Qualche settimana fa il Fondo Monetario Internazionale per voce del suo direttore generale, la bulgara Kristalina Georgieva, ci ha annunciato
una nuova grande depressione economica, causata (senti, senti) dalle disuguaglianze. Dopo la liquidazione di Dominique Strauss-Kahn, la direzione del FMI è stata affidata a teste di legno, ma i messaggi affidati alle figure fantoccio, come Christine Lagarde o la Georgieva, sono quelli che descrivono la visione del mondo delle grandi lobby finanziarie, che in questo caso possono permettersi di dire la verità. La concentrazione del reddito e l’arricchimento di una ristretta fascia a scapito del resto della popolazione, determinano le condizioni per una cronica carenza della domanda, quindi recessione e deflazione.
Prima che qualcuno festeggi la “redenzione” del FMI è però il caso di considerare quanto lo stesso FMI ha dichiarato contro il reddito di cittadinanza. I media, pressoché compatti, hanno plaudito alla
“bocciatura” da parte del FMI del reddito di cittadinanza, colpevole soprattutto di essere troppo alto e quindi di disincentivare il lavoro.
Da un lato quindi il FMI spreme la lacrimuccia sulle disuguaglianze e sui poveri che diventano sempre più poveri, dall’altro lato continua a criminalizzare i poveri, pronti a diventare fannulloni. L’effetto positivo del reddito di cittadinanza non consiste tanto in quel po’ di redistribuzione del reddito che riesce a operare, quanto proprio nel risultato non calcolato di “disincentivare il lavoro”, cioè di rendere il lavoratore un po’ meno ricattabile, perciò meno disponibile ad accettare lavoro a salari troppo bassi. Per il FMI è giusto e lecito piangere sulle disuguaglianze ma va comunque condannata qualunque misura concreta che contrasti la disuguaglianza. Insomma, la disuguaglianza ci vuole, non se ne può fare a meno e guai a chi la tocca.
Attualmente siamo già in recessione ma le Borse volano grazie agli incentivi monetari delle Banche Centrali, perciò la depressione in sé non è un male per le oligarchie finanziarie, semmai il contrario poiché sposta tutte le risorse verso la finanza. Il sistema bancario tradizionale dei Paesi deboli, messo in sofferenza dai tassi zero o negativi, può essere comodamente cannibalizzato dai grandi fondi di investimento o, in prospettiva, da nuovi attori finanziari come Google e Amazon che, comunque, hanno come principali azionisti sempre i soliti fondi di investimento, Blackrock e Vanguard Group.
Questa concentrazione di capitali non rappresenta un pericolo, dato che i ricchi sanno quello che fanno e il loro bene, in definitiva, è il bene di tutta la società. L’egoismo dei poveri invece è una minaccia: se rendi i poveri meno poveri, smettono immediatamente di lavorare, si trasformano in “furbetti”. I media e gli intellettuali sono investiti della missione di convincere i poveri di questa “verità” e, in effetti, ci riescono, eccome.
La potenza ideologica del capitalismo riesce a dissimulare la sua natura intrinsecamente criminale. Il capitalismo viene quindi inquadrato come fenomeno “economico”, mentre semmai è un fenomeno “anche” economico. Non esisterebbe il capitalismo senza la circolarità e complementarietà tra l’aspetto legale e quello illegale. È nel circuito legale-illegale che si determina quello squilibrio di forze da cui può generarsi il grande business, il grande arricchimento.
Anche chi condivide questa nozione critica di capitalismo, finisce spesso per interpretarla in modo riduttivo, nel senso che ai ricchi andrebbe l’esclusiva della grande criminalità finanziaria, mentre ai poveri resterebbero gli aspetti più marginali, come il narcotraffico. Al contrario, non vi è attività criminale che sfugga al controllo del grande capitale e non ne sia diretta espressione. Qui non è questione di semplice disinformazione ma, si potrebbe dire, di de-informazione, nel senso che le informazioni che potrebbero sovvertire il quadro magari passano, senza che però riescano a fermarsi costruendo un quadro alternativo.
In rari casi infatti qualche singolo prodotto mediatico va in controtendenza. Nel 2009 vi fu addirittura una serie televisiva di genere poliziesco su Rai1, “Il Bene e il Male”, nella quale l’organizzazione criminale non era una delle solite mafie care ai vari Roberto Saviano ed alle fiction televisive che vanno per la maggiore. Non la ‘Ndrangheta e nemmeno la solita mafia russa, bensì la mafia olandese, quella specializzata in droghe sintetiche e che ha reso l’Olanda il Narco-Stato per eccellenza, molto di più della tanto vituperata Colombia.
Da uno Stato di ricchi, biondi e carini, con un’amministrazione efficiente e moderna, non ti aspetteresti che sia anche
un Narco-Stato. Eppure la droga più diffusa al mondo, l’ecstasy, è una droga sintetica prodotta principalmente in Olanda, che ne è anche la massima esportatrice. Tra gli Olandesi c’è chi non è per niente soddisfatto ed anzi denuncia con dovizia di documentazione il fenomeno.
È uno di quei casi in cui non vi è nulla di segreto, i dati sono pienamente disponibili, ciononostante il pregiudizio rimuove presto dalla memoria e dall’attenzione ciò che non rientra nelle solite coordinate. Non a caso per “Il Bene e il Male” non si è prodotta una seconda serie. Il “Corriere della Sera” magari ti fa
un’intervista inquietante ad un inquirente olandese sul mega-business dell’Ecstasy nel suo Paese, ma è per quella volta. Che i ricchi siano più pericolosi dei poveri è una di quelle notizie che disturbano il sonno dogmatico e quindi vengono prontamente dimenticate. Non è neppure necessario alcun complotto, basta il conformismo.
Spesso il quadro rassicurante viene ristabilito attraverso depistaggi mediatici raffinati, nei quali non mancano le mezze verità, sparse però in modo da portare fuori strada. Film e fiction di qualità e di grande successo, come quelli tratti dal best-seller “Romanzo Criminale”, non nascondono i rapporti intercorsi tra i servizi segreti e la Banda della Magliana, facendo credere però che quei rapporti siano intercorsi quando la Banda aveva già in gran parte stabilito il proprio potere sulla Capitale. In realtà un’organizzazione criminale può raggiungere un controllo del territorio solo se i suoi legami con gli apparati dello Stato sono intrinseci, sono cioè alla base stessa della sua genesi. Nel fatto poi che dei settori dello Stato siano organici alla criminalità ed altri settori a volte gli facciano la guerra, non c’è nulla di strano, dato che lo “Stato” è una finzione giuridica e, materialmente, esistono solo pezzi dello Stato che prendono un indirizzo preciso solo in base alla pressione di una lobby.