cioè l’appoggio finanziario che il Qatar assicura ai Fratelli Musulmani. Proprio grazie a questo appoggio i Fratelli Musulmani avevano stravinto le elezioni in Egitto dopo la “Primavera Araba”, per essere poi rimossi in malo modo da un colpo di Stato militare.
L’Arabia Saudita accusa il Qatar di finanziare il “terrorismo”. In realtà i principali finanziamenti ai gruppi jihadisti provengono proprio dall’Arabia Saudita e solo in seconda battuta dal Qatar. Quando i Sauditi parlano di “terroristi” si riferiscono in effetti ai Fratelli Musulmani, che sono stati messi fuori legge in Arabia Saudita; e non per gli attentati, ma perché sarebbero i prevedibili vincitori di eventuali “libere elezioni”. Il Qatar ha infatti scoperto il recondito segreto del successo elettorale: il denaro. Il risultato elettorale va ad ufficializzare un potere reale e questo si misura in base alla capacità di spesa.

In Italia è appena fallito l’ultimo tentativo di varare una legge elettorale confezionata su misura delle esigenze del Genio di Rignano e del Buffone di Arcore. Si allontana perciò la prospettiva di elezioni anticipate, ma un risultato comunque c’è stato: l’ennesima figuraccia del Movimento Cinque Stelle, fattosi irretire in un’assurda trattativa che ha alimentato nei suoi confronti il sospetto di opportunismo. Non si tratta di scandalizzarsi, dato che normalmente nelle relazioni umane la slealtà è il criterio fondamentale, perciò le regole “buone” sono quelle che ti fanno vincere e, all’occorrenza, possono cambiare anche a partita iniziata; ciò vale per i politici, ma anche i presidi durante i consigli i classe per gli scrutini.
Ma la vera questione sta nell’inadeguatezza di questi patetici tentativi di ritagliarsi sistemi elettorali in base alle proprie esigenze; un’inadeguatezza che evidenzia lo storico spiazzamento che ormai subisce in Italia il ceto politico; un ceto politico che non gestisce più il vero ed unico sistema elettorale che funzioni, cioè il denaro. Sino al 1992 il sistema italiano dei partiti controllava quasi il 100% del sistema bancario ed un 60% dell’industria. Ancora alla metà degli anni ’90 l’IRI costituiva uno dei maggiori gruppi industriali europei.

Il Trattato di Maastricht, ed il conseguente colpo di Stato di “Mani Pulite” ha spazzato via nel corso degli anni ‘90 quella gestione politica dell’economia e della finanza. Esistono ancora forme occulte di finanziamento dei partiti, come l’insider trading da parte di aziende come ENI, ENEL e Finmeccanica che preavvertono i loro amici politici di operazioni di Borsa al rialzo o al ribasso facendo realizzare enormi guadagni con compravendita di azioni. Ma si tratta di risvolti in una tendenza che vede comunque i politici confinati al ruolo di lobbisti o speculatori di secondo rango, che non gestiscono più abbastanza denaro da avere una capacità di mobilitazione elettorale. Il voto di opinione rappresenta la parte meno rilevante dell’elettorato ed è sempre il voto organizzato a risultare determinante. E “organizzazione” la si può considerare tranquillamente un sinonimo di denaro.
 
La parodia del politicamente corretto, oggi vigente in Europa, ha posto alla gogna mediatica la scelta del nuovo buffone della Casa Bianca di defilarsi dall’accordo di Parigi sul clima. Quell’accordo era stato voluto proprio dall’icona del politicamente corretto, Barack Obama. Non è la prima volta nella storia che gli USA facciano di questi bidoni: nel 1919 il presidente Wilson impose agli altri Paesi vincitori della prima guerra mondiale la nascita della Società delle Nazioni (l’antenata dell’ONU), ma poi il Congresso USA non ratificò l’operato del suo presidente. È prassi normale nella politica internazionale americana l’imporre agli altri dei trattati a cui gli stessi USA poi non si sentono vincolati; e la loro messinscena democratica consente di questi voltafaccia senza rischiare di essere accusati di doppiogiochismo.
L’uscita degli USA dall’accordo peraltro cambia di poco le cose. Obama aveva disegnato l’accordo in funzione degli interessi delle multinazionali USA, le maggiori detentrici di brevetti nel campo delle tecnologie a presunto basso impatto ambientale; perciò, dato che le multinazionali sono in posizione di forza nei confronti di quasi tutti gli Stati, compresi molti Stati americani, i risvolti di business dell’accordo di Parigi rimarranno intatti.
La decisione di CialTrump si muove quindi sul piano del meramente simbolico. Il nuovo presidente USA ha impostato il suo piano di impatto mediatico proponendosi come icona del politicamente scorretto, in opposizione al suo predecessore. Questo sinora appare l’unico cambiamento della politica USA, dato che negli atti di CialTrump non si è configurata alcuna inversione di rotta nel rapporto tra finanza ed economia reale. Il nuovo “asse preferenziale” costituitosi tra USA e Arabia Saudita va appunto nel senso del perpetuare il dominio del movimento dei capitali.
I movimenti di capitali hanno sempre effetti destabilizzanti ed infatti l’Arabia Saudita, forte delle centinaia di miliardi appena elargiti agli USA, ha immediatamente avviato un brutale regolamento di conti con il suo principale concorrente sul mercato dei capitali, cioè il Qatar, accusato persino di “finanziare il terrorismo”. L’accusa è senz’altro fondatissima, ma che provenga proprio dall’Arabia Saudita costituisce un’ipocrisia degna del Sacro Occidente.

Anche per ciò che riguarda la politica interna, CialTrump non ha dato segni significativi di discontinuità col passato. L’attesa della drastica svalutazione del dollaro, che consentirebbe un rilancio delle esportazioni USA ed un ridimensionamento dell’invadenza commerciale della Germania e della Cina, è rimasta appunto un’attesa. In Italia molti “sovranisti” continuano a sperare in un’alleanza con gli USA in funzione antitedesca, ma, per il momento, sono solo speranze.
Il problema è che la “sovranità” è un’astrazione e ciò che conta è il rapporto di forza, che oggi è a favore delle lobby finanziarie. USA e Germania certamente si odiano, ma sottostanno alle stesse lobby. La stessa Italia, con il sistema industriale che ancora possiede, potrebbe uscire dall’euro anche domani mattina infischiandosene dei ricatti del Buffone di Francoforte, in arte Mario Draghi. Il problema è che l’Italia come soggetto politico non esiste e qui, come altrove, le scelte sono condizionate sempre dalle solite lobby finanziarie. La finanza non ha neppure bisogno di comandare, tramare o complottare, poiché si impone con la forza del senso comune, ormai radicato nella suggestione secondo cui la via maestra dello sviluppo economico consisterebbe nel dar torto ai poveri e nell’assistere i ricchi.
A proposito di assistenzialismo per ricchi, anche il taglio delle tasse alle imprese annunciato da CialTrump non avrebbe alcun effetto sul rilancio della produzione, perché notoriamente le imprese non investono nella produzione, bensì in prodotti finanziari, ciò che risparmiano sul fisco. C’è, anche in Italia, una forte campagna mediatica che tende a far credere all’opinione pubblica che il rilancio dell’economia sia legato al taglio delle tasse; ma in realtà un governo che volesse rilanciare davvero l’economia, invece di tagliare le tasse alle imprese, dovrebbe usare quei proventi fiscali per trasformarsi in committente di beni e servizi per quelle imprese. Così davvero le imprese sarebbero costrette ad investire ed assumere personale. Il punto è che le lobby finanziarie non hanno interesse a rilanciare l’economia reale ed i governi si adeguano al loro volere.

Il prezzo del petrolio intanto continua a cadere per il calo mondiale della produzione industriale. La questione della recrudescenza dell’aggressione imperialistica degli USA nei confronti del Venezuela non riguarda il petrolio in sé, che gli USA potrebbero comprare a prezzi stracciati. La vera questione oggi in ballo è quella della movimentazione dei capitali ottenuti dall’estrazione del petrolio venezuelano. Ha suscitato “scandalo” tra gli oppositori di Maduro la decisione di Goldman Sachs di acquistare obbligazioni dell’ente petrolifero venezuelano, più di due miliardi di bond pagati a circa un terzo del valore nominale. L’accusa a Goldman Sachs degli aspiranti golpisti venezuelani è quella di aiutare un “dittatore”, come se Maduro fosse stato eletto presidente con metodi più sordidi di qualsiasi altro capo di Stato o di governo. È chiaro che il mainstream ha le sue leggi inesorabili ed impone il suo conformismo, tanto che oggi anche a “sinistra” fa brutto non dire che Maduro è un dittatore.
È chiaro anche che mesi di destabilizzazione interna al Venezuela, causata proprio dalle ONG legate agli USA, hanno costretto l’ente nazionale del petrolio venezuelano a “internazionalizzare” i suoi profitti. Potrebbe essere un compromesso momentaneo, ma anche l’inizio di una resa totale del regime chavista al dominio della mobilità dei capitali; cosa che comunque non lo preserverebbe da un colpo di Stato camuffato da “rivoluzione colorata”.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


21/11/2024 @ 14:14:43
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