Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Prendersi una testata in faccia per un insegnante è routine ma, se capita ad un giornalista, diventa uno scandalo. Scandalismo e giornalismo del resto sono praticamente sinonimi: oggi i giornalisti si scandalizzano persino per la pretesa di avere una pensione o uno stipendio. Ammesso che l’episodio di Ostia non sia una combine, esso si è concluso con reciproco vantaggio per i due protagonisti, in quanto il giornalista è diventato un eroe mediatico del “politicamente corretto” ed il fascio-teppista è diventato un eroe mediatico del “politicamente scorretto”. Se per una persona per bene alcune settimane di galera costituiscono una tragedia che può stroncare un’esistenza, per quelli come Spada possono assumere il colore di una rimpatriata e di un’occasione per ritrovarsi fra amici, perciò non sono un gran prezzo da pagare.
L’ambiguità dell’effetto mediatico dell’episodio sta appunto nel riproporre l’immagine di un’antropologia di destra “libera e selvaggia” a fronte di un’antropologia di sinistra irretita nelle spire del bigottismo e del perfettinismo morale. È un paradigma che consente alla destra una spregiudicatezza di temi e di comportamenti che, peraltro, non compromette le relazioni e le complicità con l’establishment. Anche senza sposare la tesi secondo cui CasaPound sarebbe una costruzione parapoliziesca, sta di fatto che certe “opposizioni” di destra si giovano di una tolleranza dal sistema di potere che è spiegabile con il loro essere percepite pur sempre come “persone di famiglia”.
Avviene così che oggi anche l’imperialismo trovi i suoi contrasti in governi di destra come quello di Orban in Ungheria. Attualmente i rapporti tra Washington e Budapest appaiono ai ferri corti, specialmente dopo la decisione statunitense di finanziare con settecento milioni di dollari i giornali dell’opposizione ungherese. Il governo di Orban ha sottolineato la scorrettezza di tale comportamento nei confronti di un “alleato” della NATO.
Pur provenendo dalla “scuola” di George Soros, il Primo Ministro Orban ha spinto il conflitto con il finanziere ungherese-americano sino a denunciare il ruolo delle sue ONG nell’organizzare e finanziare l’ondata migratoria in Europa. D’altra parte lo stesso Orban continua a far finta di non accorgersi che Soros non è un semplice privato ma un “funzionario informale”, un agente esterno, della CIA. Le ambiguità e le ipocrisie quindi rimangono: si fa della propaganda antimperialista, ma senza denunciarne tutto il sistema di relazioni tra agenzie private e pubbliche, ci si lamenta apertamente delle ingerenze americane, ma pur sempre rivendicando il ruolo di “alleati”.
La rendita di posizione della destra consiste appunto nel poter fare la fronda senza dover rinunciare agli agganci con l’establishment. Eccola perciò cavalcare i miti del nazionalismo e del “sovranismo”, lasciando alla “sinistra” la patata bollente del culto della globalizzazione e dell’europeismo. I tempi di reazione della cosiddetta “sinistra” sono infatti timidi, lenti e timorosi, caratteristici di chi ha il complesso di doversi far accettare dall’establishment. Un testo molto interessante uscito lo scorso anno, “La scomparsa della sinistra in Europa”, illustra con efficacia l’adesione acritica delle sinistre agli schemi del liberismo e del globalismo. Uno dei due autori, Massimo Pivetti, era stato uno dei più tempestivi e puntuali a descrivere il carattere antioperaio dell’istituzione della moneta unica europea.
Non convince invece la tesi del libro secondo cui la “sinistra” sarebbe stata catturata dalla mitologia liberista a causa dell’antistatalismo sviluppatosi nelle sinistre estreme dal ’68 in poi. Dell’ipotesi che le sinistre estreme siano servite da laboratorio per tesi reazionarie, si può discutere e potrebbero anche essere avanzati alcuni esempi a riguardo; ma se lo Stato ha dimostrato in questi decenni di non essere affatto un principio regolatore, bensì un coacervo di lobby private, non è certo perché una moda ideologica lo avrebbe screditato.
Forse il motivo vero è che quella parte della sinistra meno disponibile a convertirsi alle privatizzazioni non ha trovato nella burocrazia statale alcuna sponda. Lo Stato non è solo la politica, ma consiste soprattutto nei suoi apparati. Una burocrazia statale gelosa delle sue prerogative avrebbe opposto resistenza alla svendita delle sue funzioni; al contrario, si è visto l’apparato dello Stato agire da lobby delle privatizzazioni, facendo propri i mantra del FMI e dell’OCSE. Ciò vale per l’ISTAT, per la Corte dei Conti, per la stessa magistratura civile e penale che, con le sue sentenze, si è sistematicamente calata la toga davanti alle multinazionali. Ma poi quanti poliziotti, quanti carabinieri si percepiscono davvero come funzionari pubblici piuttosto che come tutori del privilegio?
Uno dei principali “cult” del bigottismo di “sinistra” è il mito della “legalità”, ma sta di fatto che la sedicente “legalità” è strutturata in modo da consentire ed agevolare le forme più gravi e devastanti di corruzione. La porta girevole tra pubblico e privato infatti funziona da sempre alla grande per il personale della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, dell’Arma dei Carabinieri. dei servizi segreti e delle Forze Armate.
Per anni ci si è raccontato che in Francia sì che era un’altra cosa, che lì lo Stato era una religione laica, salvo poi scoprire che tutto il mondo è paese. Il secolo XIX ha costruito una mitologia dello Stato che si è frantumata sotto i nostri occhi; anzi, è lo Stato, sia come politica che come apparato, ad aver favorito la mitologia del privato, di quel Dio Mercato che non è altro che il nome in codice delle oligarchie finanziarie.
Per la destra l’inesistenza dello Stato non è un problema, poiché la destra può permettersi di vivere alla giornata alternando ipocritamente i suoi “valori” (cioè i suoi slogan) e pescando in tutti gli stagni, tanto come collante c’è sempre il privilegio. Per la sinistra invece il collante rischia di essere solo il bigottismo, che spinge alla devozione supina ai miti del momento, perdendo la capacità di disfarsene quando sono ormai screditati.
L’ondata mediatica di fake news sulle fake news ha trovato finalmente un punto fermo. Si è infatti individuata la fonte dell’allarme; si tratta inoltre di una fonte insospettabile e al di sopra delle parti: il Dipartimento di Stato USA. Prima ancora che il quotidiano “New York Times” si facesse latore dell’allarme, al nostro governo era giunta un’informativa a riguardo proprio dal Dipartimento di Stato americano. Con ammirevole senso della legalità ci viene anche spiegato che la fonte (o la fonte della fonte?) non può addentrarsi nei dettagli delle prove per non violare la legge.
I contenuti dell’informativa risultano abbastanza sconcertanti, tanto da far supporre che al Dipartimento di Stato USA si rubino lo stipendio. Il nostro governo viene infatti “avvisato” del pericolo che dalla Russia provengano fake news tendenti a favorire le formazioni politiche più orientate ad un avvicinamento con la stessa Russia, cioè la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle. L’irrealismo dell’informativa appare abbastanza evidente, dato che in Italia non esiste una classe politica in grado di mettere minimamente in discussione la collocazione “atlantica e occidentale” del Paese; e non c’era neppure bisogno dei pellegrinaggi di Di Maio a Washington e di Salvini in Israele per accorgersene. Che poi la propaganda russa cerchi di tirare l’acqua al proprio mulino, è prevedibile e fisiologico, ma la Russia rimane un Paese povero, con un PIL addirittura inferiore a quello dell’Italia, perciò non può permettersi di “investire” più di tanto per destabilizzare la politica di altri Stati.
La pseudo-informativa del Dipartimento di Stato USA non va però considerata un semplice controsenso, poiché deve essere collocata nel vero contesto. Da qualche anno la Russia ha avviato una legislazione contro le ingerenze esterne, ponendo limiti alle ONG, al movimento di personaggi indesiderabili ed al finanziamento dall’estero di organi di informazione. Si tratta di una legislazione difensiva a costo zero, adeguata ad uno Stato con scarse risorse; una legislazione che sta diventando un modello anche per altri Paesi, persino di collocazione “atlantica”, tra cui l’Ungheria e, pare, anche la Romania.
Innescare una psicosi mediatica sulle fake news e sulle “ingerenze” russe svolge quindi una precisa funzione, cioè creare un “rumore di fondo” che impedisca alla notizia vera di pervenire alle opinioni pubbliche. La notizia vera è appunto il fatto che dalle ONG e dalle altre ingerenze ci si può difendere senza eccessivo sforzo.
Non ci facciamo mancare nulla perciò, dopo il fascistaccio brutalone di Ostia, abbiamo avuto anche i naziskin “umanitari” di Como, che hanno fatto un blitz in una associazione di accoglienza agli immigrati, non per picchiare, ma per leggere un comunicato. È scontato che sorga il sospetto che si tratti di episodi prefabbricati ad uso dei media, ma alcune considerazioni possono valere in ogni caso. Il volontariato dell’accoglienza è infatti l’ultimissimo, inconsapevole, anello di una catena che inizia altrove, perciò appuntare la polemica contro di esso risulta fuorviante. A meno che lo scopo non fosse proprio quello di fuorviare.
Il Dipartimento di Stato USA infatti non è soltanto la fonte delle fake news sulle fake news, ma anche la fonte principale dei finanziamenti alle ONG che si “occupano” di migrazione, ovvero la incentivano e la organizzano. Trasparente com’è, il governo USA ce lo fa sapere sul suo stesso sito.
Si osserva spesso che la migrazione costituisce un esercito industriale di riserva che serve a contenere il costo del lavoro, il che è vero ma riduttivo. Da parte delle destre si parla invece di vera e propria “sostituzione di popolazione”, cosa che può essere in parte vera, ma che risulta sproporzionata se si considerano i numeri effettivamente in ballo; tanto più che solo una parte dei migranti mira a stabilirsi definitivamente, anzi, mantiene un legame stabile con la madre patria attraverso le rimesse.
Ciò che risulta certo è infatti che la migrazione di massa rappresenta un enorme laboratorio di “inclusione finanziaria” dei poveri del mondo. Ciò avviene con il microcredito ai migranti, ma anche con le rimesse degli stessi migranti, alle quali la Banca Mondiale ha dedicato due anni fa un’apposita conferenza internazionale. Può apparire una sorpresa per un’opinione pubblica addestrata a temere gli spauracchi del debito pubblico e della spesa pensionistica, ma le umili rimesse dei migranti sono addirittura oggetto di operazioni di finanza derivata: le “securitization”, cioè le cartolarizzazioni.
Si dice spesso che gli Stati Uniti sono un impero, ma da un impero ci si aspetterebbe che destabilizzasse gli avversari non gli alleati, come invece sta avvenendo con l’ondata migratoria che coinvolge l’Europa e che sottopone le sue opinioni pubbliche ad uno stress foriero di conseguenze incontrollabili. In realtà più che di impero si tratta di imperialismo, cioè di un intreccio di militarismo e finanza. Al Dipartimento di Stato USA quindi, più che gli strateghi imperiali, contano i lobbisti delle armi e della finanziarizzazione.
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