Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Tutte le notizie che provengono da Israele vanno prese con le molle; anzi, la stessa nozione di “Israele” va presa con le molle, dato che oggi sotto il “brand” di questo storico avamposto coloniale del Sacro Occidente si vende una merce un po’ diversa da quella di cinquanta o sessanta anni fa. Molti ancora parlano di sionismo come se fossimo ai tempi di Theodor Herzl, ma nel sionismo attuale gli ebrei sono minoranza, poiché sono stati soppiantati dal sionismo cristiano dei nuovi gruppi evangelici statunitensi. Questi gruppi, che non hanno nulla a che fare col protestantesimo tradizionale, sono collegati al Partito Repubblicano e controllano una lobby che dispone di circa undici milioni di voti, molti di più di quelli di un eventuale elettorato di origine ebraica.
Lo schema di riferimento delle organizzazioni del neosionismo cristiano è quello consolidato del filantro-capitalismo delle fondazioni, cioè la guerra santa che ti assicura il paradiso (fiscale). Attraverso l’immunità fiscale concessa dallo status del non profit, questi gruppi mescolano le profezie apocalittiche con la gestione del denaro, convogliando donazioni private e fondi pubblici verso Israele, e finanziando il reclutamento del personale per gli insediamenti coloniali nei territori occupati; il che significa anche armare le formazioni paramilitari dei coloni, oltre che a dare assistenza nella coltivazione delle terre sottratte ai palestinesi. La retorica apocalittica degli evangelici ovviamente sottintende la guerra, perciò è un altro spot della lobby delle armi. Il cosiddetto “aiuto” ad Israele è attualmente un business soprattutto interno agli Stati Uniti, dato che lì rimane la gestione del denaro. La stessa stampa israeliana da anni rileva con preoccupazione l’invadenza ideologica e finanziaria del neosionismo evangelico.
In molti hanno commentato che questa emergenza bellica è una boccata di ossigeno per il capo del governo israeliano, Benjamin Netanyahu, che aveva accumulato tanti di quei capi di imputazione per corruzione da aver estenuato i giudici e suscitato contro di lui manifestazioni ostili di milioni di cittadini. Oggi invece il vecchio “Bibi” può rivestire i panni del salvatore della patria in pericolo. Sarà un caso, ma i rapporti di Netanyahu con i neosionisti evangelici risalgono addirittura agli albori della sua carriera politica. Nel 1998 fece un viaggio negli USA, snobbando Bill Clinton e concentrandosi sull’appoggio che poteva ottenere dai gruppi evangelici. In questi ultimi tempi Netanyahu ha bloccato ogni tentativo legislativo del parlamento israeliano di limitare la penetrazione degli evangelici e le loro pratiche di “proselitismo” (eufemismo per arruolamento a colpi di contanti di cittadini israeliani).
Secondo altre fonti non ci sarebbe nessun dubbio che Israele sapesse dell'attacco. Addirittura spunta fuori la notizia che i servizi egiziani avrebbero segnalato a Israele l'imminenza di qualcosa di grave in arrivo da Gaza. Tutti i più importanti giornali israeliani mettono sotto accusa la politica di “Bibi” come fattore scatenante dell'attacco. Secondo alcune ipotesi spericolate, ci sarebbero addirittura state frazioni del Mossad intenzionate a mettere nei guai "Bibi" e quindi avrebbero fatto finta di non vedere. Tutte le trame e le cospirazioni sono possibili, ma ciò che conta davvero è sempre il contesto, che, nel caso di Israele, è quello di un crocevia di flussi finanziari e forniture militari, una bolla di armi e di soldi pronta a scoppiare. La dipendenza finanziaria di Israele da fondi esterni è verificabile a tutti i livelli, dato che è soprattutto l’Unione Europea a sobbarcarsi i costi dell’occupazione militare dei territori palestinesi. L’Unione Europea esercita anche un “controllo ideologico” sull’Autorità palestinese; in parole povere, ne corrompe i leader concedendo i fondi solo in cambio di un atteggiamento arrendevole e giustificatorio nei confronti dell’occupazione israeliana. La corruzione è fisiologica a qualsiasi sistema di potere ma attualmente i dirigenti di Fatah sono talmente sfacciati nell’esibire il proprio arricchimento personale da accreditare Hamas come un’unica opzione praticabile per chi voglia opporsi alle violenze ed all’apartheid dell’occupazione israeliana.
Nessuno che disponga di un minimo di informazione può prendere sul serio la mitologia dell’invincibilità israeliana, che si è rivelata un bluff già dalla guerra del Kippur del 1973; un bluff che si è sgonfiato del tutto con l’invasione del Libano nel 2006, quando l’esercito israeliano fu respinto da una milizia come Hezbollah. Può darsi anche che il leggendario Mossad abbia fatto veramente cilecca e si sia lasciato sfuggire ciò che avveniva a Gaza; infatti, se è vero che il Mossad da sempre ha manipolato ed infiltrato Hamas, sarebbe anche possibile che si sia verificata una contro-infiltrazione. Non è escluso neppure che i pubblicizzatissimi sistemi di controllo informatico come il Pegasus, creato dall’azienda israeliana NSO Group, si siano rivelati un costoso bidone in stile F-35.
Eppure sta di fatto che l’attacco della scorsa settimana dalla Striscia di Gaza da parte di Hamas, non può essere spacciato per una sorpresa. Sono decenni che l’esercito israeliano usa Gaza come poligono di tiro ed i residenti come sagome da bersagliare, perciò un’altra operazione in stile “Piombo Fuso” del 2008 poteva scattare da un momento all’altro. Poco più di due anni fa, nel maggio del 2021, c’era stato l’ennesimo attacco dell’esercito israeliano a Gaza, perciò non ci sarebbe niente di strano se Hamas avesse prevenuto l’avversario. Anche se le televisioni hanno insistito sullo psicodramma Pearl Harbour, fortunatamente qualche agenzia di stampa ha sottolineato che lo stato di guerra in questi decenni è stato praticamente permanente.
L’estate scorsa negli USA si era cominciato a considerare il peso enorme per l’erario delle spese per l’avventura in Ucraina contro la Russia; perciò molti politici statunitensi avevano anche avviato un confronto per valutare se il flusso degli aiuti verso Israele non dovesse essere ridimensionato. Anche soltanto parlarne a livello di ipotesi sembrava la fine di un tabù, dato che un politico statunitense che non fosse schierato senza se e senza ma con la lobby israeliana, poteva ritenere chiusa la sua carriera e screditata per sempre la sua reputazione.
Ma grazie all’invasione di Hamas i dubbi sono stati travolti, ed il flusso dei soldi non soltanto si è sbloccato, ma promette di ampliarsi dato che tutti i media sono corsi ad avvertirci che dietro Hamas ci sarebbe l’Iran. La situazione di confusione che si era verificata ai due rami del parlamento statunitense sulla questione del rinnovo dei fondi all’Ucraina, è ora diventata un motivo di ansia anche per le sorti di Israele, al quale non devono essere fatti mancare ricchi finanziamenti per fronteggiare la “guerra”. Ma questi aiuti ad Israele potrebbero prefigurare addirittura un diretto coinvolgimento statunitense per attaccare l’Iran. Si tratterebbe di altro budget per la difesa e quindi di altro “quantitative easing” della Federal Reserve per finanziarlo. A che serve complottare quando ci sono i soldi a pensare e comandare? Sembra come in quella canzone di Charles Trenet, “La Java du Diable”, quando il diavolo si accorge di non essere lui l’autore e neppure l’editore del casino, e che a fare tutto erano stati solo i fottuti soldi.
L’approccio comparativo è importante in quasi ogni analisi, ma ci sono casi in cui potrebbe risultare fuorviante. Gli Stati Uniti ed i loro satelliti occidentali non possono più essere considerati validi termini di paragone, se non a rischio di gravi distorsioni ottiche. A confronto delle dirigenze statunitensi o europee, qualsiasi altra cricca di potere appare un incrocio tra un’Opera Pia e la Scuola di Atene dipinta da Raffaello; e rispetto ai vari Biden, Blinken, von Der Leyen e Scholz, ogni leader politico da loro criminalizzato sembra un santo e un genio. Le sedicenti élite occidentali versano in un tale stato di depravazione che si può cadere nell’errore di adottare il loro caricaturale manicheismo applicandolo all’incontrario. Stabilire gerarchie morali e antropologiche tra male assoluto e mali relativi, per molti risulta divertente, ma comunque rimane un diversivo. Quando un Putin denuncia i guasti ed i crimini combinati in Medio Oriente dagli Stati Uniti risulta persino troppo moderato ed eufemistico nei toni, ma il punto è che anche le dirigenze russe hanno svolto il loro ruolo di sponda nell’incancrenire la situazione.
Per capire di cosa si sta parlando si può partire da alcuni particolari per risalire poi al quadro generale. Nel 2007 la stampa israeliana riferiva delle gesta di una banda di nazisti, tutti di cittadinanza israeliana e di provenienza dall’ex Unione Sovietica. Ovviamente la narrazione del “Jerusalem Post” era condita di stupori ed indignazioni, oltre che di perplessità sulle norme sull’immigrazione che avevano consentito che ciò accadesse.
Quanto fosse seria quell’indignazione lo si è riscontrato nel 2018, tre anni prima della guerra per procura tra Russia e NATO, allorché il governo israeliano ignorò le proteste di un’associazione dei diritti umani che denunciava l’appoggio ed il finanziamento di Israele ai nazisti ucraini del Battaglione Azov. La spregiudicatezza dimostrata in quella circostanza era analoga a quella adottata nelle politiche di immigrazione in Israele.
Negli ultimi anni autorevoli organi di stampa israeliani come “Times of Israel” hanno riportato i dati sulla massiccia immigrazione dall’ex Unione Sovietica favorita da Gorbaciov. Dalle indagini demografiche risultava che l’identità ebraica degli immigrati non era solo dubbia, ma persino sospetta, e si cominciava a porsi domande sulla cosiddetta regola della nonna, in base alla quale bastava una nonna (o, in contrasto con la tradizione matrilineare, addirittura un nonno) di origini ebraiche per potersi qualificare come tale. Del resto un avo ebreo se lo può inventare chiunque, e non si vede come possa essere smentito senza costose ricerche anagrafiche, del tutto improponibili dato che si tratta di emigrazione di milioni di persone. Magari un antenato ebreo alla fine lo si troverebbe davvero a chiunque, dato che la purezza etnica è una chimera. Sta di fatto che oggi gli ex sovietici rappresentano il gruppo più numeroso in Israele, conservano molte delle proprie tradizioni, tra loro parlano il russo e, in base ai calcoli demografici, avranno il sopravvento elettorale entro la prossima generazione.
Questo afflusso indiscriminato in Israele di cittadini ex sovietici non risale a Gorbaciov, ma addirittura ai tempi di Stalin. Un organo sionista come “Israel for Ever” disegna un quadro epico e commovente sulla “fuga” degli “ebrei” sovietici dal cattivissimo Stalin. Nonostante le arrampicate sugli specchi e gli svolazzi retorici, un dato però si mostra evidente, e cioè che le varie dirigenze di Mosca hanno sempre considerato Israele una comoda discarica in cui riversare i soggetti indesiderati.
Il dato storico è che Mosca non è mai andata per il sottile nel favorire l’emigrazione delle persone non grate dall’Unione Sovietica, qualificandole di origine ebraica; così come Israele ha fatto finta di non accorgersi di questa incerta provenienza etnica. Il motivo della inevitabilità di tanta disinvoltura lo si scopre nelle litigate che il padre della patria israeliana, Ben Gurion, si faceva con i sionisti americani. Ben Gurion era arrabbiato poiché i suoi confratelli americani, nonostante vantassero inoppugnabili origini Yiddish, pretendevano di fare i sionisti a distanza, senza stabilirsi in Israele come lui avrebbe voluto. Insomma, Ben Gurion se la prendeva con quel tipico “armiamoci e partite” che è diventato oggi il mantra dei cultori del Sacro Occidente e delle loro “proxy war”.
Non c’è tragedia che non abbia un risvolto cialtronesco e ridicolo. Nel 2006, durante l’invasione israeliana del Libano, il giornalista Paolo Guzzanti trasformò il “vorrei ma non posso” dei cultori delle proxy war in un accorato inno in cui si esortava Israele a colpire i suoi nemici ovunque fossero. Purtroppo in quell’occasione i trentamila attaccanti israeliani non riuscirono ad accontentare Guzzanti e dovettero ritirarsi a causa delle perdite loro inflitte da tremila miliziani di Hezbollah.
Dato che i nemici hanno quel brutto vizio di reagire e di ammazzare, allora il buonsenso suggerirebbe di non dare retta agli istigatori a distanza e cercare invece un compromesso per trovare un modus vivendi. Purtroppo non dipende solo dalla buona volontà ma soprattutto da chi controlla i soldi, che sono quelli che plasmano la volontà, sia gestendo la narrativa, sia determinando il fatto compiuto che rende difficilissimo fare marcia indietro. La stampa israeliana segnala spesso che sta crescendo la totale dipendenza del presunto “Stato ebraico” dai flussi finanziari che provengono dai gruppi evangelici statunitensi. In Israele Netanyahu è universalmente riconosciuto come un imbecille, uno psicopatico ed un supercorrotto, eppure da più di venticinque anni vince le elezioni grazie al suo legame con gli evangelici americani. Di provenienza americana ed evangelica è il denaro che finanzia gli insediamenti coloniali in Cisgiordania, con tutto il corollario di ammazzamenti di palestinesi che gli insediamenti comportano. In base al mitico Diritto internazionale quei finanziamenti dovrebbero essere impediti perché diretti a sovvenzionare l’attuazione di un crimine; ma è chiaro che la legalità vale solo se fa comodo ai potenti.
Si potrebbe pensare che il “sionismo cristiano” sia un fenomeno recente. La ricerca storica ha invece scoperto che il copyright ce l’ha proprio il sionismo cristiano, che è addirittura precedente di due secoli al sionismo ebraico di Theodor Herzl, cosa che toglie ogni argomento a chi afferma che antisemitismo ed antisionismo siano la stessa cosa. Il sionismo cristiano in Gran Bretagna ha una storia molto antica, che risale addirittura al XVII secolo. Secondo il mito, il ritorno degli ebrei in Terra Santa dovrebbe forzare la mano al Padreterno ed accelerare la fine dei tempi con la guerra finale tra il Bene ed il Male. Nella concezione apocalittico-cristiana del sionismo agli ebrei è riservato il lavoro sporco ed anche una sorte abbastanza grama. L’influenza del sionismo cristiano di matrice britannica fu determinante nella vicenda della Dichiarazione di Balfour del 1917, con la quale il ministro degli Esteri del Regno Unito riconosceva agli ebrei il diritto di una patria in Palestina. Secondo Gershon Shafir, docente presso l’Università di San Diego in California, il sionismo cristiano corrispondeva all’esigenza dell’imperialismo britannico di usare il mito del ritorno ebraico in Palestina come pretesto per creare degli avamposti coloniali nell’area mediorientale.
Uno storico israeliano come Shlomo Sand arriva addirittura a mettere in discussione la stessa nozione di popolo ebraico, documentando che si tratterebbe di una "invenzione" molto più tarda di quanto si creda. Anche al di là di tali ipotesi, l'identità ebraica di Israele si rivela evanescente. Ma, se opportunamente finanziata, una bolla identitaria può comunque giustificare l'apartheid e la guerra infinita.
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