Non sarebbe tanto il caso di dispiacersi se certe barzellette oscene, che non ti fanno neppure ridere per quanto sono desolanti, tendono a cadere nell’oblio ed a non essere più raccontate. Invece no, pare proprio che ci sia qualcuno che si sta accorando per le sorti di una di quelle barzellette. Nel partito trasversale dei forcaioli c’è infatti chi si dichiara davvero preoccupato per la sorte della cosiddetta ”destra legalitaria“ di Almirante e Borsellino. Per ciò che riguarda Paolo Borsellino, la sua militanza giovanile nel FUAN o una sua sortita alla festa del Fronte della Gioventù, non sono sufficienti per qualificarlo come esponente del Movimento Sociale Italiano. Al contrario, Giorgio Almirante non fu soltanto segretario del MSI per la maggior parte della storia di quel partito, ma ne fu anche un ideologo, con la famosa
distinzione tra Stato e regime; per cui il MSI si poteva dichiarare al tempo stesso fedele allo Stato ed ostile al regime, tanto da poter narrare di essere ferocemente perseguitato da quest’ultimo.
Sennonché lo Stato, nel migliore dei casi, rimane al più un’astrazione giuridica; mentre il regime è la concretezza di un sistema di potere, con il livello palese dei suoi apparati istituzionali, ma anche, e soprattutto, con il suo sommerso, cioè con il suo livello illegale delle commistioni illecite tra pubblico e privato, ed anche tra istituzionale e criminale, che di solito è il livello più importante. La storia del MSI ne rappresenta un esempio piuttosto evidente. Il 17 giugno del 1975, a Napoli, tre missini della sezione “Berta” di Via Foria, lanciarono delle bottiglie incendiarie contro un corteo di auto che festeggiava la vittoria del PCI alle elezioni amministrative. Per quel lancio una ragazza che si trovava lì per puro caso,
Iolanda Palladino, morì per le fiamme nella sua 500. I tre missini furono arrestati e processati a Roma, con condanne irrisorie; tanto che erano già fuori poco tempo dopo. Il segretario della sezione “Berta”, Michele Florino, fu assolto, poiché aveva un alibi di ferro, infatti disse di essere andato a comprare le pizze. L’episodio non incrinò affatto la carriera politica di Florino, tanto che successivamente fu eletto senatore del MSI. Quindi, secondo la narrazione di Almirante, il MSI era ferocemente perseguitato da una belva (il “regime”), che però era completamente priva di zanne e artigli, visto che lo “Stato”, cioè i tribunali, garantiva l’impunità ai missini. Negli anni a seguire infatti la sezione “Berta” poté continuare indisturbata la sua attività squadristica nella zona.
Del resto neppure l’assassinio dell’agente Antonio Marino nel 1973 a Milano aveva minimamente scalfito il rapporto speciale tra MSI e cosiddette forze dell’ordine; nemmeno a livello elettorale, poiché la maggioranza di poliziotti e carabinieri continuò a votare per Almirante. Secondo una leggenda metropolitana, basata sui ricordi personali di Francesca Mambro, solo nel 1978, con l’uccisione di tre giovani missini ad Acca Larenzia a Roma, vi sarebbe stata la rottura del feeling. In realtà i NAR di Alibrandi e Fioravanti erano in attività almeno dall’anno precedente, quindi la cronologia non corrisponde. E poi i fascisti avevano steso un velo pietoso persino sull’assassinio di Ettore Muti nel 1943 da parte dei carabinieri. Liti in famiglia. E poi, quando si spara, c’è sempre il rischio del “fuoco amico”; ciò che fa testo è il tasso di impunità giudiziaria. Il politologo Giorgio Galli notò a suo tempo che la politica del MSI si muoveva tutta nell’ambito di questo schema vittimismo/impunità. Si potrebbe anche rilevare che lo schema vittimismo/impunità è un rituale riscontrabile in qualsiasi dinamica di potere. Al di là delle lamentazioni destrorse sulle “toghe rosse”, ed al di là della magistratolatria dei politicorretti, tutta la rappresentazione dei potenti perseguitati dalla magistratura, è un sovvertimento dei dati di fatto. Se le assurdità di Renzi e Nordio fossero applicate alla lettera, allora la magistratura dovrebbe inquisire solo i poveracci, perciò sarebbe sgamata immediatamente come reggicoda del potere. Si fa finta invece ogni tanto di inquisire un potente, salvo poi insabbiare tutto. Del resto la finzione non richiede affatto una lucidità cospirativa, bensì è un’attitudine sociale del tutto spontanea. Alla morte del Buffone di Arcore, i magistrati sono stati chiamati a rendere conto della colpa di averlo perseguitato, mentre invece avrebbero dovuto rispondere di avergli consentito di farla franca. In questo mondo c’è di tutto, quindi sicuramente ci saranno anche magistrati per bene; ciò non toglie che il potere giudiziario rimanga organico alla cleptocrazia dominante. E non è un problema solo italiano, visto ciò che succede nel Regno Unito, dove i giudici stanno avallando
il furto di due miliardi in oro ai danni del Venezuela. Il potere reale non è inquadrabile nel modello legale-razionale di Max Weber; anzi, il potere non si modernizza mai, rimane una dinamica arcaica, perciò si alimenta anche di certi miti e rituali tribali. Non conta quanti privilegi possa vantare, ogni potente si sentirà sempre un Cristo in croce che soffre a causa di noi umili mortali.
Per quanto riguarda un’altra barzelletta oggetto di rimpianto, cioè quella della “destra sociale”, sarebbe interessante capire quale fosse la “base popolare” della sezione “Berta”. Nella gran parte si trattava di esattori del clan criminale della zona di Stella-San Carlo all’Arena, comandato all’epoca dal boss Giuseppe Misso. Negli anni ‘70 a Napoli ciò rappresentava il proverbiale segreto di Pulcinella, anche se non c’era ancora riscontro in documenti ufficiali. Diventato poi “collaboratore di giustizia”, Misso raccontò ai giudici di aver addirittura ucciso alcuni esponenti del clan Giuliano di Forcella, per conto del senatore Florino, il quale avrebbe lamentato di essere stato tradito dai Giuliano, che gli avrebbero preferito il Partito Socialista.
Anche per questa imputazione Florino poté presentare un alibi di ferro, infatti era stato componente della Commissione Parlamentare Antimafia. Secondo Misso la base militante ed elettorale dei vari partiti era composta dal sistema criminale della zona, che poteva cambiare bandiera all’occorrenza. La narrazione eroico-vittimistica di Almirante sull’estraneità del MSI al sistema dei partiti, si riferiva perciò esclusivamente al mitico “arco costituzionale”; per il resto vigeva un sistema dei partiti composto di vasi comunicanti, di cui il MSI faceva organicamente parte. La storia si ripete, come nel caso dei mazzieri giolittiani, cioè di criminali comuni che, negli anni ’20, si riciclarono come squadristi fascisti. Si dice che i regimi cambiano e lo Stato resta. In realtà lo Stato non esiste, se non come finzione giuridica; il regime invece esiste fin troppo, e presenta una sua sostanziale continuità, pur nelle superficiali variazioni. Il fascismo non può tornare, perché non se n’è mai andato, è stato integrato e metabolizzato dal regime.
Oggi la sezione “Berta” è diventata una sede di CasaPound, e la leader è una figlia d’arte, Emmanuela Florino, la figlia di quello che stava comprando le pizze. La narrativa del politicamente corretto finto antifascista, stile “Fanpage”, è come al solito speculare e complementare a quella dei fascisti. Accredita cioè l’esistenza di fanatismi ideologici e di comportamenti antisistema; una rappresentazione su cui però è lecito accampare dei dubbi, dato che persistono certe tradizioni di impunità, tali da smentire la presunta estraneità dei fascisti all’establishment “democratico”. Nel 2013 infatti ci fu
la consueta retata di squadristi, immediatamente seguita da concessione di arresti domiciliari con pronti rientri in circolazione. Qualche malpensante potrebbe persino supporre che CasaPound sia una congrega di confidenti della polizia e di agenti provocatori. Grazie al brand di CasaPound i media mainstream hanno potuto offrire un’immagine “fascistizzata” dei movimenti di opposizione al bio-golpe psicopandemico. I forcaioli si chiedono indignati come mai certi personaggi con inesauribili curriculum criminali siano sempre a piede libero per delinquere ancora. La rispostina è così terra terra, che non è alla portata delle loro menti superiori.
Il politicamente corretto dà l’impressione di voler mettere il dito nella piaga, salvo poi ripiegare sempre nel rassicurante. Roberto Saviano a riguardo è un notevole illusionista, infatti dice quel tanto che possa irritare la suscettibilità delle destre ed accreditare il loro vittimistico gioco delle parti, senza però mai scavare nelle connessioni. E neppure lo fa l’ex super-magistrato chiamato a spiegare il percorso giudiziario di Misso.
Il Misso intervistato da Saviano ha infatti modo di esibire il suo repertorio di luoghi comuni, ma non viene mai costretto a spiegare la strana coerenza e continuità del suo percorso, da boss di un clan criminale a “collaboratore di giustizia”. In quanto “pentito”, oggi Misso può considerarsi un pensionato da parte di un regime per cui ha sempre lavorato, in incarichi solo apparentemente diversi.