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LA DESTRA IPOCRITA E LA SINISTRA BIGOTTA
Di comidad (del 30/11/2017 @ 01:07:33, in Commentario 2017, linkato 3071 volte)
Prendersi una testata in faccia per un insegnante è routine ma, se capita ad un giornalista, diventa uno scandalo. Scandalismo e giornalismo del resto sono praticamente sinonimi: oggi i giornalisti si scandalizzano persino per la pretesa di avere una pensione o uno stipendio. Ammesso che l’episodio di Ostia non sia una combine, esso si è concluso con reciproco vantaggio per i due protagonisti, in quanto il giornalista è diventato un eroe mediatico del “politicamente corretto” ed il fascio-teppista è diventato un eroe mediatico del “politicamente scorretto”. Se per una persona per bene alcune settimane di galera costituiscono una tragedia che può stroncare un’esistenza, per quelli come Spada possono assumere il colore di una rimpatriata e di un’occasione per ritrovarsi fra amici, perciò non sono un gran prezzo da pagare.
L’ambiguità dell’effetto mediatico dell’episodio sta appunto nel riproporre l’immagine di un’antropologia di destra “libera e selvaggia” a fronte di un’antropologia di sinistra irretita nelle spire del bigottismo e del perfettinismo morale. È un paradigma che consente alla destra una spregiudicatezza di temi e di comportamenti che, peraltro, non compromette le relazioni e le complicità con l’establishment. Anche senza sposare la tesi secondo cui CasaPound sarebbe una costruzione parapoliziesca, sta di fatto che certe “opposizioni” di destra si giovano di una tolleranza dal sistema di potere che è spiegabile con il loro essere percepite pur sempre come “persone di famiglia”.
Avviene così che oggi anche l’imperialismo trovi i suoi contrasti in governi di destra come quello di Orban in Ungheria. Attualmente i rapporti tra Washington e Budapest appaiono ai ferri corti, specialmente dopo la decisione statunitense di finanziare con settecento milioni di dollari i giornali dell’opposizione ungherese. Il governo di Orban ha sottolineato la scorrettezza di tale comportamento nei confronti di un “alleato” della NATO.
Pur provenendo dalla “scuola” di George Soros, il Primo Ministro Orban ha spinto il conflitto con il finanziere ungherese-americano sino a denunciare il ruolo delle sue ONG nell’organizzare e finanziare l’ondata migratoria in Europa. D’altra parte lo stesso Orban continua a far finta di non accorgersi che Soros non è un semplice privato ma un “funzionario informale”, un agente esterno, della CIA. Le ambiguità e le ipocrisie quindi rimangono: si fa della propaganda antimperialista, ma senza denunciarne tutto il sistema di relazioni tra agenzie private e pubbliche, ci si lamenta apertamente delle ingerenze americane, ma pur sempre rivendicando il ruolo di “alleati”.

La rendita di posizione della destra consiste appunto nel poter fare la fronda senza dover rinunciare agli agganci con l’establishment. Eccola perciò cavalcare i miti del nazionalismo e del “sovranismo”, lasciando alla “sinistra” la patata bollente del culto della globalizzazione e dell’europeismo. I tempi di reazione della cosiddetta “sinistra” sono infatti timidi, lenti e timorosi, caratteristici di chi ha il complesso di doversi far accettare dall’establishment. Un testo molto interessante uscito lo scorso anno, “La scomparsa della sinistra in Europa”, illustra con efficacia l’adesione acritica delle sinistre agli schemi del liberismo e del globalismo. Uno dei due autori, Massimo Pivetti, era stato uno dei più tempestivi e puntuali a descrivere il carattere antioperaio dell’istituzione della moneta unica europea.
Non convince invece la tesi del libro secondo cui la “sinistra” sarebbe stata catturata dalla mitologia liberista a causa dell’antistatalismo sviluppatosi nelle sinistre estreme dal ’68 in poi. Dell’ipotesi che le sinistre estreme siano servite da laboratorio per tesi reazionarie, si può discutere e potrebbero anche essere avanzati alcuni esempi a riguardo; ma se lo Stato ha dimostrato in questi decenni di non essere affatto un principio regolatore, bensì un coacervo di lobby private, non è certo perché una moda ideologica lo avrebbe screditato.
Forse il motivo vero è che quella parte della sinistra meno disponibile a convertirsi alle privatizzazioni non ha trovato nella burocrazia statale alcuna sponda. Lo Stato non è solo la politica, ma consiste soprattutto nei suoi apparati. Una burocrazia statale gelosa delle sue prerogative avrebbe opposto resistenza alla svendita delle sue funzioni; al contrario, si è visto l’apparato dello Stato agire da lobby delle privatizzazioni, facendo propri i mantra del FMI e dell’OCSE. Ciò vale per l’ISTAT, per la Corte dei Conti, per la stessa magistratura civile e penale che, con le sue sentenze, si è sistematicamente calata la toga davanti alle multinazionali. Ma poi quanti poliziotti, quanti carabinieri si percepiscono davvero come funzionari pubblici piuttosto che come tutori del privilegio?

Uno dei principali “cult” del bigottismo di “sinistra” è il mito della “legalità”, ma sta di fatto che la sedicente “legalità” è strutturata in modo da consentire ed agevolare le forme più gravi e devastanti di corruzione. La porta girevole tra pubblico e privato infatti funziona da sempre alla grande per il personale della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza, dell’Arma dei Carabinieri. dei servizi segreti e delle Forze Armate.
Per anni ci si è raccontato che in Francia sì che era un’altra cosa, che lì lo Stato era una religione laica, salvo poi scoprire che tutto il mondo è paese. Il secolo XIX ha costruito una mitologia dello Stato che si è frantumata sotto i nostri occhi; anzi, è lo Stato, sia come politica che come apparato, ad aver favorito la mitologia del privato, di quel Dio Mercato che non è altro che il nome in codice delle oligarchie finanziarie.
Per la destra l’inesistenza dello Stato non è un problema, poiché la destra può permettersi di vivere alla giornata alternando ipocritamente i suoi “valori” (cioè i suoi slogan) e pescando in tutti gli stagni, tanto come collante c’è sempre il privilegio. Per la sinistra invece il collante rischia di essere solo il bigottismo, che spinge alla devozione supina ai miti del momento, perdendo la capacità di disfarsene quando sono ormai screditati.