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LA BOLLA DI SOLDI E ARMI SOTTO IL BRAND DI ISRAELE
Di comidad (del 12/10/2023 @ 00:17:20, in Commentario 2023, linkato 8070 volte)
Tutte le notizie che provengono da Israele vanno prese con le molle; anzi, la stessa nozione di “Israele” va presa con le molle, dato che oggi sotto il “brand” di questo storico avamposto coloniale del Sacro Occidente si vende una merce un po’ diversa da quella di cinquanta o sessanta anni fa. Molti ancora parlano di sionismo come se fossimo ai tempi di Theodor Herzl, ma nel sionismo attuale gli ebrei sono minoranza, poiché sono stati soppiantati dal sionismo cristiano dei nuovi gruppi evangelici statunitensi. Questi gruppi, che non hanno nulla a che fare col protestantesimo tradizionale, sono collegati al Partito Repubblicano e controllano una lobby che dispone di circa undici milioni di voti, molti di più di quelli di un eventuale elettorato di origine ebraica.
Lo schema di riferimento delle organizzazioni del neosionismo cristiano è quello consolidato del filantro-capitalismo delle fondazioni, cioè la guerra santa che ti assicura il paradiso (fiscale). Attraverso l’immunità fiscale concessa dallo status del non profit, questi gruppi mescolano le profezie apocalittiche con la gestione del denaro, convogliando donazioni private e fondi pubblici verso Israele, e finanziando il reclutamento del personale per gli insediamenti coloniali nei territori occupati; il che significa anche armare le formazioni paramilitari dei coloni, oltre che a dare assistenza nella coltivazione delle terre sottratte ai palestinesi. La retorica apocalittica degli evangelici ovviamente sottintende la guerra, perciò è un altro spot della lobby delle armi. Il cosiddetto “aiuto” ad Israele è attualmente un business soprattutto interno agli Stati Uniti, dato che lì rimane la gestione del denaro. La stessa stampa israeliana da anni rileva con preoccupazione l’invadenza ideologica e finanziaria del neosionismo evangelico.
In molti hanno commentato che questa emergenza bellica è una boccata di ossigeno per il capo del governo israeliano, Benjamin Netanyahu, che aveva accumulato tanti di quei capi di imputazione per corruzione da aver estenuato i giudici e suscitato contro di lui manifestazioni ostili di milioni di cittadini. Oggi invece il vecchio “Bibi” può rivestire i panni del salvatore della patria in pericolo. Sarà un caso, ma i rapporti di Netanyahu con i neosionisti evangelici risalgono addirittura agli albori della sua carriera politica. Nel 1998 fece un viaggio negli USA, snobbando Bill Clinton e concentrandosi sull’appoggio che poteva ottenere dai gruppi evangelici. In questi ultimi tempi Netanyahu ha bloccato ogni tentativo legislativo del parlamento israeliano di limitare la penetrazione degli evangelici e le loro pratiche di “proselitismo” (eufemismo per arruolamento a colpi di contanti di cittadini israeliani).

Secondo altre fonti non ci sarebbe nessun dubbio che Israele sapesse dell'attacco. Addirittura spunta fuori la notizia che i servizi egiziani avrebbero segnalato a Israele l'imminenza di qualcosa di grave in arrivo da Gaza. Tutti i più importanti giornali israeliani mettono sotto accusa la politica di “Bibi” come fattore scatenante dell'attacco. Secondo alcune ipotesi spericolate, ci sarebbero addirittura state frazioni del Mossad intenzionate a mettere nei guai "Bibi" e quindi avrebbero fatto finta di non vedere. Tutte le trame e le cospirazioni sono possibili, ma ciò che conta davvero è sempre il contesto, che, nel caso di Israele, è quello di un crocevia di flussi finanziari e forniture militari, una bolla di armi e di soldi pronta a scoppiare. La dipendenza finanziaria di Israele da fondi esterni è verificabile a tutti i livelli, dato che è soprattutto l’Unione Europea a sobbarcarsi i costi dell’occupazione militare dei territori palestinesi. L’Unione Europea esercita anche un “controllo ideologico” sull’Autorità palestinese; in parole povere, ne corrompe i leader concedendo i fondi solo in cambio di un atteggiamento arrendevole e giustificatorio nei confronti dell’occupazione israeliana. La corruzione è fisiologica a qualsiasi sistema di potere ma attualmente i dirigenti di Fatah sono talmente sfacciati nell’esibire il proprio arricchimento personale da accreditare Hamas come un’unica opzione praticabile per chi voglia opporsi alle violenze ed all’apartheid dell’occupazione israeliana.
Nessuno che disponga di un minimo di informazione può prendere sul serio la mitologia dell’invincibilità israeliana, che si è rivelata un bluff già dalla guerra del Kippur del 1973; un bluff che si è sgonfiato del tutto con l’invasione del Libano nel 2006, quando l’esercito israeliano fu respinto da una milizia come Hezbollah. Può darsi anche che il leggendario Mossad abbia fatto veramente cilecca e si sia lasciato sfuggire ciò che avveniva a Gaza; infatti, se è vero che il Mossad da sempre ha manipolato ed infiltrato Hamas, sarebbe anche possibile che si sia verificata una contro-infiltrazione. Non è escluso neppure che i pubblicizzatissimi sistemi di controllo informatico come il Pegasus, creato dall’azienda israeliana NSO Group, si siano rivelati un costoso bidone in stile F-35.
Eppure sta di fatto che l’attacco della scorsa settimana dalla Striscia di Gaza da parte di Hamas, non può essere spacciato per una sorpresa.
Sono decenni che l’esercito israeliano usa Gaza come poligono di tiro ed i residenti come sagome da bersagliare, perciò un’altra operazione in stile “Piombo Fuso” del 2008 poteva scattare da un momento all’altro. Poco più di due anni fa, nel maggio del 2021, c’era stato l’ennesimo attacco dell’esercito israeliano a Gaza, perciò non ci sarebbe niente di strano se Hamas avesse prevenuto l’avversario. Anche se le televisioni hanno insistito sullo psicodramma Pearl Harbour, fortunatamente qualche agenzia di stampa ha sottolineato che lo stato di guerra in questi decenni è stato praticamente permanente.
L’estate scorsa negli USA si era cominciato a considerare il peso enorme per l’erario delle spese per l’avventura in Ucraina contro la Russia; perciò molti politici statunitensi avevano anche avviato un confronto per valutare se il flusso degli aiuti verso Israele non dovesse essere ridimensionato. Anche soltanto parlarne a livello di ipotesi sembrava la fine di un tabù, dato che un politico statunitense che non fosse schierato senza se e senza ma con la lobby israeliana, poteva ritenere chiusa la sua carriera e screditata per sempre la sua reputazione.
Ma grazie all’invasione di Hamas i dubbi sono stati travolti, ed il flusso dei soldi non soltanto si è sbloccato, ma promette di ampliarsi dato che tutti i media sono corsi ad avvertirci che dietro Hamas ci sarebbe l’Iran. La situazione di confusione che si era verificata ai due rami del parlamento statunitense sulla questione del rinnovo dei fondi all’Ucraina, è ora diventata un motivo di ansia anche per le sorti di Israele, al quale non devono essere fatti mancare ricchi finanziamenti per fronteggiare la “guerra”. Ma questi aiuti ad Israele potrebbero prefigurare addirittura un diretto coinvolgimento statunitense per attaccare l’Iran. Si tratterebbe di altro budget per la difesa e quindi di altro “quantitative easing” della Federal Reserve per finanziarlo. A che serve complottare quando ci sono i soldi a pensare e comandare? Sembra come in quella canzone di Charles Trenet, “La Java du Diable”, quando il diavolo si accorge di non essere lui l’autore e neppure l’editore del casino, e che a fare tutto erano stati solo i fottuti soldi.