Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
La comunicazione mainstream nelle ultime settimane ci ha subissati di allarmi sugli effetti recessivi dell’emergenza del virus Corona in Cina. In realtà le condizioni per un ulteriore arretramento economico già c’erano prima, con tanto di stime al ribasso ufficializzate dal Fondo Monetario Internazionale. Non è ben chiaro neppure se il FMI stia facendo previsioni oppure auspici, dato che annunciare recessioni scoraggia gli investimenti nella produzione mentre, al contrario, stimola a spostare i capitali in investimenti finanziari.
L’emergenza virus intanto ha regalato alle Borse una bolla speculativa sui titoli farmaceutici, infatti basta la parola “vaccino” a galvanizzare gli investitori. Tradotta in linguaggio finanziario, la parola “vaccino” significa pioggia di denaro pubblico sulle multinazionali farmaceutiche. Ora che la bolla sui titoli farmaceutici tende un po’ a ridimensionarsi, altre bolle speculative si formano sui titoli delle aziende specializzate in produzione di attrezzature sanitarie.
In aree meno centrali del mainstream ormai qualcuno comincia persino a sospettare che l’emergenza virus sia stata enfatizzata dal governo cinese, sia per giustificare un rallentamento economico che era già in atto, sia come scusa per non rispettare l’accordo col cialtrone Trump di importare più merci statunitensi, sia per legittimare inondazioni di liquidità nel sistema bancario, ad imitazione del Quantitative Easing in stile Banca Centrale Europea.
Che il sistema finanziario globale sia drogato fradicio di emergenzialismo, è un dato scontato. Lo si è potuto ulteriormente verificare nel caso dell’emergenza ambientale, con la nuova bolla della finanza “verde”, capitanata dal super-fondo di investimento Blackrock.
Il liberismo ha rivelato così di essere il contrario di ciò che sostiene di essere: la mobilità internazionale dei capitali si alimenta grazie alle iniezioni di liquidità delle Banche Centrali. Fiumi di denaro, come mai si erano visti nella Storia, aggirano elegantemente ogni prospettiva di investimento in infrastrutture essenziali, per direzionarsi rigorosamente verso le Borse. È il trionfo del capitalismo finanziario privato, assistito però meticolosamente dalla mano pubblica. Il massimo del liberismo coincide col massimo dell’assistenzialismo per ricchi. Questa è la realtà che si cela dietro la fiaba liberista.
La potenza mistificatoria del liberismo comunque non demorde, dato che il dialogo scenico continua ad essere dominato dalle astrazioni come “Stato” e “Mercato”. Dalle astrazioni si generano altre astrazioni, ancora più eteree, per cui alla politica i liberisti oppongono la “governance”.
L’effetto di queste rappresentazioni è di far perdere di vista i veri attori che agiscono dietro le maschere dello Stato, del Mercato, della politica e della “governance”, cioè gli intrecci di interessi tra pubblico e privato, le lobby. Michel Foucault diceva che la scienza politica “non ha ancora tagliato la testa al re”, cioè è rimasta legata al concetto di sovranità, alla falsa domanda del “chi è il sovrano?”. Il potere invece si costituisce su un intreccio di interessi giustificato da un’emergenza, vera o finta che sia; molto meglio se finta.
Per inciso, occorre rilevare che oggi l’astrazione domina il dibattito nella sua generalità. Il voto parlamentare di ieri a favore dell’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, rappresenta un’assurdità non solo e non tanto perché assegna a Salvini la patente della vittima (questa sarebbe stata una valutazione del tutto strumentale), ma soprattutto perché liquida il principio liberale della separazione dei poteri in nome di un’astratta uguaglianza dei cittadini davanti alla Legge. Coloro che interpretano ed applicano la Legge, sono però esseri umani concreti, i magistrati; e quindi, in definitiva, se i magistrati non trovano contrappesi, la Legge sono loro. I poteri quindi non sono più separati e controbilanciati, dato che il potere giudiziario diventa preminente sull’esecutivo e sul legislativo. Ci si è completamente dimenticati di Montesquieu e delle basi della tanto magnificata “civiltà occidentale” ; e non c’è neppure da stupirsene se si considera che attualmente si confondono e si identificano tranquillamente concetti completamente diversi (e in taluni casi persino opposti) come liberalismo e liberismo. In un mondo che non sa più pensare, chi invece ha il vantaggio di non dover pensare ma di poter agire in maniera automatica, come le lobby, domina in modo incontrastato.
In questa temperie i mitici “imprenditori”, a fronte delle migliaia di miliardi che irrorano la finanza, non trovano di meglio che indicare la via di salvezza nell’abolizione del reddito di cittadinanza. Nonostante le sue macroscopiche dimensioni, l’assistenzialismo per ricchi è sempre giusto e santo, anzi, non basta mai; mentre quel poco che esiste di assistenzialismo per poveri invece fa scandalo, è uno “spreco”. La parola “spreco” è una delle preferite nel lessico del moralismo ad uso dei ricchi.
Gli imprenditori, come al loro solito, fanno le vittime e si lamentano del fatto che il reddito di cittadinanza contribuisca a limitare la caduta dei salari, poiché rende il lavoratore meno ricattabile. Le associazioni imprenditoriali hanno avviato una campagna di pressione sul governo per liquidare il reddito di cittadinanza e stornarne i fondi a favore degli imprenditori, i quali promettono di fare mirabilie di quei soldi (magari li investirebbero in Borsa). Ciò a dimostrazione del fatto che la dicotomia tra capitalismo produttivo e capitalismo finanziario sul piano pratico non esiste, poiché entrambi perseguono l’obbiettivo della pauperizzazione dei lavoratori.
L’impegno attuale del mainstream è quindi quello di rendere impopolare il reddito di cittadinanza, di farlo odiare dalla “ggente”. Nessun caso di abuso di fondi pubblici da parte di imprenditori privati raggiunge mai le prime pagine. Non manca giorno che i giornali lancino invece uno “scoop” su casi di presunto abuso del reddito di cittadinanza, facendoci sapere che esso viene invariabilmente percepito da poco di buono, criminali e spacciatori.
Qualche settimana fa il Fondo Monetario Internazionale per voce del suo direttore generale, la bulgara Kristalina Georgieva, ci ha annunciato una nuova grande depressione economica, causata (senti, senti) dalle disuguaglianze. Dopo la liquidazione di Dominique Strauss-Kahn, la direzione del FMI è stata affidata a teste di legno, ma i messaggi affidati alle figure fantoccio, come Christine Lagarde o la Georgieva, sono quelli che descrivono la visione del mondo delle grandi lobby finanziarie, che in questo caso possono permettersi di dire la verità. La concentrazione del reddito e l’arricchimento di una ristretta fascia a scapito del resto della popolazione, determinano le condizioni per una cronica carenza della domanda, quindi recessione e deflazione.
Prima che qualcuno festeggi la “redenzione” del FMI è però il caso di considerare quanto lo stesso FMI ha dichiarato contro il reddito di cittadinanza. I media, pressoché compatti, hanno plaudito alla “bocciatura” da parte del FMI del reddito di cittadinanza, colpevole soprattutto di essere troppo alto e quindi di disincentivare il lavoro.
Da un lato quindi il FMI spreme la lacrimuccia sulle disuguaglianze e sui poveri che diventano sempre più poveri, dall’altro lato continua a criminalizzare i poveri, pronti a diventare fannulloni. L’effetto positivo del reddito di cittadinanza non consiste tanto in quel po’ di redistribuzione del reddito che riesce a operare, quanto proprio nel risultato non calcolato di “disincentivare il lavoro”, cioè di rendere il lavoratore un po’ meno ricattabile, perciò meno disponibile ad accettare lavoro a salari troppo bassi. Per il FMI è giusto e lecito piangere sulle disuguaglianze ma va comunque condannata qualunque misura concreta che contrasti la disuguaglianza. Insomma, la disuguaglianza ci vuole, non se ne può fare a meno e guai a chi la tocca.
Attualmente siamo già in recessione ma le Borse volano grazie agli incentivi monetari delle Banche Centrali, perciò la depressione in sé non è un male per le oligarchie finanziarie, semmai il contrario poiché sposta tutte le risorse verso la finanza. Il sistema bancario tradizionale dei Paesi deboli, messo in sofferenza dai tassi zero o negativi, può essere comodamente cannibalizzato dai grandi fondi di investimento o, in prospettiva, da nuovi attori finanziari come Google e Amazon che, comunque, hanno come principali azionisti sempre i soliti fondi di investimento, Blackrock e Vanguard Group.
Questa concentrazione di capitali non rappresenta un pericolo, dato che i ricchi sanno quello che fanno e il loro bene, in definitiva, è il bene di tutta la società. L’egoismo dei poveri invece è una minaccia: se rendi i poveri meno poveri, smettono immediatamente di lavorare, si trasformano in “furbetti”. I media e gli intellettuali sono investiti della missione di convincere i poveri di questa “verità” e, in effetti, ci riescono, eccome.
La potenza ideologica del capitalismo riesce a dissimulare la sua natura intrinsecamente criminale. Il capitalismo viene quindi inquadrato come fenomeno “economico”, mentre semmai è un fenomeno “anche” economico. Non esisterebbe il capitalismo senza la circolarità e complementarietà tra l’aspetto legale e quello illegale. È nel circuito legale-illegale che si determina quello squilibrio di forze da cui può generarsi il grande business, il grande arricchimento.
Anche chi condivide questa nozione critica di capitalismo, finisce spesso per interpretarla in modo riduttivo, nel senso che ai ricchi andrebbe l’esclusiva della grande criminalità finanziaria, mentre ai poveri resterebbero gli aspetti più marginali, come il narcotraffico. Al contrario, non vi è attività criminale che sfugga al controllo del grande capitale e non ne sia diretta espressione. Qui non è questione di semplice disinformazione ma, si potrebbe dire, di de-informazione, nel senso che le informazioni che potrebbero sovvertire il quadro magari passano, senza che però riescano a fermarsi costruendo un quadro alternativo.
In rari casi infatti qualche singolo prodotto mediatico va in controtendenza. Nel 2009 vi fu addirittura una serie televisiva di genere poliziesco su Rai1, “Il Bene e il Male”, nella quale l’organizzazione criminale non era una delle solite mafie care ai vari Roberto Saviano ed alle fiction televisive che vanno per la maggiore. Non la ‘Ndrangheta e nemmeno la solita mafia russa, bensì la mafia olandese, quella specializzata in droghe sintetiche e che ha reso l’Olanda il Narco-Stato per eccellenza, molto di più della tanto vituperata Colombia.
Da uno Stato di ricchi, biondi e carini, con un’amministrazione efficiente e moderna, non ti aspetteresti che sia anche un Narco-Stato. Eppure la droga più diffusa al mondo, l’ecstasy, è una droga sintetica prodotta principalmente in Olanda, che ne è anche la massima esportatrice. Tra gli Olandesi c’è chi non è per niente soddisfatto ed anzi denuncia con dovizia di documentazione il fenomeno.
È uno di quei casi in cui non vi è nulla di segreto, i dati sono pienamente disponibili, ciononostante il pregiudizio rimuove presto dalla memoria e dall’attenzione ciò che non rientra nelle solite coordinate. Non a caso per “Il Bene e il Male” non si è prodotta una seconda serie. Il “Corriere della Sera” magari ti fa un’intervista inquietante ad un inquirente olandese sul mega-business dell’Ecstasy nel suo Paese, ma è per quella volta. Che i ricchi siano più pericolosi dei poveri è una di quelle notizie che disturbano il sonno dogmatico e quindi vengono prontamente dimenticate. Non è neppure necessario alcun complotto, basta il conformismo.
Spesso il quadro rassicurante viene ristabilito attraverso depistaggi mediatici raffinati, nei quali non mancano le mezze verità, sparse però in modo da portare fuori strada. Film e fiction di qualità e di grande successo, come quelli tratti dal best-seller “Romanzo Criminale”, non nascondono i rapporti intercorsi tra i servizi segreti e la Banda della Magliana, facendo credere però che quei rapporti siano intercorsi quando la Banda aveva già in gran parte stabilito il proprio potere sulla Capitale. In realtà un’organizzazione criminale può raggiungere un controllo del territorio solo se i suoi legami con gli apparati dello Stato sono intrinseci, sono cioè alla base stessa della sua genesi. Nel fatto poi che dei settori dello Stato siano organici alla criminalità ed altri settori a volte gli facciano la guerra, non c’è nulla di strano, dato che lo “Stato” è una finzione giuridica e, materialmente, esistono solo pezzi dello Stato che prendono un indirizzo preciso solo in base alla pressione di una lobby.
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