Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La democrazia non esiste, è solo l’etichetta mitologica per quel costoso apparato di pubbliche relazioni che è l’elettoralismo. Viviamo in un sistema dove non sei tu che fai i soldi, ma sono i soldi che fanno te; e ciò vale anche per le candidature elettorali. Il “golpettino” compiuto dalla Corte Costituzionale romena contro un candidato “putiniano” non va quindi a colpire l’evanescente “democrazia” ma appunto il costoso apparato di pubbliche relazioni, il che non è affatto un evento da poco. L’elettoralismo può a volte erroneamente intercettare motivazioni meschine, come l’istinto di conservazione dei romeni, e sortire momentaneamente effetti indesiderati per le oligarchie locali e internazionali; ma il sistema elettorale è concepito appunto per ammortizzare e fuorviare l’eventuale dissenso. Si può ricorrere anche ai brogli, o al boicottaggio da parte delle burocrazie ministeriali; in casi particolari, si può arrivare persino all’eliminazione fisica. Di solito però è sufficiente fornire agli eletti dal popolo un alibi emergenziale per consentirgli una comoda scappatoia dalle proprie promesse elettorali. Invece il fatto di annullare un risultato elettorale con motivazioni fumose come l’uso di Tik Tok, denota una totale mancanza di lucidità, cioè si tratta di un tipico caso di auto-intossicazione con la propria stessa propaganda, prendendo sul serio i propri stessi fantasmi.
Fortunatamente nella nostra cara Italietta non abbiamo di questi inconvenienti, dato che siamo passati direttamente dalla prima repubblica alla seconda monarchia, con il “Capo dello Stato” che non deve subire il vaglio elettorale, ma è lui a nominare i ministri, bloccando quelli indesiderati; inoltre presiede il Consiglio Supremo di Difesa, svolgendo il ruolo di garante della “collocazione occidentale”, cioè di quel vincolo coloniale chiamato “alleanza” e che l’oligarchia nostrana ricerca e coltiva poiché fa da sponda affaristica e da copertura contro le classi subalterne. Nella prima repubblica i partiti controllavano banche e industrie attraverso l’IRI, quindi contavano ancora qualcosa; mentre oggi i partiti e i loro leader svolgono una funzione puramente decorativa e ludica da talk-show. Molti si dichiarano ammirati dal fatto che il governo Meloni sia l’unico in Europa a non essere in bilico, ma non ci dicono che la Meloni non è a rischio di cadere per il banale motivo che non conta nulla. A confermare il ruolo di monarca assoluto del cosiddetto “Presidente della Repubblica” concorrono anche i simboli, come il fatto di risiedere alla reggia del Quirinale e occupare il palco reale della Scala, dove quest’anno Mattarella si è fatto sostituire mandando, oltre che il presidente del Senato, che è la seconda carica dello Stato, soprattutto la senatrice Segre, in modo da ribadire la fedeltà al campo “occidentale”.
Dal punto di vista storico e culturale la categoria di “Occidente” è molto vaga; in compenso è molto precisa dal punto di vista del Codice Penale, quando parla di reato di riciclaggio; un riciclaggio però fatto bene, in modo da sfuggire all’arguzia di Gratteri. Ad esempio: ora che Stellantis sta per prendere altri soldi pubblici dal ministro Urso, come farà a rubarli e a trasformarli in ricchezza privata? Ce lo spiega l’Ambasciata italiana a Tel Aviv, che ci fa sapere che Stellantis ha firmato un accordo con l’Authority israeliana per l’innovazione, la quale mette a disposizione una serie di “start-up”, cioè di nuove imprese create ad hoc per fare da sponda al giro di denaro. I soldi stanziati ufficialmente per Mirafiori e Pomigliano se ne vanno in start-up israeliane. Si capisce il motivo per cui Israele è intoccabile. La nostra Ambasciata a Tel Aviv ci fa sapere che anche l’ENEL fa le stesse cose; e l’ENEL è una SpA di cui il governo è azionista. La civiltà occidentale può essere quindi definita come una cleptocrazia internazionale che ruba denaro pubblico riciclandolo attraverso banche, fondazioni non profit e start-up. Ogni volta che andate alla pompa di carburante e pagate le accise, commuovetevi al pensiero di contribuire alla clepto-civiltà occidentale.
Contrariamente alle dicerie, il nostro “Presidente della Repubblica” detiene molti più poteri del presidente degli Stati Uniti, il quale non ha a disposizione l’arma dello scioglimento delle camere. A causa delle sue continue preoccupazioni di gradimento elettorale, il presidente USA è ricattabile dai donatori e non ha a disposizione il tempo materiale per riuscire a concentrarsi sulla macchina del potere; quindi anche lo “spoil system” spesso non risulta efficace, visto che il presidente USA non può sapere con precisione in quali svincoli piazzare i propri uomini e magari si limita a coprire quei posti direttivi più appariscenti ma meno decisivi. Uno come Biden poteva vantare una conoscenza degli apparati, però, non a caso, è arrivato alla presidenza quando era già mentalmente inabile, come del resto lo è anche la sua vicepresidente Harris, troppo spesso apparsa in pubblico ilare e sotto l’effetto dell’alcol. Non ha perciò nessun fondamento la tesi secondo cui Putin avrebbe sacrificato la Siria ad un accordo con Trump per l’Ucraina. Semmai l’accordo sulla pelle della Siria era con Erdogan, dato che è la Turchia a controllare l’accesso al Mar Nero, che è il vero oggetto del contendere della vicenda ucraina. Occorrerebbe poi sapere in quali termini sta procedendo la spartizione della Libia da parte di turchi e russi.
L’informazione ufficiale ci parla degli interessi turchi in Siria concentrandosi sulle esigenze di fronteggiare la minaccia curda e di rimpatriare i milioni di profughi siriani oggi stanziati in Turchia. In realtà la minaccia curda è cresciuta proprio a causa della destabilizzazione della Siria dal 2011 in poi; così come il problema dei milioni di profughi è sorto sempre a motivo di quella destabilizzazione; una destabilizzazione, che però non avrebbe mai potuto compiersi se il governo turco avesse negato assistenza e ospitalità alle basi jihadiste. Non si tratta quindi di semplici “interessi” turchi ma di un imperialismo turco talmente aggressivo da essere disposto a correre i suoi rischi.
Putin non è talmente sprovveduto da perdere il suo tempo con uno come Trump, né in generale può più credere che serva a qualcosa trattare con i presidenti USA, dato che questi non avrebbero comunque il controllo sull’attuazione di qualsiasi decisione dovessero prendere. Ciò non vuol dire però che il presidente russo sia affidabile con i suoi alleati; ammesso e non concesso che gli “alleati affidabili” possano esistere davvero. In realtà l’espressione “alleato affidabile” è solo un ossimoro, dato che alleanze sono poco efficaci per la reciproca sicurezza, mentre lo sono moltissimo per la reciproca corruzione. Oggi anche Bashar Al Assad entra a pieno titolo nella lista d’onore dei bidonati da Putin, insieme con Saddam Hussein, Gheddafi e gli armeni. Cosa sia successo davvero in queste ultime settimane in Siria, forse non lo sapremo mai. Ancora in questi giorni ci viene proposto un illusionismo informativo che omette dettagli essenziali, per cui non si sa se l’esercito siriano abbia consegnato le armi o meno. L’unica cosa certa è che la marcetta lampo da Idlib a Damasco dei jihadisti è stata soltanto una rappresentazione ad uso dei media euro-americani. Assad è da sempre fatto oggetto di articoli spazzatura che lo descrivono come un dittatore sanguinario e corrotto, senza peraltro fornire alcun riferimento preciso per le accuse. Traducendo dal politicamente corretto, “dittatura sanguinaria e corrotta” vuol dire che nella Siria di Assad non c’erano abbastanza banche, fondazioni non profit e start-up per poter fare un riciclaggio decente.
Va ricordato che i russi sono arrivati in Siria solo nel 2015 e che nel 2012 Assad aveva avuto il suo momento eroico, quando con il suo esercito di leva era riuscito a reggere l’assedio di Damasco dei jihadisti sostenuti, finanziati e addestrati da USA, Regno Unito, Francia, Turchia, Qatar, Arabia Saudita e Israele; e quest’ultimo anche allora bombardava in continuazione truppe e basi siriane supportando i jihadisti di Al Nusra. Anche nel 2012 molti generali ed ufficiali avevano già abbandonato Assad, che però riuscì a spuntarla lo stesso. I bei tempi in cui non si era semplici “alleati”.
La fintocrazia ha i suoi risvolti truci e trucidi, come nel caso del DDL Sicurezza del governo Meloni, nel cui testo ci sono dettagli veramente spassosi. Ad esempio, nell’articolo 28 si autorizzano gli agenti delle varie polizie a portare armi private oltre a quelle di ordinanza. Agli elettori della Meloni vien fatto credere che ciò indurrà gli agenti a farsi giustizieri sommari del crimine; mentre, al contrario, si tratta di un’oggettiva licenza rilasciata agli agenti per consentirgli di arrotondare il magro stipendio facendo rapine, estorsioni o omicidi su commissione, anche in orario di servizio; cosa che peraltro già avviene, ma sinora il fatto di portare armi private poteva risultare sospetto e rappresentare un indizio a carico, mentre per il futuro si prospetta una totale impunità.
Il DDL propone al pubblico una visione idealizzata delle forze dell’ordine, facendo finta di ignorare che nella società attuale gli agenti di polizia sono centinaia di migliaia. In Italia se ne calcolano più di duecentotrentaquattromila, considerando le tre principali forze; ma il numero probabilmente è sottostimato. La gestione di tanti “tutori dell’ordine”, cioè di tante persone armate che hanno a disposizione illimitate occasioni di delinquere impunemente, rappresenta di per sé un grave problema di ordine pubblico, ma è imperativo far finta di dimenticarselo, sia per la destra, sia per la “sinistra”. Tutto il DDL non fa che ammiccare alle presunte “forze dell’ordine”, facendo loro intendere che gli si aprono infiniti spazi di abuso e impunità. Da un punto di vista strettamente elettorale ciò ha un senso, dato che Fratelli d’Italia pesca gran parte dei suoi voti proprio tra poliziotti e militari. Dal punto di vista istituzionale tutto questo ammiccare e compiacere però si traduce esclusivamente in ulteriore possibilità di corruzione delle varie polizie, senza prospettare alcun progetto repressivo e controrivoluzionario anche lontanamente paragonabile alle Leggi Fascistissime del 1925 e del 1926.
La controrivoluzione presupporrebbe infatti una rivoluzione e infatti il governo fascista di un secolo fa si poneva come argine e alternativa al bolscevismo, pur tenendo all’epoca buoni rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. L’aspetto più grottesco e pretestuoso dell’attuale DDL Sicurezza è infatti quello ideologico, o per meglio dire, mitologico; poiché ci si richiama ad una sorta di “Belle Époque”, cioè un mondo di borghesi benpensanti, che sarebbe idilliaco e oleografico se non fosse minacciato da masse operaie sobillate da agitatori di piazza; solo che oggi invece che le pistolettate della Banda Bonnot e le bombe di Ravachol, a terrorizzare i benpensanti ci sono le dichiarazioni di Ilaria Salis e i concerti e la cucina pop del Leoncavallo. I giornalisti governativi si incaricano di accreditare la narrativa secondo la quale la conflittualità simulata e solo retorica di un Landini rappresenterebbe un autentico attentato al quieto vivere, al rango sociale ed al benessere del ceto medio. Il canale You Tube di Nicola Porro è un interessante esempio di questo approccio enfatico, che prospetta una regressione schizofrenica ad una sorta di “autunno caldo”, narrato come incessante e perenne dal 1969.
Sennonché le minacce di sovversione sono sfacciatamente immaginarie, infatti nell’ultimo mezzo secolo c’è stata la deindustrializzazione, gli operai sono sempre di meno e i disoccupati/sottoccupati sempre di più; di conseguenza i sindacati perdono ruolo e importanza e, per sopravvivere, si stanno ristrutturando in aziende fornitrici di servizi, persino finanziari. I sindacalisti corrotti ci sono sempre stati ma l’aziendalizzazione cambia i termini della questione: più il sindacato tiene le mani in pasta, più si espone a diventare un mero zimbello mediatico-giudiziario, come dimostra l’ultimo scandalo del patronato di Zurigo; uno scandalo che peraltro è di più di quattro anni fa, ma è stato rinverdito ad hoc per ridimensionare un Landini che già non poteva essere più irrilevante di così. Stranamente i veri nostalgici dell’epopea sindacale degli anni ‘60 e ‘70 sembrerebbero stare a destra, perché ai bei tempi si poteva ancora raccontare la storia dell’argine alla sovversione rossa.
Ciò vale anche per le tempeste in un bicchiere d’acqua scatenate dal ministro dei Trasporti Salvini, che mette in scena i suoi consueti psicodrammi. In tutti i settori, ed in particolare in quello dei trasporti, il personale è costantemente sotto organico, per cui se gli scioperi a volte registrano adesioni è per la necessità di allentare i ritmi di lavoro. Si preferisce rinunciare ad una giornata di stipendio pur di evitare malori e infortuni. A parte il caso dello sciopero in funzione anti-stress, le ore complessive di sciopero risultano in costante diminuzione per l’ovvia ragione che non si intravedono prospettive di aumenti salariali o di miglioramento delle condizioni di lavoro. Anche l’ascensore sociale è un ricordo degli anni ‘60 e ‘70.
La disciplina europeista dei sindacati confederali è la stessa del ministro Giorgetti, e ciò garantisce che non vi saranno vere rivendicazioni salariali, ma soltanto suppliche di riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente da finanziare con un mitico recupero dell’evasione fiscale. Persino in questo caso però la realtà non corrisponde alla narrativa ed al gioco delle parti tra destra e sinistra, poiché il gettito dell’IVA sta già aumentando, pur a fronte di una grave riduzione dei consumi a causa del generale calo dei redditi da lavoro. Per quanto riguarda invece i profitti delle multinazionali, quelli sono protetti dalla libera circolazione dei capitali e dalla possibilità di collocarli in paradisi fiscali.
La regressione schizofrenica degli aedi del governo Meloni è spesso riconfermata nei commenti dei follower, molti dei quali vedono nel presidente argentino Milei un vendicatore degli oppressi che può abolire gli sprechi. Sta di fatto che, al di là del falso mantra della destra anti-tasse, Milei ha tagliato le tasse solo ai più ricchi e ha spostato il peso fiscale sui consumi, cioè sui contribuenti poveri, con l’aumento delle accise sui carburanti; quindi esattamente quello che ha fatto Macron. Milei e Macron sono accomunati dalla sedicente “politica economica”, ovvero nel considerare il contribuente povero come la gallina dalle uova d’oro. Persino il livello di cialtroneria accomuna Milei e Macron, per cui i due differiscono solo nel look. Il trucco sta quindi nel proporre al ceto medio una serie di falsi vendicatori, spacciandogli come nemico lo “spreco”, cioè quel quasi nulla che rimane dello Stato sociale e dell’industria pubblica.
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