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"Un'idea che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata idea."

Oscar Wilde
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 27/04/2017 @ 01:45:17, in Commentario 2017, linkato 7209 volte)
Dopo le dichiarazioni del vicepresidente della Camera ed esponente del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, sulle responsabilità delle Organizzazioni Non Governative nel traffico di migranti, sono immediatamente cominciate sui media le esegesi alternative sul documento dell’agenzia europea Frontex che aveva dato origine a quelle stesse dichiarazioni. La parola d’ordine è “minimizzare”, ricondurre il rapporto Frontex al rango di lamentela per le inevitabili agevolazioni per il traffico di migranti che l’attività “umanitaria” delle ONG involontariamente determinerebbe. In questo senso si esprime, ad esempio, il quotidiano “La Repubblica”.
Nulla di più prevedibile di questa levata di scudi dei media a favore delle ONG, se si considera che le stesse ONG, le fondazioni ed in genere il settore del cosiddetto “non profit” (ovvero della non tassazione), con il loro imperialismo “umanitario” svolgono un ruolo decisivo, e complementare al ruolo delle multinazionali, sia nella circolazione internazionale dei capitali, sia nella destabilizzazione dei Paesi attraversati da quella circolazione. L’ultima “manovrina” del governo Gentiloni riconferma tra i suoi provvedimenti persino una “immunizzazione” dall’IVA già decisa lo scorso anno a beneficio delle ONG; ciò a riprova del potere lobbistico del “non profit” ad alibi umanitario.

La guerra è un effetto, una conseguenza diretta, della mobilità dei capitali, ma la povertà ne costituisce invece la precondizione essenziale. I capitali non possiedono alcuna vitalità economica intrinseca e la loro circolazione può esercitarsi soltanto in condizione di vantaggio assoluto nei territori che vanno a conquistare. Per questo motivo è così importante che esistano agenzie sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale che impongano ai governi politiche di austerità, di privatizzazione dei servizi pubblici e di vincolo di bilancio in nome di un illusorio “sviluppo” futuro: è la pauperizzazione forzata dei popoli a conferire potere contrattuale agli investimenti esteri.
L’analisi economica del capitalismo può arrivare solo sino ad un certo punto, oltre il quale diventa fuorviante, poiché il capitalismo va analizzato soprattutto come fenomeno criminale. Oggi il linguaggio moralistico è diventato pervasivo, perciò anche il termine “criminale” rischia di essere interpretato in questo senso morale. In realtà il capitalismo è criminale nel senso tecnico-giuridico del termine, in quanto si basa sulla svalutazione preventiva e fraudolenta di ciò che va a saccheggiare, sia il lavoro, sia i beni immobili, sia le attività produttive. La migrazione, ad esempio, viene presentata o come fuga dalle guerre (ed in parte è vero) o come fuga da condizioni economiche insopportabili. Questo quadro viene spesso corredato da ipocrite recriminazioni sui Paesi sviluppati che non aiuterebbero abbastanza i Paesi sottosviluppati.

Di fatto sono invece i vincoli imposti ai governi dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ad imporre la disoccupazione; e questa stessa disoccupazione non serve solo ad abbassare i salari di chi ancora lavora, ma costituisce la materia prima per business finanziari come i prestiti in funzione della migrazione. In un Paese come il Bangladesh i “migration loans” costituiscono un business che avviene alla luce del sole, con agenzie come BRAC, specializzate nei prestiti ai lavoratori disoccupati per finanziare la loro migrazione. Popoli che vengono considerati ai margini dello sviluppo, risultano in effetti integrati pienamente nel circuito dei “servizi” finanziari. BRAC agisce non solo in Asia ma anche in Africa, dove evidentemente fa un buon lavoro, viste le masse africane che spinge alla migrazione. Non ci si sorprenderà infine di sapere che BRAC è una Organizzazione Non Governativa che ostenta finalità umanitarie. Il coinvolgimento delle ONG nella migrazione va quindi ben oltre la quisquilia segnalata da Frontex sulle relazioni illecite con i famigerati scafisti.

Il microcredito non è un “servizio” finanziario per chi vuole migrare, ma costituisce una vera spinta alla migrazione poiché per il disoccupato quel prestito rappresenta l’unica risorsa disponibile per coprire esigenze personali e familiari. Il microcredito ai migranti è uno di quei business “poveri” in cui sono coinvolte le grandi multinazionali finanziarie, a dimostrazione che la povertà è la fondamentale materia prima del capitalismo. Più si è poveri, più facilmente si diventa vittime del microcredito, cosicché la migrazione si rivela come uno dei comparti sociali più finanziarizzati. Si tratta di un business finanziario a basso rischio in quanto composto da milioni di piccoli prestiti; persino i casi di insolvenza rientrano nel business tramite il business collaterale delle agenzie di recupero crediti.
In uno studio del Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sulla Immigrazione (FIERI) del 2013 proprio sul tema del sovraindebitamento dei migranti, è stata concentrata la ricerca sulla comunità filippina in Italia, scoprendo così che la situazione è drammatica: dopo essersi indebitati per poter emigrare, si continua ad indebitarsi per coprire i debiti, all’infinito. Lo studio si conclude proponendo come “terapia” al sovraindebitamento dei migranti l’offrire loro prestiti in condizioni di “maggiore tutela”.
Quindi si prospetta altro indebitamento.
Niente di strano se si considera che il FIERI è finanziato da fondazioni bancarie, prima di tutte la Compagnia di San Paolo. Ciò che poteva apparire come una ricerca finalizzata ad alleviare dei disagi sociali, era in effetti tutt’altro, cioè un’analisi di marketing per individuare un “target” per i propri servizi finanziari. Il “non profit” delle fondazioni private esiste solo in funzione di maggiore profit.
 
L’ONU ha proclamato il 2005 l’anno internazionale del microcredito, il mitico capitalismo dal “volto umano” ad uso delle masse dei poveri e dei diseredati. L’anno dopo il bengalese Muhammad Yunus, il “banchiere dei poveri”, il presunto inventore del microcredito, è stato insignito del premio Nobel per la Pace, a dimostrazione del fatto che, se non fosse per i soldi che elargisce, ricevere il premio Nobel equivarrebbe ad uno sputo in faccia.
In questi ultimi trenta anni il microcredito è diventato una presenza capillare ed assillante nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo tramite la diffusione da parte di una miriade di Organizzazioni Non Governative, “nonostante” che questo strumento si sia immediatamente dimostrato incapace di determinare sviluppo, se non per le casse di chi lo gestisce.
Il microcredito ha scatenato nuove sofferenze sociali a cominciare dal sovraindebitamento, con tutte le sue conseguenze in termini di disperazione e di aumento della criminalità per poter pagare i debiti. Prima ancora che i “migrations loans” venissero del tutto ufficializzati, centri di ricerca specializzati come il Migration Policy Institute ponevano in evidenza anche il crescente legame tra il microcredito e la spinta alla migrazione. Quindi si emigra a credito e il migrante è un sovraindebitato.
Non ci vuole un grande sforzo di immaginazione per indovinare chi sia uno dei maggiori investitori nel business del microcredito: il solito George Soros. Nel 2010 Soros guidò una cordata di investitori americani verso la nuova terra promessa dei profitti illimitati, acquistando azioni della società indiana SKS Microfinance. Sembrò che gli investimenti del finanziere ungherese-americano non avessero portato fortuna alla SKS, perché l’anno dopo si verificò uno scandalo finanziario, con lo scoppio alla Borsa di Mumbai della bolla speculativa legata al microcredito e con la rivelazione dei metodi di riscossione, che inducevano i contadini indiani al suicidio.

Niente di grave. La SKS infatti ha cambiato nome e continua la sua attività come Bharat Financial Inclusion Limited, perciò Soros e soci continuano tranquillamente ad investire nel business. Le fortune del microcredito sono dovute anche al fatto che consente una continua sperimentazione di nuove forme di “inclusione” finanziaria. I bancomat e le card vengono infatti sostituti da strumenti biometrici come la lettura delle vene del palmo della mano. Questa è la tecnica con cui attualmente vengono “inclusi” milioni di contadini, i quali, per sfuggire alla rilevazione biometrica dei loro debiti, saranno probabilmente costretti a tagliarsi le mani.
Nel frattempo il microcredito ha acquistato proseliti sempre più “insospettabili” come la Caritas, la quale giustifica il suo ingresso nel business col pretesto di voler rispettare la dignità dei poveri, che ci tengono a dimostrare di poter fare da soli. Si tratta del solito luogo comune secondo cui il problema dei poveri sarebbe quello di emanciparsi dall’assistenzialismo, quando invece il vero e unico assistenzialismo è quello a beneficio dei ricchi, anche se camuffato altrimenti, come dimostra appunto la vicenda del microcredito.

A proposito di “insospettabili”, in Italia la formazione politica che ha adottato il microcredito come bandiera è il Movimento 5 Stelle, che allo scopo avrebbe messo a disposizione quote degli stipendi dei propri parlamentari. Il Movimento 5 Stelle ha aperto uno sportello telematico del microcredito per aspiranti piccoli imprenditori. L’iniziativa dei 5 Stelle in sé è poca cosa e potrebbe avere appena un carattere simbolico, ma rischia di diventare veicolo e malleveria di ulteriori operazioni di colonialismo finanziario nei confronti di masse da illudere e irretire nel sovraindebitamento.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


21/11/2024 @ 21:18:37
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