La fintocrazia ha i suoi risvolti truci e trucidi, come nel caso del
DDL Sicurezza del governo Meloni, nel cui testo ci sono dettagli veramente spassosi. Ad esempio, nell’articolo 28 si autorizzano gli agenti delle varie polizie a portare armi private oltre a quelle di ordinanza. Agli elettori della Meloni vien fatto credere che ciò indurrà gli agenti a farsi giustizieri sommari del crimine; mentre, al contrario, si tratta di un’oggettiva licenza rilasciata agli agenti per consentirgli di arrotondare il magro stipendio facendo rapine, estorsioni o omicidi su commissione, anche in orario di servizio; cosa che peraltro già avviene, ma sinora il fatto di portare armi private poteva risultare sospetto e rappresentare un indizio a carico, mentre per il futuro si prospetta una totale impunità.
Il DDL propone al pubblico una visione idealizzata delle forze dell’ordine, facendo finta di ignorare che nella società attuale gli agenti di polizia sono centinaia di migliaia.
In Italia se ne calcolano più di duecentotrentaquattromila, considerando le tre principali forze; ma il numero probabilmente è sottostimato. La gestione di tanti “tutori dell’ordine”, cioè di tante persone armate che hanno a disposizione illimitate occasioni di delinquere impunemente, rappresenta di per sé un grave problema di ordine pubblico, ma è imperativo far finta di dimenticarselo, sia per la destra, sia per la “sinistra”. Tutto il DDL non fa che ammiccare alle presunte “forze dell’ordine”, facendo loro intendere che gli si aprono infiniti spazi di abuso e impunità. Da un punto di vista strettamente elettorale ciò ha un senso, dato che Fratelli d’Italia pesca gran parte dei suoi voti proprio tra poliziotti e militari. Dal punto di vista istituzionale tutto questo ammiccare e compiacere però si traduce esclusivamente in ulteriore possibilità di corruzione delle varie polizie, senza prospettare alcun progetto repressivo e controrivoluzionario anche lontanamente paragonabile alle Leggi Fascistissime del 1925 e del 1926.
La controrivoluzione presupporrebbe infatti una rivoluzione e infatti il governo fascista di un secolo fa si poneva come argine e alternativa al bolscevismo, pur tenendo all’epoca buoni rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica. L’aspetto più grottesco e pretestuoso dell’attuale DDL Sicurezza è infatti quello ideologico, o per meglio dire, mitologico; poiché ci si richiama ad una sorta di “Belle Époque”, cioè un mondo di borghesi benpensanti, che sarebbe idilliaco e oleografico se non fosse minacciato da masse operaie sobillate da agitatori di piazza; solo che oggi invece che le pistolettate della Banda Bonnot e le bombe di Ravachol, a terrorizzare i benpensanti ci sono le dichiarazioni di Ilaria Salis e i concerti e la cucina pop del Leoncavallo. I giornalisti governativi si incaricano di accreditare la narrativa secondo la quale la conflittualità simulata e solo retorica di un Landini rappresenterebbe un autentico attentato al quieto vivere, al rango sociale ed al benessere del ceto medio.
Il canale You Tube di Nicola Porro è un interessante esempio di questo approccio enfatico, che prospetta una regressione schizofrenica ad una sorta di “autunno caldo”, narrato come incessante e perenne dal 1969.
Sennonché le minacce di sovversione sono sfacciatamente immaginarie, infatti nell’ultimo mezzo secolo c’è stata la deindustrializzazione, gli operai sono sempre di meno e i disoccupati/sottoccupati sempre di più; di conseguenza i sindacati perdono ruolo e importanza e, per sopravvivere, si stanno ristrutturando in aziende fornitrici di servizi, persino finanziari. I sindacalisti corrotti ci sono sempre stati ma l’aziendalizzazione cambia i termini della questione: più il sindacato tiene le mani in pasta, più si espone a diventare un mero zimbello mediatico-giudiziario, come dimostra
l’ultimo scandalo del patronato di Zurigo; uno scandalo che peraltro è di più di quattro anni fa, ma è stato rinverdito ad hoc per ridimensionare un Landini che già non poteva essere più irrilevante di così. Stranamente i veri nostalgici dell’epopea sindacale degli anni ‘60 e ‘70 sembrerebbero stare a destra, perché ai bei tempi si poteva ancora raccontare la storia dell’argine alla sovversione rossa.
Ciò vale anche per le tempeste in un bicchiere d’acqua scatenate dal ministro dei Trasporti Salvini, che mette in scena i suoi consueti psicodrammi. In tutti i settori, ed in particolare in quello dei trasporti, il personale è costantemente sotto organico, per cui se gli scioperi a volte registrano adesioni è per la necessità di allentare i ritmi di lavoro. Si preferisce rinunciare ad una giornata di stipendio pur di evitare malori e infortuni. A parte il caso dello sciopero in funzione anti-stress,
le ore complessive di sciopero risultano in costante diminuzione per l’ovvia ragione che non si intravedono prospettive di aumenti salariali o di miglioramento delle condizioni di lavoro. Anche l’ascensore sociale è un ricordo degli anni ‘60 e ‘70.
La disciplina europeista dei sindacati confederali è la stessa del ministro Giorgetti, e ciò garantisce che non vi saranno vere rivendicazioni salariali, ma soltanto suppliche di riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente da finanziare con un mitico
recupero dell’evasione fiscale. Persino in questo caso però la realtà non corrisponde alla narrativa ed al gioco delle parti tra destra e sinistra, poiché il gettito dell’IVA sta già aumentando, pur a fronte di una grave riduzione dei consumi a causa del generale calo dei redditi da lavoro. Per quanto riguarda invece i profitti delle multinazionali, quelli sono protetti dalla libera circolazione dei capitali e dalla possibilità di collocarli in paradisi fiscali.
La regressione schizofrenica degli aedi del governo Meloni è spesso riconfermata nei commenti dei follower, molti dei quali vedono nel presidente argentino Milei un vendicatore degli oppressi che può abolire gli sprechi. Sta di fatto che, al di là del falso mantra della destra anti-tasse, Milei ha tagliato le tasse solo ai più ricchi e ha spostato il peso fiscale sui consumi, cioè sui contribuenti poveri, con
l’aumento delle accise sui carburanti; quindi esattamente quello che ha fatto Macron. Milei e Macron sono accomunati dalla sedicente “politica economica”, ovvero nel considerare il contribuente povero come la gallina dalle uova d’oro. Persino il livello di cialtroneria accomuna Milei e Macron, per cui i due differiscono solo nel look. Il trucco sta quindi nel proporre al ceto medio una serie di falsi vendicatori, spacciandogli come nemico lo “spreco”, cioè quel quasi nulla che rimane dello Stato sociale e dell’industria pubblica.