ANTITERRORISMO, ALIBI DEL COLONIALISMO COMMERCIALE
La legge antiterrorismo appena approvata dal Congresso degli Stati Uniti viene fatta apparire come improntata ad una concezione quasi paranoica della sicurezza.
Il farsi passare per scemi o per pazzi è un espediente frequente nella propaganda americana, da sempre basata sull’understatement, cioè sulla minimizzazione e banalizzazione dei moventi. Al contrario la legge è paradigmatica, cioè fornisce un modello particolareggiato dei reali obiettivi della politica statunitense.
La legge ha due aspetti principali. Anzitutto consentirà di bloccare indefinitamente nei porti e negli aeroporti tutte le merci in entrata negli Stati Uniti per effettuare ogni genere di controllo. Ciò riguarderà anche i container, cioè proprio quegli scatoloni inventati negli anni ’70 dall’Amministrazione americana per rendere difficili ed antieconomici i controlli alle dogane.
I pochi che al Congresso si sono opposti alle legge, hanno fatto notare come questi controlli lunghi e costosi comportino un implicito protezionismo contro le merci straniere. L’obiezione non ha impedito l’approvazione della legge, perché il suo scopo era proprio quello di poter effettuare un protezionismo non dichiarato, che possa colpire discrezionalmente in base agli interessi commerciali del momento.
Questo tipo di misure protezionistiche smentiscono ogni pretesa “globalizzazione”. Se si considera che inoltre il governo degli Stati Uniti colpisce con sanzioni economiche quasi cento Paesi, si può constatare come lo slogan della “globalizzazione” serva a coprire e giustificare l’arbitrio del colonialismo commerciale USA.
Il secondo aspetto rilevante della legge riguarda la possibilità per i servizi segreti - soprattutto la NSA - di intercettare tutte le comunicazioni che passino per il territorio statunitense: telefonate, e-mail, ecc. È chiaro che nessuno può garantire che tutte queste intercettazioni vengano effettivamente usate per motivi di “sicurezza”, e infatti ciò comporterà uno spionaggio commerciale e industriale su scala planetaria, dato che la possibilità di intercettazione riguarda non solo le comunicazioni in partenza o in arrivo negli Stati Uniti, ma anche quelle che semplicemente “transitino”, cioè praticamente tutte.
Colonialismo commerciale giustificato con motivi di sicurezza, sinergia tra affarismo e servizi segreti: questi sono i fondamenti dell’attuale sistema di relazioni internazionali, quello che gli Stati Uniti hanno involontariamente esportato anche in Russia. Non è un caso infatti che la svolta affaristica della politica russa sia stata guidata dal KGB, che si è riconvertito in Gazprom, cioè l’azienda che estrae ed esporta il gas e il petrolio della Russia.
La questione del “crollo del comunismo sovietico” si rivela ancora una volta una banalizzazione mediatica. La realtà è che i giovani rampanti del KGB hanno approfittato della crisi del potere dell’esercito dopo la batosta in Afghanistan. Il costoso impero sovietico è stato liquidato, ed oggi Gazprom può farsi pagare a caro prezzo dai Paesi ex sovietici ed ex satelliti quelle materie prime che l’URSS, ancora quindici anni fa, cedeva loro praticamente gratis. Da ciò deriva il continuo stato di tensione di Mosca con gli Stati ex suoi sudditi, che si agganciano in modo avventuristico al colonialismo americano, e rivolgono all’ex padrone russo provocazioni militari, come quella dello strano missile caduto in Georgia il 7 agosto.
Il KGB ha inoltre ricalcato anche l’alibi statunitense dell’antiterrorismo, cavalcando l’emergenza del terrorismo ceceno, o presunto tale. Invece di accettare che la Russia diventasse una colonia americana, il KGB si è messo a fare del colonialismo commerciale in proprio a spese dei vicini, e ciò, ovviamente, irrita il governo statunitense, che non vuole imitatori e concorrenti, ma solo servi.
9 agosto 2007
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