Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il fatto che la crisi delle borse della scorsa settimana sia stata causata da un prodotto finanziario povero come i mutui per la casa, ha suscitato stupore; uno stupore del tutto immotivato se si considera che la povertà costituisce una condizione basilare del sistema affaristico.
Anzitutto, il prodotto finanziario in questione è anche molto più povero di quello che si possa credere, poiché "casa" negli Stati Uniti non significa mattoni e cemento, ma un'intelaiatura con dei pannelli prefabbricati, abitazioni che un incendio o una tromba d'aria si portano via in qualche secondo. Inoltre ci sono in circolazione prodotti finanziari anche più poveri dei mutui casa, in quanto negli Stati Uniti (ma ormai anche da noi) i consumi sono basati sull'indebitamento.
L'accumularsi delle insolvenze sui mutui ha determinato la crisi dei giorni scorsi, ma non è che queste insolvenze non fossero prevedibili e previste, solo che si sono verificate concentrandosi nello stesso momento. Le cose non stanno come hanno cercato di raccontarcele i giornalisti, non è che il credito è stato troppo di manica larga, insomma ancora una volta non è vero che i capitalisti si trovino in difficoltà per essere stati troppo buoni.
Il fatto che in tanti non riescano a pagare il mutuo sino in fondo, costituisce il nerbo dell'affare, perché il capitalista, dopo aver incamerato anni di interessi dal cliente, può anche prendersi la sua casa in compensazione del restante del debito. Gli istituti di credito si sono così ritrovati proprietari di molte case, ma, nel momento di andarle a rivendere, si è determinato un calo del valore degli immobili dovuto al fatto che non c'erano più abbastanza persone in grado di ricomprare.
L'affare comportava un margine di rischio e qualche inconveniente c'è stato, ma nel complesso il sistema ci ha guadagnato, quindi queste crisi finanziarie non annunciano nessuna Armageddon del capitalismo. C'è una pauperizzazione crescente, rispetto alla quale il sistema affaristico prende continuamente le misure per proseguire nello sfruttamento del fattore povertà.
C'è un certo antimarxismo scadente - Karl Popper ne è stato il portabandiera più celebrato -, che accusa Marx di aver fatto profezie, per di più sbagliate. Per anni ci si è detto che la più smentita di queste profezie sarebbe stata quella secondo cui la ricchezza tende a concentrarsi in poche mani a scapito di una maggioranza sempre più povera. In realtà Marx non aveva fatto nessuna profezia, si limitava a riscontrare una tendenza e a registrare un dato di fatto. Ancora nel 1891, nella sua enciclica "Rerum novarum", il papa Leone XIII notava la stessa cosa: i ricchi si fanno più ricchi, i poveri si fanno più poveri.
Il punto è che nei confronti della tendenza alla pauperizzazione, si sono nel tempo costituite delle controtendenze. Le principali sono state: la nascita di un movimento operaio organizzato, la formazione di un ceto medio del pubblico impiego dotato di garanzie giuridiche, l'affermazione di una fiscalità centralizzata e indirizzata a colpire il reddito reale.
Tutte e tre queste forze contrarie alla pauperizzazione sono oggi in grave crisi.
La borghesia ha collocato i suoi uomini alla direzione delle grandi confederazioni sindacali (e ciò non da oggi: come si è potuto accettare che un Trentin diventasse segretario della FIOM?). In tal modo la dirigenza sindacale ha potuto far finta di non accorgersi che quella che veniva chiamata "ristrutturazione" era in realtà una vera e propria deindustrializzazione. Alla deindustrializzazione ha anche contributo l'influenza del marxismo e la sua svista nel ritenere che la borghesia esprima una cultura industriale.
Dopo aver demolito il movimento operaio, la borghesia oggi attacca le garanzie del pubblico impiego, e non a caso si serve di uno che era già stato un suo infiltrato nella dirigenza della CGIL, Pietro Ichino.
Uno dei maggiori fattori di povertà in passato era costituito dalla facoltà impositiva degli enti locali, soprattutto i municipi. Il municipio è considerato da alcuni come un organo meno statale e più vicino alla "gente", mentre storicamente si è sempre dimostrato una macchina fiscale di una voracità senza uguali, una macchina che non si concentra su redditi reali, ma su qualsiasi appiglio, rendendo così impossibile ogni dignitosa povertà. Chi sia povero e possessore della casa dove abita, rischia continuamente di ritrovarsi espropriato del suo bene a causa della Imposta Comunale sugli Immobili. Non è poi un mistero che le esattorie comunali siano vere e proprie associazioni a delinquere tese ad escogitare ogni espediente per estorcere al contribuente anche ciò che non deve. È evidente che chi è più povero è anche meno in grado di difendersi dalle vessazioni, quindi costituisce il bersaglio ideale da depredare, proprio perché più debole. Non si è mai abbastanza poveri perché l'affarista non riesca a derubarti di qualcosa.
Si aggiunga che la progressività delle imposte sui redditi oggi in molti Paesi tende già a funzionare all'incontrario, per cui negli Stati Uniti più basso è il reddito più proporzionalmente si deve al fisco. Ciò non è strano, anzi è ovvio che la ricchezza abbia creato un'ideologia e una propaganda funzionali ad essa, per cui la ricchezza viene fatta percepire come una posizione di credibilità e di superiorità morale, mentre i poveri vengono presentati come potenziali ladri o invidiosi.
16 agosto 2007
La legge antiterrorismo appena approvata dal Congresso degli Stati Uniti viene fatta apparire come improntata ad una concezione quasi paranoica della sicurezza.
Il farsi passare per scemi o per pazzi è un espediente frequente nella propaganda americana, da sempre basata sull’understatement, cioè sulla minimizzazione e banalizzazione dei moventi. Al contrario la legge è paradigmatica, cioè fornisce un modello particolareggiato dei reali obiettivi della politica statunitense.
La legge ha due aspetti principali. Anzitutto consentirà di bloccare indefinitamente nei porti e negli aeroporti tutte le merci in entrata negli Stati Uniti per effettuare ogni genere di controllo. Ciò riguarderà anche i container, cioè proprio quegli scatoloni inventati negli anni ’70 dall’Amministrazione americana per rendere difficili ed antieconomici i controlli alle dogane.
I pochi che al Congresso si sono opposti alle legge, hanno fatto notare come questi controlli lunghi e costosi comportino un implicito protezionismo contro le merci straniere. L’obiezione non ha impedito l’approvazione della legge, perché il suo scopo era proprio quello di poter effettuare un protezionismo non dichiarato, che possa colpire discrezionalmente in base agli interessi commerciali del momento.
Questo tipo di misure protezionistiche smentiscono ogni pretesa “globalizzazione”. Se si considera che inoltre il governo degli Stati Uniti colpisce con sanzioni economiche quasi cento Paesi, si può constatare come lo slogan della “globalizzazione” serva a coprire e giustificare l’arbitrio del colonialismo commerciale USA.
Il secondo aspetto rilevante della legge riguarda la possibilità per i servizi segreti - soprattutto la NSA - di intercettare tutte le comunicazioni che passino per il territorio statunitense: telefonate, e-mail, ecc. È chiaro che nessuno può garantire che tutte queste intercettazioni vengano effettivamente usate per motivi di “sicurezza”, e infatti ciò comporterà uno spionaggio commerciale e industriale su scala planetaria, dato che la possibilità di intercettazione riguarda non solo le comunicazioni in partenza o in arrivo negli Stati Uniti, ma anche quelle che semplicemente “transitino”, cioè praticamente tutte.
Colonialismo commerciale giustificato con motivi di sicurezza, sinergia tra affarismo e servizi segreti: questi sono i fondamenti dell’attuale sistema di relazioni internazionali, quello che gli Stati Uniti hanno involontariamente esportato anche in Russia. Non è un caso infatti che la svolta affaristica della politica russa sia stata guidata dal KGB, che si è riconvertito in Gazprom, cioè l’azienda che estrae ed esporta il gas e il petrolio della Russia.
La questione del “crollo del comunismo sovietico” si rivela ancora una volta una banalizzazione mediatica. La realtà è che i giovani rampanti del KGB hanno approfittato della crisi del potere dell’esercito dopo la batosta in Afghanistan. Il costoso impero sovietico è stato liquidato, ed oggi Gazprom può farsi pagare a caro prezzo dai Paesi ex sovietici ed ex satelliti quelle materie prime che l’URSS, ancora quindici anni fa, cedeva loro praticamente gratis. Da ciò deriva il continuo stato di tensione di Mosca con gli Stati ex suoi sudditi, che si agganciano in modo avventuristico al colonialismo americano, e rivolgono all’ex padrone russo provocazioni militari, come quella dello strano missile caduto in Georgia il 7 agosto.
Il KGB ha inoltre ricalcato anche l’alibi statunitense dell’antiterrorismo, cavalcando l’emergenza del terrorismo ceceno, o presunto tale. Invece di accettare che la Russia diventasse una colonia americana, il KGB si è messo a fare del colonialismo commerciale in proprio a spese dei vicini, e ciò, ovviamente, irrita il governo statunitense, che non vuole imitatori e concorrenti, ma solo servi.
9 agosto 2007
|
|
|