Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Tempi durissimi per i ricchi. Non passa un solo giorno senza che le fila dei difensori dei poveri non si ingrossino.
Michel Martone si era già fatto notare quando, come vice della mai troppo lodata ministra Elsa Cuornero dell’indimenticabile governo Monti, si era espresso con contributi illuminanti. Il nodo degli studi universitari e del mercato del lavoro era stato da lui sciolto con un aforisma folgorante: "Se a 28 anni non sei laureato, sei uno sfigato".
In un recente talk show televisivo, il prof. Martone ha zittito la rappresentante di Liberi e Uguali per la proposta di abolire le tasse universitarie: “Volete favorire i ricchi, perché i poveri già non pagano con le borse di studio”. Secondo Martone bisogna sganciarsi dal pantano europeo dove le tasse universitarie sono ancora lievi. Nei paesi anglosassoni le tasse universitarie si pagano, eccome. Michel dice che questo aiuta lo studente a responsabilizzarsi e, nel caso che non ce la facesse, può pagare in comode rate.
La “comodità” delle rate ha in effetti un riscontro statistico molto preciso. Secondo
dati aggiornati al 2017, mentre nel 1990 un laureato americano doveva utilizzare circa il 28% del suo reddito annuale per ripagare i debiti contratti per svolgere gli studi universitari, ora deve utilizzare oltre il 74% del suo reddito annuale. Ecco perché la bolla americana del debito studentesco è diventata impagabile. Ciò non impedisce a quelli come Martone di auspicare il formarsi di un’analoga bolla anche in Italia. Questo sì che è altruismo.
I soccorritori dei poveri infatti non si lasciano scoraggiare da questi inconvenienti. C’è a riguardo un’altra buona notizia per Liberi e Uguali: il Fondo Monetario Internazionale annuncia sul proprio sito di essersi fatto promotore mondiale della
lotta alle disuguaglianze. Qual è, secondo il FMI, uno dei principali strumenti per favorire l’uguaglianza? La “inclusione finanziaria”, cioè costringere i poveri a “banchizzarsi”, quindi ad aprire linee di credito con istituzioni finanziarie.
Per portare alle masse dei diseredati il vangelo dell’inclusione finanziaria, il FMI è riuscito a convincere il governo del Paese che ha il maggior numero di poveri, l’India, a trasformarsi in un grande laboratorio per la finanziarizzazione delle masse povere. Nel 2016 il governo indiano ha proclamato la “demonetizzazione” dell’economia, cioè la quasi completa digitalizzazione del denaro, addirittura un 86% del contante eliminato.
I risultati per l’economia? Un disastro. E i promessi effetti positivi per la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale? Tutte balle.
Lo stesso FMI riconosce che vi sono state una crisi di liquidità ed una caduta del PIL. Ma poco importa, perché secondo il FMI
la digitalizzazione del denaro rimane una grande “opportunità” di inclusione finanziaria per i poveri. Insomma, non conta quanta nuova miseria crei, l’importante è “aiutare” i poveri.
La notizia della demonetizzazione dell’economia indiana avrebbe dovuto costituire un vero e proprio “scoop” per i media occidentali, andare sulle prime pagine dei quotidiani, nelle aperture dei telegiornali: badate, a questo mondo più si è poveri e più si è “banchizzati”. Si sarebbe potuto usare lo storico evento per colpevolizzarci: mentre voi Italiani lavativi fate le bizze sul denaro digitale, gli Indiani si allineano coraggiosamente alla modernità. Invece niente di tutto questo, al più qualche trafiletto nelle pagine interne. All’opinione pubblica deve essere occultato il legame tra povertà e “inclusione finanziaria”. La “ggente” deve continuare ad identificare la finanza solo con Wall Street, le Borse, gli indici azionari e i magnati, non con la condizione di umili studenti e miseri contadini indiani, in modo che chi cerca faticosamente di informare su tutto questo venga preso per scemo.
Uno dei “magnati”, il finanziere ungherese/americano George Soros, viene spesso accusato dalle destre di voler sostituire le popolazioni “bianche” con immigrati di colore e di voler contaminare la religione cristiana con i suoi prediletti musulmani. Soros è un finanziere ma anche un agente provocatore della NATO, un agente che ha, tra le sue tante funzioni, quella di distrattore e di “sponda” alla propaganda razzistica della destra.
In realtà la migrazione non è uno scopo in sé, ma un tassello della finanziarizzazione delle masse povere che vanno “salvate” dal loro analfabetismo finanziario, anche a costo di ridurle alla miseria più nera ed alla schiavitù per debiti. Il “debt bondage” non è un genere sadomaso ma una condizione che riguarda ormai centinaia di milioni di persone. Del “debt bondage” fingono oggi di preoccuparsi anche le agenzie dell’ONU per i “diritti umani”. L’ipocrisia è evidente perché non vi è ideologia più funzionale alla rapina finanziaria di quella dei “diritti umani”. Con il loro acritico ottimismo antropologico i “diritti umani” rendono credibili non solo le guerre “umanitarie”, ma persino questa
fiaba della “lotta alla povertà ed alla disuguaglianza” da parte di banche e di finanzieri “filantropi”.
Sta di fatto che nessuno è più “banchizzato” di un migrante, fruitore privilegiato di “servizi” finanziari come il microcredito e le rimesse degli stessi migranti. Le rimesse rappresentano una massa di denaro digitalizzato di centinaia di miliardi di dollari. Parola della Banca mondiale. Sul sito della Banca Mondiale c’è anche un video divulgativo nel quale un economista-poetastro indiano scioglie pelosi
inni di lode al ruolo delle rimesse nell’economia globale.
Sulle rimesse dei migranti le banche lucrano commissioni esose e allestiscono operazioni di finanza derivata. Non mancano comunque le vere e proprie
frodi da parte delle banche, che possono giocare a proprio vantaggio sul cambio tra le valute.
Ma il magnate Soros si adopera per evangelizzare i poveri alla finanza anche in loco. Ad esempio, la sua Open Society Foundation sostiene iniziative di
microcredito in Paesi africani come il Kenia per sollevare i contadini dalla loro ignoranza finanziaria.
Sette anni di destabilizzazione della Siria hanno condotto ad un risultato certo. Il regime di Assad non solo non è stato abbattuto ma adesso ha anche a disposizione i mezzi per contrastare Israele in quello che era il suo punto di forza, cioè il controllo dello spazio aereo.
I missili contraerei di ultima generazione S-400 che la Russia ha fornito alla Siria hanno confermato l’efficacia che gli osservatori gli attribuivano.
Se lo scopo della destabilizzazione della Siria era di eliminare un potenziale avversario di Israele, è stato ottenuto il risultato opposto. Il governo israeliano ha giustificato la sua invasione dello spazio aereo siriano con la necessità di inseguire un drone iraniano che sarebbe sconfinato sul proprio territorio. In realtà in questi anni il
sostegno israeliano ai miliziani islamici di Al-Nusra è stato documentato anche da osservatori ONU.
Anche l’aver tirato in ballo l’Iran non ha portato fortuna al governo israeliano. I rapporti diplomatici tra Russia e Israele negli ultimi anni erano sempre stati abbastanza buoni, ma il tentativo israeliano di accusare l’Iran ha costretto la Russia a prendere posizione a favore dell’alleato iraniano. La Russia del resto non ha molto da scegliere, visto che il tentativo euro-americano di isolarla e di eroderne i confini, la costringe a
tenersi ben stretti gli alleati che ha.
Questi eventi internazionali hanno sortito effetti anche sulla politica italiana, in particolare vanno mettendo in evidenza le ambiguità dei partiti filorussi come la Lega. Matteo Salvini aveva cercato di conciliare la celebrazione di Putin con la fedeltà al sionismo, un sionismo che esigeva anche la criminalizzazione dell’Iran. Ma oggi che Russia, Iran e Siria costituiscono un blocco di alleanze,
mantenere queste mezze misure sarà sempre più difficile.
Salvini è l’unico leader politico italiano che tiene una pur cauta posizione anti-euro e lo scenario che si prospetta con la fine del mandato di Mario Draghi potrebbe portargli fortuna sul breve periodo. Draghi o non Draghi, non si può continuare ad inondare il sistema di una liquidità che alimenta bolle speculative, perciò la prevedibile cessazione delle politiche di “quantitative easing”, concordate dalla BCE con la Federal Reserve statunitense, potrebbe portare ad un’implosione della moneta unica nei prossimi due anni. In quel caso Salvini rischierebbe addirittura di passare da statista. Ma c’è il rischio supplementare per lui che questa euforia duri poco.
Si tenta ancora di far passare l’euro come una questione interna europea ed anche gli intellettualoni della rivista “Limes” insistono sulla narrazione secondo cui la moneta unica nascerebbe da un fallito tentativo francese di ingabbiare la Germania costringendola a rinunciare al marco. Non c’è dubbio che tra le narrazioni con cui l’euro è stato venduto, persino agli stessi politici, vi fosse anche quella della necessità di “europeizzare” la Germania e la sua economia. Ma gli “story telling” legati all’euro sono stati tanti, ciascuno per ogni target del messaggio pubblicitario. C’è stato un euro di “sinistra” con la missione di difendere i salari dall’inflazione, un euro “antiamericano” capace di assicurare l’indipendenza dal dollaro (e i francesi ci avevano persino creduto sino al 2003). Magari c’è stato anche un euro che lavava più bianco e smacchiava i colletti.
Il punto è che, al di là delle narrazioni pubblicitarie, l’euro è stato il prodotto di un intreccio militar-finanziario, da un lato un’arma della NATO per isolare la Russia e compattarle contro i suoi potenziali partner, dall’altro lato uno strumento di deflazione per tenere intatti i crediti e favorire l’indebitamento dei Paesi e delle masse attraverso la loro pauperizzazione.
Il militarismo e la finanza detengono un vantaggio insormontabile nei confronti della politica, poiché sono meccanismi ottusi e pavloviani, che agiscono non per strategie ma per riflessi condizionati. Le lobby militari e finanziarie poi affidano alle pubbliche relazioni il compito di rendere appetibile la sbobba. Lo Stato, senza il monopolio della violenza e della moneta, non è nulla, una pura chimera giuridica. È appunto questa chimera giuridica che è rimasta nelle mani della politica e ciò non è cominciato con l’euro. Si dimentica spesso che la prima e fondamentale cessione e cessazione di sovranità ha riguardato la forza militare, con l’adesione alla NATO. Le lobby affaristiche della finanza e degli armamenti hanno trovato nella NATO la loro sede naturale, anzi, l’hanno creata loro.
Il quotidiano “La Repubblica” del 10 febbraio scorso ci proponeva democraticamente la scelta tra un George Soros “filantropo” oppure “re dei complotti”. In realtà Soros non è né l’uno né l’altro: è un agente della NATO. Parlare di Soros ha senso se lo si inquadra nell’aggressione NATO nei confronti della Russia, altrimenti diventa un espediente per non prendere posizione contro la NATO.
L’Ungheria può permettersi di mettere al bando Soros perché è una marca di confine e quindi, come la Polonia, detiene dei privilegi all’interno dello schieramento NATO. Questi privilegi all’Italia non sarebbero concessi.
L’Unione Europea non è altro che una mera propaggine della NATO; ed uscire dalla NATO comporterebbe una vera e propria guerra anticoloniale. E ce lo vedete Salvini disposto a rischiare la fine di Lumumba?
L’euro è stato solo uno strumento coloniale e come tale sostituibile con altri strumenti coloniali sia di deflazione che di guerra (aperta o strisciante) contro la Russia. Il PD assume questa condizione di soggezione coloniale dell’Italia come uno stato di grazia, mentre la Lega finge soltanto di contestarla.