L’ondata mediatica di fake news sulle fake news ha trovato finalmente un punto fermo. Si è infatti individuata la fonte dell’allarme; si tratta inoltre di una fonte insospettabile e al di sopra delle parti: il Dipartimento di Stato USA. Prima ancora che il quotidiano “New York Times” si facesse latore dell’allarme, al nostro governo era giunta
un’informativa a riguardo proprio dal Dipartimento di Stato americano. Con ammirevole senso della legalità ci viene anche spiegato che la fonte (o la fonte della fonte?) non può addentrarsi nei dettagli delle prove per non violare la legge.
I contenuti dell’informativa risultano abbastanza sconcertanti, tanto da far supporre che al Dipartimento di Stato USA si rubino lo stipendio. Il nostro governo viene infatti “avvisato” del pericolo che dalla Russia provengano fake news tendenti a favorire le formazioni politiche più orientate ad un avvicinamento con la stessa Russia, cioè la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle. L’irrealismo dell’informativa appare abbastanza evidente, dato che in Italia non esiste una classe politica in grado di mettere minimamente in discussione la collocazione “atlantica e occidentale” del Paese; e non c’era neppure bisogno dei pellegrinaggi di Di Maio a Washington e di Salvini in Israele per accorgersene. Che poi la propaganda russa cerchi di tirare l’acqua al proprio mulino, è prevedibile e fisiologico, ma la Russia rimane un Paese povero, con un PIL addirittura inferiore a quello dell’Italia, perciò non può permettersi di “investire” più di tanto per destabilizzare la politica di altri Stati.
La pseudo-informativa del Dipartimento di Stato USA non va però considerata un semplice controsenso, poiché deve essere collocata nel vero contesto. Da qualche anno la Russia ha avviato
una legislazione contro le ingerenze esterne, ponendo limiti alle ONG, al movimento di personaggi indesiderabili ed al finanziamento dall’estero di organi di informazione. Si tratta di una legislazione difensiva a costo zero, adeguata ad uno Stato con scarse risorse; una legislazione che sta diventando un modello anche per altri Paesi, persino di collocazione “atlantica”, tra cui l’Ungheria e, pare, anche la Romania.
Innescare una psicosi mediatica sulle fake news e sulle “ingerenze” russe svolge quindi una precisa funzione, cioè creare un “rumore di fondo” che impedisca alla notizia vera di pervenire alle opinioni pubbliche. La notizia vera è appunto il fatto che dalle ONG e dalle altre ingerenze ci si può difendere senza eccessivo sforzo.
Non ci facciamo mancare nulla perciò, dopo il fascistaccio brutalone di Ostia, abbiamo avuto anche i naziskin “umanitari” di Como, che hanno fatto un blitz in una associazione di accoglienza agli immigrati, non per picchiare, ma per leggere un comunicato. È scontato che sorga il sospetto che si tratti di episodi prefabbricati ad uso dei media, ma alcune considerazioni possono valere in ogni caso. Il volontariato dell’accoglienza è infatti l’ultimissimo, inconsapevole, anello di una catena che inizia altrove, perciò appuntare la polemica contro di esso risulta fuorviante. A meno che lo scopo non fosse proprio quello di fuorviare.
Il Dipartimento di Stato USA infatti non è soltanto la fonte delle fake news sulle fake news, ma anche
la fonte principale dei finanziamenti alle ONG che si “occupano” di migrazione, ovvero la incentivano e la organizzano. Trasparente com’è, il governo USA ce lo fa sapere sul suo stesso sito.
Si osserva spesso che la migrazione costituisce un esercito industriale di riserva che serve a contenere il costo del lavoro, il che è vero ma riduttivo. Da parte delle destre si parla invece di vera e propria “sostituzione di popolazione”, cosa che può essere in parte vera, ma che risulta sproporzionata se si considerano i numeri effettivamente in ballo; tanto più che solo una parte dei migranti mira a stabilirsi definitivamente, anzi, mantiene un legame stabile con la madre patria attraverso le rimesse.
Ciò che risulta certo è infatti che la migrazione di massa rappresenta un enorme laboratorio di “inclusione finanziaria” dei poveri del mondo. Ciò avviene con il microcredito ai migranti, ma anche con
le rimesse degli stessi migranti, alle quali la Banca Mondiale ha dedicato due anni fa un’apposita conferenza internazionale. Può apparire una sorpresa per un’opinione pubblica addestrata a temere gli spauracchi del debito pubblico e della spesa pensionistica, ma le umili rimesse dei migranti sono addirittura oggetto di operazioni di finanza derivata: le “securitization”, cioè le cartolarizzazioni.
Si dice spesso che gli Stati Uniti sono un impero, ma da un impero ci si aspetterebbe che destabilizzasse gli avversari non gli alleati, come invece sta avvenendo con l’ondata migratoria che coinvolge l’Europa e che sottopone le sue opinioni pubbliche ad uno stress foriero di conseguenze incontrollabili. In realtà più che di impero si tratta di imperialismo, cioè di un intreccio di militarismo e finanza. Al Dipartimento di Stato USA quindi, più che gli strateghi imperiali, contano i lobbisti delle armi e della finanziarizzazione.