Sette anni di destabilizzazione della Siria hanno condotto ad un risultato certo. Il regime di Assad non solo non è stato abbattuto ma adesso ha anche a disposizione i mezzi per contrastare Israele in quello che era il suo punto di forza, cioè il controllo dello spazio aereo.
I missili contraerei di ultima generazione S-400 che la Russia ha fornito alla Siria hanno confermato l’efficacia che gli osservatori gli attribuivano.
Se lo scopo della destabilizzazione della Siria era di eliminare un potenziale avversario di Israele, è stato ottenuto il risultato opposto. Il governo israeliano ha giustificato la sua invasione dello spazio aereo siriano con la necessità di inseguire un drone iraniano che sarebbe sconfinato sul proprio territorio. In realtà in questi anni il
sostegno israeliano ai miliziani islamici di Al-Nusra è stato documentato anche da osservatori ONU.
Anche l’aver tirato in ballo l’Iran non ha portato fortuna al governo israeliano. I rapporti diplomatici tra Russia e Israele negli ultimi anni erano sempre stati abbastanza buoni, ma il tentativo israeliano di accusare l’Iran ha costretto la Russia a prendere posizione a favore dell’alleato iraniano. La Russia del resto non ha molto da scegliere, visto che il tentativo euro-americano di isolarla e di eroderne i confini, la costringe a
tenersi ben stretti gli alleati che ha.
Questi eventi internazionali hanno sortito effetti anche sulla politica italiana, in particolare vanno mettendo in evidenza le ambiguità dei partiti filorussi come la Lega. Matteo Salvini aveva cercato di conciliare la celebrazione di Putin con la fedeltà al sionismo, un sionismo che esigeva anche la criminalizzazione dell’Iran. Ma oggi che Russia, Iran e Siria costituiscono un blocco di alleanze,
mantenere queste mezze misure sarà sempre più difficile.
Salvini è l’unico leader politico italiano che tiene una pur cauta posizione anti-euro e lo scenario che si prospetta con la fine del mandato di Mario Draghi potrebbe portargli fortuna sul breve periodo. Draghi o non Draghi, non si può continuare ad inondare il sistema di una liquidità che alimenta bolle speculative, perciò la prevedibile cessazione delle politiche di “quantitative easing”, concordate dalla BCE con la Federal Reserve statunitense, potrebbe portare ad un’implosione della moneta unica nei prossimi due anni. In quel caso Salvini rischierebbe addirittura di passare da statista. Ma c’è il rischio supplementare per lui che questa euforia duri poco.
Si tenta ancora di far passare l’euro come una questione interna europea ed anche gli intellettualoni della rivista “Limes” insistono sulla narrazione secondo cui la moneta unica nascerebbe da un fallito tentativo francese di ingabbiare la Germania costringendola a rinunciare al marco. Non c’è dubbio che tra le narrazioni con cui l’euro è stato venduto, persino agli stessi politici, vi fosse anche quella della necessità di “europeizzare” la Germania e la sua economia. Ma gli “story telling” legati all’euro sono stati tanti, ciascuno per ogni target del messaggio pubblicitario. C’è stato un euro di “sinistra” con la missione di difendere i salari dall’inflazione, un euro “antiamericano” capace di assicurare l’indipendenza dal dollaro (e i francesi ci avevano persino creduto sino al 2003). Magari c’è stato anche un euro che lavava più bianco e smacchiava i colletti.
Il punto è che, al di là delle narrazioni pubblicitarie, l’euro è stato il prodotto di un intreccio militar-finanziario, da un lato un’arma della NATO per isolare la Russia e compattarle contro i suoi potenziali partner, dall’altro lato uno strumento di deflazione per tenere intatti i crediti e favorire l’indebitamento dei Paesi e delle masse attraverso la loro pauperizzazione.
Il militarismo e la finanza detengono un vantaggio insormontabile nei confronti della politica, poiché sono meccanismi ottusi e pavloviani, che agiscono non per strategie ma per riflessi condizionati. Le lobby militari e finanziarie poi affidano alle pubbliche relazioni il compito di rendere appetibile la sbobba. Lo Stato, senza il monopolio della violenza e della moneta, non è nulla, una pura chimera giuridica. È appunto questa chimera giuridica che è rimasta nelle mani della politica e ciò non è cominciato con l’euro. Si dimentica spesso che la prima e fondamentale cessione e cessazione di sovranità ha riguardato la forza militare, con l’adesione alla NATO. Le lobby affaristiche della finanza e degli armamenti hanno trovato nella NATO la loro sede naturale, anzi, l’hanno creata loro.
Il quotidiano “La Repubblica” del 10 febbraio scorso ci proponeva democraticamente la scelta tra un George Soros “filantropo” oppure “re dei complotti”. In realtà Soros non è né l’uno né l’altro: è un agente della NATO. Parlare di Soros ha senso se lo si inquadra nell’aggressione NATO nei confronti della Russia, altrimenti diventa un espediente per non prendere posizione contro la NATO.
L’Ungheria può permettersi di mettere al bando Soros perché è una marca di confine e quindi, come la Polonia, detiene dei privilegi all’interno dello schieramento NATO. Questi privilegi all’Italia non sarebbero concessi.
L’Unione Europea non è altro che una mera propaggine della NATO; ed uscire dalla NATO comporterebbe una vera e propria guerra anticoloniale. E ce lo vedete Salvini disposto a rischiare la fine di Lumumba?
L’euro è stato solo uno strumento coloniale e come tale sostituibile con altri strumenti coloniali sia di deflazione che di guerra (aperta o strisciante) contro la Russia. Il PD assume questa condizione di soggezione coloniale dell’Italia come uno stato di grazia, mentre la Lega finge soltanto di contestarla.