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""Napoli" è una di quelle parole chiave della comunicazione, in grado di attivare nel pubblico un'attenzione talmente malevola da congedare ogni senso critico, per cui tutto risulta credibile."

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Di comidad (del 13/07/2023 @ 00:10:51, in Commentario 2023, linkato 7951 volte)
Non sarebbe tanto il caso di dispiacersi se certe barzellette oscene, che non ti fanno neppure ridere per quanto sono desolanti, tendono a cadere nell’oblio ed a non essere più raccontate. Invece no, pare proprio che ci sia qualcuno che si sta accorando per le sorti di una di quelle barzellette. Nel partito trasversale dei forcaioli c’è infatti chi si dichiara davvero preoccupato per la sorte della cosiddetta ”destra legalitaria“ di Almirante e Borsellino. Per ciò che riguarda Paolo Borsellino, la sua militanza giovanile nel FUAN o una sua sortita alla festa del Fronte della Gioventù, non sono sufficienti per qualificarlo come esponente del Movimento Sociale Italiano. Al contrario, Giorgio Almirante non fu soltanto segretario del MSI per la maggior parte della storia di quel partito, ma ne fu anche un ideologo, con la famosa distinzione tra Stato e regime; per cui il MSI si poteva dichiarare al tempo stesso fedele allo Stato ed ostile al regime, tanto da poter narrare di essere ferocemente perseguitato da quest’ultimo.
Sennonché lo Stato, nel migliore dei casi, rimane al più un’astrazione giuridica; mentre il regime è la concretezza di un sistema di potere, con il livello palese dei suoi apparati istituzionali, ma anche, e soprattutto, con il suo sommerso, cioè con il suo livello illegale delle commistioni illecite tra pubblico e privato, ed anche tra istituzionale e criminale, che di solito è il livello più importante. La storia del MSI ne rappresenta un esempio piuttosto evidente. Il 17 giugno del 1975, a Napoli, tre missini della sezione “Berta” di Via Foria, lanciarono delle bottiglie incendiarie contro un corteo di auto che festeggiava la vittoria del PCI alle elezioni amministrative. Per quel lancio una ragazza che si trovava lì per puro caso, Iolanda Palladino, morì per le fiamme nella sua 500. I tre missini furono arrestati e processati a Roma, con condanne irrisorie; tanto che erano già fuori poco tempo dopo. Il segretario della sezione “Berta”, Michele Florino, fu assolto, poiché aveva un alibi di ferro, infatti disse di essere andato a comprare le pizze. L’episodio non incrinò affatto la carriera politica di Florino, tanto che successivamente fu eletto senatore del MSI. Quindi, secondo la narrazione di Almirante, il MSI era ferocemente perseguitato da una belva (il “regime”), che però era completamente priva di zanne e artigli, visto che lo “Stato”, cioè i tribunali, garantiva l’impunità ai missini. Negli anni a seguire infatti la sezione “Berta” poté continuare indisturbata la sua attività squadristica nella zona.
Del resto neppure l’assassinio dell’agente Antonio Marino nel 1973 a Milano aveva minimamente scalfito il rapporto speciale tra MSI e cosiddette forze dell’ordine; nemmeno a livello elettorale, poiché la maggioranza di poliziotti e carabinieri continuò a votare per Almirante. Secondo una leggenda metropolitana, basata sui ricordi personali di Francesca Mambro, solo nel 1978, con l’uccisione di tre giovani missini ad Acca Larenzia a Roma, vi sarebbe stata la rottura del feeling. In realtà i NAR di Alibrandi e Fioravanti erano in attività almeno dall’anno precedente, quindi la cronologia non corrisponde. E poi i fascisti avevano steso un velo pietoso persino sull’assassinio di Ettore Muti nel 1943 da parte dei carabinieri. Liti in famiglia. E poi, quando si spara, c’è sempre il rischio del “fuoco amico”; ciò che fa testo è il tasso di impunità giudiziaria. Il politologo Giorgio Galli notò a suo tempo che la politica del MSI si muoveva tutta nell’ambito di questo schema vittimismo/impunità. Si potrebbe anche rilevare che lo schema vittimismo/impunità è un rituale riscontrabile in qualsiasi dinamica di potere. Al di là delle lamentazioni destrorse sulle “toghe rosse”, ed al di là della magistratolatria dei politicorretti, tutta la rappresentazione dei potenti perseguitati dalla magistratura, è un sovvertimento dei dati di fatto. Se le assurdità di Renzi e Nordio fossero applicate alla lettera, allora la magistratura dovrebbe inquisire solo i poveracci, perciò sarebbe sgamata immediatamente come reggicoda del potere. Si fa finta invece ogni tanto di inquisire un potente, salvo poi insabbiare tutto. Del resto la finzione non richiede affatto una lucidità cospirativa, bensì è un’attitudine sociale del tutto spontanea. Alla morte del Buffone di Arcore, i magistrati sono stati chiamati a rendere conto della colpa di averlo perseguitato, mentre invece avrebbero dovuto rispondere di avergli consentito di farla franca. In questo mondo c’è di tutto, quindi sicuramente ci saranno anche magistrati per bene; ciò non toglie che il potere giudiziario rimanga organico alla cleptocrazia dominante. E non è un problema solo italiano, visto ciò che succede nel Regno Unito, dove i giudici stanno avallando il furto di due miliardi in oro ai danni del Venezuela. Il potere reale non è inquadrabile nel modello legale-razionale di Max Weber; anzi, il potere non si modernizza mai, rimane una dinamica arcaica, perciò si alimenta anche di certi miti e rituali tribali. Non conta quanti privilegi possa vantare, ogni potente si sentirà sempre un Cristo in croce che soffre a causa di noi umili mortali.

Per quanto riguarda un’altra barzelletta oggetto di rimpianto, cioè quella della “destra sociale”, sarebbe interessante capire quale fosse la “base popolare” della sezione “Berta”. Nella gran parte si trattava di esattori del clan criminale della zona di Stella-San Carlo all’Arena, comandato all’epoca dal boss Giuseppe Misso. Negli anni ‘70 a Napoli ciò rappresentava il proverbiale segreto di Pulcinella, anche se non c’era ancora riscontro in documenti ufficiali. Diventato poi “collaboratore di giustizia”, Misso raccontò ai giudici di aver addirittura ucciso alcuni esponenti del clan Giuliano di Forcella, per conto del senatore Florino, il quale avrebbe lamentato di essere stato tradito dai Giuliano, che gli avrebbero preferito il Partito Socialista. Anche per questa imputazione Florino poté presentare un alibi di ferro, infatti era stato componente della Commissione Parlamentare Antimafia. Secondo Misso la base militante ed elettorale dei vari partiti era composta dal sistema criminale della zona, che poteva cambiare bandiera all’occorrenza. La narrazione eroico-vittimistica di Almirante sull’estraneità del MSI al sistema dei partiti, si riferiva perciò esclusivamente al mitico “arco costituzionale”; per il resto vigeva un sistema dei partiti composto di vasi comunicanti, di cui il MSI faceva organicamente parte. La storia si ripete, come nel caso dei mazzieri giolittiani, cioè di criminali comuni che, negli anni ’20, si riciclarono come squadristi fascisti. Si dice che i regimi cambiano e lo Stato resta. In realtà lo Stato non esiste, se non come finzione giuridica; il regime invece esiste fin troppo, e presenta una sua sostanziale continuità, pur nelle superficiali variazioni. Il fascismo non può tornare, perché non se n’è mai andato, è stato integrato e metabolizzato dal regime.
Oggi la sezione “Berta” è diventata una sede di CasaPound, e la leader è una figlia d’arte, Emmanuela Florino, la figlia di quello che stava comprando le pizze. La narrativa del politicamente corretto finto antifascista, stile “Fanpage”, è come al solito speculare e complementare a quella dei fascisti. Accredita cioè l’esistenza di fanatismi ideologici e di comportamenti antisistema; una rappresentazione su cui però è lecito accampare dei dubbi, dato che persistono certe tradizioni di impunità, tali da smentire la presunta estraneità dei fascisti all’establishment “democratico”. Nel 2013 infatti ci fu la consueta retata di squadristi, immediatamente seguita da concessione di arresti domiciliari con pronti rientri in circolazione. Qualche malpensante potrebbe persino supporre che CasaPound sia una congrega di confidenti della polizia e di agenti provocatori. Grazie al brand di CasaPound i media mainstream hanno potuto offrire un’immagine “fascistizzata” dei movimenti di opposizione al bio-golpe psicopandemico. I forcaioli si chiedono indignati come mai certi personaggi con inesauribili curriculum criminali siano sempre a piede libero per delinquere ancora. La rispostina è così terra terra, che non è alla portata delle loro menti superiori.
Il politicamente corretto dà l’impressione di voler mettere il dito nella piaga, salvo poi ripiegare sempre nel rassicurante. Roberto Saviano a riguardo è un notevole illusionista, infatti dice quel tanto che possa irritare la suscettibilità delle destre ed accreditare il loro vittimistico gioco delle parti, senza però mai scavare nelle connessioni. E neppure lo fa l’ex super-magistrato chiamato a spiegare il percorso giudiziario di Misso. Il Misso intervistato da Saviano ha infatti modo di esibire il suo repertorio di luoghi comuni, ma non viene mai costretto a spiegare la strana coerenza e continuità del suo percorso, da boss di un clan criminale a “collaboratore di giustizia”. In quanto “pentito”, oggi Misso può considerarsi un pensionato da parte di un regime per cui ha sempre lavorato, in incarichi solo apparentemente diversi.
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Di comidad (del 20/07/2023 @ 00:10:08, in Commentario 2023, linkato 7771 volte)
Ogni tanto la cosiddetta divulgazione scientifica si invaghisce di qualche narrazione e ce la propina in tantissime versioni, diverse per alcuni dettagli, ma sostanzialmente univoche nel messaggio “pedagogico”. Da qualche anno c’è una documentaristica molto ricca sul tema dell’estinzione dell’Uomo di Neanderthal; e il busillis sta appunto nel capire come avremmo fatto noi, della specie Homo Sapiens Sapiens, ad accoppare quel fesso di Uomo di Neanderthal. Ovviamente si tratta del solito cumulo di elucubrazioni costruito su dati empirici assolutamente insufficienti, ma l’importante è sollecitare la nostra vena di megalomania. L’arte del pedagogo e quella del truffatore in fondo si somigliano, perché entrambe consistono nel premere il bottoncino della tua mania di grandezza per indurti a fare qualcosa. Abbiamo visto come si sia riusciti ad indurre le masse a sorvolare sull’inefficacia e sulla tossicità dei cosiddetti vaccini, semplicemente trasformando la vaccinazione in un test di moralità e di intelligenza.
Anche la nostra Giorgia Meloni è un po’ pedagoga e un po’ truffatrice, infatti sta sempre a fregarti o negarti qualcosa in nome dell’alternativa di qualche luminoso destino. Quasi tutti i governi europei hanno istituito il salario minimo come meccanismo parzialmente compensativo alle leggi sulla precarizzazione, che hanno determinato un crollo verticale del potere contrattuale dei lavoratori. Nell’avara Italietta invece diventa impossibile. Secondo la Meloni infatti il salario minimo sarebbe uno specchietto per le allodole, mentre la strada maestra per aumentare i salari sarebbe quella di diminuire le tasse sul lavoro. Cari lavoratori, non disperate, perché un giorno anche voi farete parte della razza eletta di quelli che non pagano le tasse. La Meloni rincara la dose spiegandoci che non si può pagare un ventenne perché se ne stia davanti alla televisione, magari a guardare la stessa Meloni che rilascia interviste a Vespa. Giorgia inoltre irride i 5 Stelle che si illudevano di comprarsi i voti con la promessa del Reddito di Cittadinanza. In effetti può darsi benissimo che la promessa di togliere il RDC abbia reso in termini elettorali molto di più della promessa di mantenerlo. Demagogia e pedagogia non sono affatto incompatibili. Ve la siete spassata e adesso dovete espiare: è un messaggio che fa presa. Lo slogan elettorale della Meloni era “la pacchia è finita”; non si è capito bene quale pacchia fosse, ma l’importante era di vendere questa aspettativa punitiva di regolamento di conti e di vendetta sociale.
Giuseppe Conte dovrebbe rifletterci. Quand’è stato che gli è toccato il massimo della popolarità? Quando il suo primo governo ha istituito il Reddito di Cittadinanza? No. Allora quando il suo secondo governo ha istituito il Superbonus? No. Il top del successo personale il nostro “Giuseppi” lo ha riscosso quando ha imposto il lockdown, cioè quando ha inflitto all’economia italiana danni analoghi a quelli della seconda guerra mondiale, gettando sul lastrico milioni di persone. Eppure quel clima di palingenesi sociale è stato un evento unico ed irripetibile. I soliti media mendaci hanno attribuito a Draghi il “merito” della campagna vaccinale. Ma non è vero, infatti il momento magico della campagna vaccinale è stato durante il governo Conte, quando milioni e milioni di persone si sono trasformati in cavie felici di esserlo, andando incontro ai sieri sperimentali con l’euforia e l’ebbrezza del primo appuntamento per un adolescente. C’è chi ancora rimpiange quei bei tempi, quelle meravigliose prove tecniche di demapedagogia.
Qualunque sprovveduto può sentirsi un grande economista sputando la solita ovvietà: “Non ci sono pasti gratis”. Intanto per qualcuno i pasti gratis ci sono, eccome; perché paga qualcun altro, più povero. Nel 2003 è fallito il fondo pensionistico dei dirigenti d’azienda, perciò a farsi carico delle faraoniche pensioni, assegnate con contributi insufficienti, sono stati i pensionati dell’INPS, costretti persino a dilazionare l’età pensionabile. Si può indurre la gente a pagare anche per vendergli digiuni, stenti e miserie.

L’accesso alla moneta unica ha comportato una spesa onerosa per l’Italia, cioè si è investito per creare deflazione, cioè miseria. La quota di adesione dell’Italia al Meccanismo Europeo di Stabilità è di centoventicinque miliardi, i quali, una volta versati, si potrebbero riottenere in prestito ad interesse e persino con vincoli di spesa. Il MES è un esempio classico, canonico, di digiuno a pagamento; e c’è da molto prima che inventassero le app per dimagrire col digiuno intermittente. La distribuzione iniqua del reddito è il fondamento di ogni gerarchizzazione sociale, e garantire questa iniquità non è automatico, bensì comporta costi e spese. Questa costante storica delle società gerarchiche si è però esasperata nell’attuale epoca del dominio del lobbying finanziario, per cui l’Unione Europea, pur di perpetuare le bolle finanziarie dei titoli “green”, non esita a gettare risorse in un irrealistico progetto di abbandono in tempi stretti dei combustibili fossili.
Per digiunare si è spesso costretti a pagare molto di più che per mangiare. La caduta nella spirale dell’indigenza è dovuta più al lavoro che al non lavoro. I bassi salari possono determinare un fenomeno sociale molto pericoloso, cioè il lavorare in perdita, accettando salari che non coprono i costi di trasporto pur di non rimanere tagliati fuori dal mercato del lavoro. Per molte persone la più importante tassa sul lavoro è rappresentata dalle accise sulla benzina; il problema è che quelle accise sono una tassa anche sulla ricerca del lavoro, dato che non c’è app che possa sostituire il presentarsi di persona. La Meloni aveva promesso non solo la castrazione chimica degli stupratori, ma anche la “sterilizzazione” (?) delle accise; mica di togliere le accise, infatti le ha aumentate. Il lavoro può diventare un devastante fattore di pauperizzazione. Spesso coloro che più si sono dati da fare, sono anche quelli che più rapidamente sono caduti nell’indigenza; e magari gli tocca pure sentirsi chiamare fannulloni. L’Homo Sapiens Sapiens questo è. Che vi credevate?
“Non ci sono digiuni gratis” è una formula che indica una costante della società, cioè che i poveri sono chiamati a pagare per impoverirsi, spesso a pagare per farsi licenziare. Il lavoratore paga tasse e accise con le quali i governi finanziano le imprese, le quali con quei fondi possono delocalizzare la produzione, oppure spostare la loro attività verso la speculazione di Borsa. Alla fine degli anni ’70 furono i soldi pubblici della legge per la riconversione industriale a consentire alla FIAT di licenziare migliaia di lavoratori; e intanto i media ci distraevano con la pagliacciata della Marcia dei Quarantamila. Milioni di italiani non hanno mai sentito nominare Invitalia, l’agenzia nazionale per lo sviluppo d’impresa; eppure si tratta del maggior ente assistenziale per ricchi, e quell’assistenzialismo costa. Miliardi di denaro pubblico devono essere elargiti per creare bolle imprenditoriali di vita breve, ma che in compenso alimentano sostanziose ricchezze private.
Fortunatamente c’è ancora una “sinistra” politicorretta che sta lì a far credere alla gente che le tasse servano a pagare i servizi pubblici. A ben guardare, la fascista Meloni ed i politicorretti suoi avversari non sono poi così diversi, si muovono sulla stessa demapedagogia punitiva ed espiatoria che tanto affascina l’opinione pubblica. Tutti insieme fanno una sorta di “fascisticamente corretto” all’insegna del pauperismo. Ogni tanto fascisti e politicorretti fanno finta di denunciarsi a vicenda e di rinfacciarsi le loro rispettive magagne; e sono talmente meccanici che finiscono per credere alle loro stesse pantomime. Su twitter il senatore Lucio Malan, di Fratelli d’Italia, ha “denunciato” i progetti pauperistici del network C40, composto da sindaci di tutto il mondo che si impegnano nell’ecosostenibilità. Tra i finanziatori di questo network c’è di tutto, compreso il solito Soros. Forse Malan pensa davvero di spaventare l’opinione pubblica facendole sapere quanto siano malintenzionati i politicorretti, i quali ci prospettano un futuro di razionamenti persino del cibo e del vestiario. Non si sa se Malan lo è o ci fa; però dovrebbe sapere che questo è il business, cioè vendere miseria e restrizioni scegliendo ogni volta lo spot ed il testimonial adatti. Un domani potrebbe essere proprio la Meloni ad ammonirci che “la pacchia è finita”, e che bisogna pagare per digiunare.
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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