Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il governo Berlusconi ha deciso di legalizzare lo squadrismo attraverso l’istituzione delle ronde di cittadini. La scelta è stata probabilmente presa per offrire una copertura istituzionale alle bande di “Camicie Verdi” della Lega Nord, organizzate a parodistica imitazione delle SA naziste (quelle i cui vertici vennero fatti fuori da Hitler ed Himmler nel 1934, nella famosa “Notte dei Lunghi Coltelli”).
Comunque sia, il fatto ha la rilevanza di un colpo di Stato, di una eversione dello Stato di Diritto, e non di una sua semplice “abdicazione”, così come avevano affermato alcuni commentatori vaticani, peraltro prontamente smentiti e isolati dai loro vertici.
Noam Chomsky e Edward S. Herman, nel loro libro “La Fabbrica del Consenso”, hanno affermato che i media non decidono soltanto quale notizia dare o non dare, ma anche quale atteggiamento tenere davanti alle notizie: se enfatizzare o minimizzare; e, quando la gravità del fatto sia evidente ed incontrovertibile, se chiamare all’indignazione o stemperare gli animi mettendosi a filosofeggiare sulla natura umana e sui tempi che corrono.
La stampa definita impropriamente di opposizione - ad esempio, “La Repubblica” -, ha deciso di sintetizzare l’evento dell’istituzione delle “ronde” attraverso un titolo amaramente riflessivo, di quelli che diluiscono l’evento stesso in una sorta di proiezione verso un incerto futuro: “a piccoli passi verso l’inciviltà”. Attraverso questo titolo, anche quel po’ di allarme che l’articolo di Gad Lerner conteneva, è stato ricondotto ad una serena prospettiva storica di ineluttabile decadenza.
La “colpa” del governo si riduce così ad aver interpretato lo “spirito dei tempi”, andando cioè a compiacere gli istinti facinorosi e forcaioli delle masse. A questo punto, “La Repubblica” può ritenere di aver assolto alla sua missione di giornale di “opposizione”, per tornare così alle sue occupazioni preferite, cioè riferire puntigliosamente le nefandezze, vere o presunte, di Chavez e Putin.
I media hanno infatti un’altra prerogativa. Oltre a decidere se aprire o meno il rubinetto delle notizie o il rubinetto dell’indignazione, stabiliscono anche se sia lecito aprire il rubinetto dei sospetti. Se avanzi sospetti sul presidente degli Stati Uniti, allora sei un paranoico seguace delle teorie cospirazionistiche; se invece esprimi sospetti su Putin o Mugabe, allora stai facendo vigilanza democratica e difesa dei diritti umani.
Nella vicenda dell’assassinio della giornalista russa Anna Politkovskaja, Putin è oggi chiamato dai media occidentali a scagionarsi dall’accusa di essere lui il mandante del delitto. A fronte dell’ atteggiamento dei media verso Putin, si può considerare invece quale fu il loro comportamento allorché il primo ministro israeliano Rabin nel 1995 fu ucciso tra l’indifferenza delle sue guardie del corpo: in quell’occasione chi fece troppe domande fu immediatamente liquidato come dedito alla “dietrologia”.
Ma tutto ciò riguarda ancora il funzionamento “fisiologico” dei media, mentre è nell’analisi della stampa di “opposizione” che si riscontrano gli aspetti più sconcertanti. Qui quell’attitudine che Chomsky ed Herman chiamano del “filosofeggiare”, viene spinta al punto da rovesciare le responsabilità e trasformare la critica in panegirico.
Il Berlusconi superstar degli ultimi mesi è, paradossalmente, soprattutto un prodotto di quei settori dell’informazione che la destra etichetta invece come “faziosi”, cioè di “sinistra”. La desolazione umana e politica del governo in carica non viene nascosta dai media di “opposizione”, poiché sarebbe impossibile; ma, al tempo stesso, essi vanno a sottolineare un presunto consenso pressoché unanime di cui il governo godrebbe tra la mitica “gente”.
L’idea che si vuole insinuare è che esista una affinità elettiva fra Berlusconi ed il popolo italiano, ovvero che Berlusconi sia ciò che il popolo italiano si meriti. Berlusconi vince, avanza, travolge gli avversari, perciò egli è ciò che gli Italiani vogliono, quindi ciò che gli Italiani realmente si meritano.
Un giornalista de “La Repubblica”, Massimo Giannini, ha pubblicato un libro che, spacciandosi per una critica, è in realtà un vero e proprio manuale per il culto della personalità di Berlusconi: “Lo Statista”.
Tra le tesi del libro c’è quella che in questi ultimi decenni le televisioni berlusconiane avrebbero forgiato un pubblico che corrisponde perfettamente al suo leader. Insomma, come il Dio della Genesi, Berlusconi sarebbe stato capace di creare un popolo a sua immagine e somiglianza. Rimarrebbe comunque da spiegare come mai poco meno di tre anni fa le masse - che, secondo Giannini, sarebbero berlusconizzate da Mediaset -, siano state disposte a votare plebiscitariamente un Nichi Vendola pur di esprimere il loro desiderio di liberarsi di Berlusconi. In realtà, l’istupidimento provocato dalle TV berlusconiane può servire a spiegare il successo di Maria De Filippi, ma non quello di Berlusconi.
Non è Mediaset, ma “La Repubblica”, che sta forgiando un’area di opinione pubblica “di sinistra” del tutto supina al mito berlusconiano. Nessun sospetto sui metodi e sulle effettive circostanze con cui gli attuali trionfi berlusconiani vengono ottenuti, nessuna verifica dell’attendibilità dei criteri con cui viene rilevato il presunto consenso, devono turbare la celebrazione delle nozze mistiche fra il premier ed il suo popolo. Anche quando l’intimidazione personale del governo è stata esercitata su un ceto privilegiato come quello dei docenti universitari, non è stata fornita a riguardo dai media la benché minima informazione che potesse smentire il mito del consenso.
Di conseguenza, nessuna domanda è ammissibile nei media neppure sul perché tutti coloro che si erano candidati a sostituire Berlusconi - a cominciare dal divo Luca di Montezemolo - si siano fatti misteriosamente indietro. Neanche Marco Travaglio si scomoda per informarci sul perché la sua amata magistratura abbia fatto cadere il governo Prodi, e perché ora la stessa magistratura sia disposta a violare le proprie regole, pur di consegnare tutte le amministrazioni locali a Berlusconi, il tutto con il moralistico plauso de “La Repubblica”.
Le spiegazioni ufficiali sull’inspiegabile potere personale di Berlusconi si riducono perciò al razzismo anti-italiano. Berlusconi è agitato dai media come un’icona dell’autorazzismo ad uso del popolo italiano, il quale, disprezzando lui, è costretto a disprezzare se stesso.
Anche la grossolanità delle “gaffe” del governo, che compromettono in continuazione i rapporti con altri Paesi, fa parte di questa ritualità, per la quale ad un comportamento scomposto e insolente, fa immediatamente seguito un atteggiamento di vittimistica minimizzazione nei confronti delle ovvie reazioni suscitate. Insomma, il chiedere a Berlusconi ed ai suoi ministri di tenere un contegno meno sbracato e meno sguaiato, diventa un pretendere troppo, perché più di tanto il nostro Paese non potrebbe esprimere.
La domanda che sorge a questo punto è: Berlusconi è davvero una espressione dell’avvilimento dell’Italia, oppure costituisce proprio lui uno strumento per avvilirla?
Un modo in cui Berlusconi potrebbe essere interpretato è quello di individuarlo, nell’ambito dell’attuale offensiva colonialistica statunitense, come un’arma di guerra psicologica contro l’Italia; un’arma che funziona però soltanto con il supporto di un utensile complementare: il quotidiano “La Repubblica”.
La proposta di legge del ministro del Welfare Sacconi di limitare il diritto di sciopero nei trasporti attraverso la barriera della “rappresentatività”, è basata su una evidente mistificazione propagandistica, che consiste nel far credere che il servizio venga negato a causa degli scioperi o degli annunci di sciopero. La realtà è invece che il servizio risulta costantemente ed inesorabilmente ridotto dalle aziende ferroviarie, la cui privatizzazione ha aperto una crisi irreversibile del settore. La prospettiva è che i pendolari vengano sempre più costretti a rivolgersi ad aziende del trasporto su gomma - più redditizie per i privati -, come avviene ormai da tempo immemorabile negli Stati Uniti.
Non è un caso che la proposta di Sacconi abbia ottenuto l’immediato e caloroso appoggio del parlamentare del Partito Democratico Pietro Ichino, calunniatore dei lavoratori per professione e vittima del terrorismo a tempo pieno. L’adesione di Ichino è servita a chiarire quale fosse l’intento politico del ministro, cioè rendere illegale il sindacalismo alternativo e di base equiparandolo al terrorismo.
La demagogia sui poveri viaggiatori vessati dai presunti scioperi selvaggi può bastare a giustificare un divieto degli scioperi, ma quando si tratterà di sostanziare il divieto in sanzioni penali, allora ci si andrà a scontrare con un ordinamento giuridico che lo sciopero lo consente; quindi l’accostamento al terrorismo costituisce l’unico possibile sbocco pratico della legge Sacconi.
In più, la dichiarazione di Ichino ha anche ottenuto di mettere immediatamente alle corde il Partito Democratico, costringendolo a considerare la limitazione del diritto di sciopero come una proposta trattabile. Veltroni se ne è andato dalla segreteria del partito, ma la sua scelta di candidare Ichino ha reso il PD un ostaggio nelle mani di Brunetta e Sacconi, che dello stesso Ichino sono confratelli sia per ideologia che per frequentazioni di loggia.
È chiaro che il nuovo segretario del partito, Franceschini, se volesse riprendersi anche un minimo margine di manovra nei confronti del governo, dovrebbe innanzi tutto liberarsi di un provocatore come Ichino. Un partito della ex-sinistra come il PD può anche non avere nessuna intenzione di fare una politica di sinistra, ma se vuole essere preso sul serio e avere un po’ di potere contrattuale, deve almeno essere in grado di minacciare di farla.
Nel sistema democratico la funzione di un partito di “sinistra” è di tradire caso per caso le sue premesse politiche e la fiducia dei suoi elettori; ma se le tradisce tutte per intero e preventivamente, diventando ufficialmente di destra, allora si lega le mani da solo e rinuncia al motivo della sua stessa esistenza. Non solo il voto di opinione, ma anche il ben più decisivo voto organizzato, vanno a perdere ogni interesse a sostenere una formazione così ricattabile e sottomessa.
Franceschini è un ex-democristiano e ciò lo porrebbe nelle migliori condizioni per spostare il partito a “sinistra”, senza rischiare di essere accusato di nostalgie per un suo passato comunista; ma non è detto che queste migliori condizioni siano sufficienti, dato che l’azione di Rutelli va nel senso opposto, cercando di appiattire il partito sulle posizioni di Casini. Anche se Franceschini avesse l’intenzione di buttar fuori chi, come Ichino, paralizza il partito, l’eventuale minaccia di scissione potrebbe ugualmente bloccarlo.
Negli ultimi due anni, Veltroni ha lavorato per giungere ad una cogestione del potere con Berlusconi, ma, di fatto, glielo ha consegnato per intero. Veltroni ha condotto alle sue estreme conseguenze storiche una ipotesi politica che si è rivelata illusoria e fallimentare, quella della cooptazione della “sinistra” nell’area del potere. Si tratta di un’ipotesi coltivata soprattutto - ma non soltanto - all’interno dello stalinismo, cioè l’idea che l’eliminazione definitiva dell’estremismo avrebbe facilitato l’accordo e l’integrazione della sinistra con la destra, sotto la comune bandiera a stelle e strisce.
In realtà la presenza e la minaccia del cosiddetto estremismo costituivano l’unico elemento che poteva costringere la destra ad accordarsi con la sinistra più “moderata”, per ottenere da essa un’azione di polizia sull’estremismo stesso. Ma mentre la polizia vera si guarda bene dall’eliminare la criminalità - che costituisce la giustificazione del suo potere -, lo stalinismo invece ha sempre cercato di realizzare una “soluzione finale” nei confronti degli estremisti; ed alla fine Veltroni ci è riuscito, almeno per quel che riguarda il Parlamento.
Veltroni - come altri della “sinistra” prima di lui - si è illuso che l’essere affiliato alla loggia massonica alla moda, o l’essere invitato alla sfilata di vip del gruppo Bilderberg, costituisse una prova di far parte ormai a pieno titolo dei circoli che contano.
Un errore del genere lo commise anche Craxi, che era temuto dalla destra finché faceva l’amico dei Palestinesi e dei Sandinisti, ma divenne una inutile scoria di cui disfarsi quando si fu convertito a filo-americano fanatico. Anche Veltroni è troppo entusiasticamente filo-americano per poter essere preso sul serio dai reazionari, i quali non amano certo gli Stati Uniti in quanto tali, ma per il supporto che questi forniscono alla reazione in tutto il mondo.
|
|
|