Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il duo Conte-Di Maio ha gravissime corresponsabilità nell’aver trascinato l’Italia nell’avventura senza ritorno dell’emergenza Covid; ma, nel caso dei pescatori di Mazara del Vallo, ha fatto ciò che poteva e doveva fare per salvare delle vite umane. Anche dal punto di vista diplomatico l’iniziativa del duo di incontrare il signore della guerra Haftar, è stata un successo, poiché ha dimostrato che un leader locale in difficoltà, ed a rischio di isolamento, ha immediatamente cercato una sponda nel governo italiano; ciò ad indicare che l’influenza coloniale dell’Italia sulla Libia regge ancora, nonostante nove anni di aggressione da parte di altri attori imperialistici ben più forti.
L’iniziativa è stata però quasi unanimemente narrata come un’umiliazione da parte dei media e persino i commentatori meno conformisti hanno rimproverato il governo di non aver almeno minacciato l’uso della forza nella circostanza, come già aveva fatto la Turchia in circostanze analoghe. Si tratta di argomenti che ricordano una battuta di un famoso film di Massimo Troisi: il figlio dei vicini è sempre più bravo di te. I Tedeschi sono più efficienti di te, i Polacchi sono più bravi di te a spendere i fondi europei, i Turchi sanno come farsi rispettare e tu no; e così via.
Dieci anni fa l’Italia aveva in Libia una posizione di dominio coloniale che pareva inattaccabile, eppure anche allora i media nostrani (compresi quelli di proprietà del Buffone di Arcore) narravano la situazione con accenti razzistici, come se si trattasse della sottomissione italiana al “beduino” Gheddafi. Nel 2009, in occasione della visita di Gheddafi in Italia, furono proprio i partiti di governo a scatenare la campagna razzistica.
In Italia l’opinione pubblica ha scoperto che la Libia sino al 2011 era una colonia italiana solo molto dopo averla persa; prima di allora i media italiani non si erano mai scomodati a comunicarglielo, anzi, avevano spacciato l’aggressione anglo-francese alla Libia come una questione “umanitaria”. Il Buffone di Arcore era (ed è) fuori di testa, perciò sbracava pubblicamente con i baciamano a Gheddafi, ma le sue performance rientravano appunto nella narrazione ufficiale.
I paragoni con la Turchia in realtà non sono proponibili, poiché Ankara può vantare uno status nella gerarchia internazionale che le consente l’uso autonomo della forza militare. Da sempre la Turchia è autorizzata dalla NATO a massacrare la propria popolazione curda ed anche ad aggredire i Paesi vicini, come nel caso della Grecia (un “alleato” della NATO!?) e della Siria. Ora la Turchia si sta allargando troppo e pare che gli USA pensino di ridimensionarla, ma comunque Erdogan ha agito per anni in base ad uno status internazionale riconosciuto.
Al contrario, l’Italia non ha una posizione nella gerarchia internazionale che le consenta di agire militarmente in proprio, di usare la forza o di minacciarne l’uso, senza accodarsi a qualcun altro. Non è questione di forza militare, che in astratto l’Italia, con le sue tante portaerei, avrebbe; anzi, l’Italia è presente militarmente in una miriade di scenari, ma sempre a rimorchio altrui. Non è neppure una questione di semplice rapporto di forza, bensì di gerarchia internazionale, per cui nessun altro Stato sarebbe disposto a concedere all’Italia il privilegio dell’uso autonomo della forza.
A settantacinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale l’Italia porta ancora le stimmate del Paese sconfitto; ed occorre ricordarsi che i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono i Paesi vincitori della guerra; come a dire che il dopoguerra non è mai finito. L’altro grande Paese sconfitto della seconda guerra mondiale, la Germania, ha recuperato presto uno status internazionale grazie alla guerra fredda, di cui si può considerare vincitrice dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione. Ciò consente alla Germania di esibire il suo impero coloniale in Europa, ma continua anche per Berlino la preclusione per l'uso autonomo della forza militare.
Nel 2015 sembrò che gli USA avessero autorizzato l’Italia ad agire autonomamente in Libia ed il governo Renzi era sul punto di cascarci; ma si trattava di una trappola diplomatica, poiché l’Italia avrebbe dovuto scontrarsi con i Russi, ormai presenti in Libia; quindi gli stessi militari indussero Renzi a recedere. Il fatto di ritrovarsi precluso l’uso autonomo della forza rappresenta però anche un vantaggio, poiché i leader libici possono trattare con l’Italia senza l’incognita del ritrovarsi aggrediti. Nel 2011 Gheddafi fu ucciso dai Francesi mentre era andato a trattare con loro; esattamente come era accaduto al suo idolo Omar al Mukhtar, ucciso da Mussolini e Graziani dopo essere stato attirato in un agguato con la promessa di un negoziato. La proditoria uccisione di Gheddafi fu al momento dissimulata dai Francesi con un ridicolo video-linciaggio fasullo, confezionato in Photoshop; ma quella buffonata fu presa sul serio solo dai commentatori italiani per ricamarci sopra improbabili e pretestuosi paralleli con la fine del Duce.
L’Italia rimane un punto di riferimento in Libia a dispetto della sua debolezza e della sua insipienza, poiché anche la debolezza è accattivante nei rapporti internazionali, dato che genera meno timori. C’è pure una rete di rapporti personali sperimentati e sedimentati, perciò i locali sanno come prenderti e come spillarti quattrini o favori. L’ENI attuale non è più quello di Enrico Mattei, anzi, si dà arie da multinazionale ed ha in gran parte dimenticato la lezione del fondatore, il quale aveva ben chiaro che l’avarizia è un lusso dei ricchi e che un imperialismo povero come quello italiano non può permettersela. Anche l’ENI si giova però del fatto di essere una piccola multinazionale, ed è un partner interessante per le oligarchie locali proprio per la sua minore forza contrattuale. Il colonialismo non è mai del tutto separabile da fenomeni di autocolonizzazione, per cui le oligarchie locali favoriscono un soggetto imperialistico a scapito di qualche altro. Di autocolonialismo l’Italia del resto è un’esperta, visto che lo pratica ampiamente con la sua sfrenata ricerca del “vincolo esterno”.
L’ultimo orpello a cui il nostro ceto politico si attaccava per accreditare un improbabile status internazionale dell’Italia, era l’appartenenza al G7, ma ora anche quel pomposo consesso ha perso ogni prestigio. La posizione dell’Italia in Nord-Africa rappresenta però una smentita dell’assetto gerarchico internazionale; una smentita che i media tendono a dissimulare con una narrazione che ristabilisca le gerarchie. Non che i giornalisti parlino sempre in consapevole malafede, dato che la gerarchia è come un occhiale che filtra e deforma ogni percezione. È un’esperienza comune che in ogni sistema gerarchico, dalla famiglia al luogo di lavoro, tutto ciò che viene ottenuto da soggetti privi di status sia sminuito o addirittura ignorato, rimosso dal quadro generale e persino dimenticato, perché poi il tutto sia narrato in forma riveduta e corretta secondo i canoni della gerarchia vigente.
Insomma, chi occupa i gradi infimi della gerarchia sociale e internazionale, qualunque cosa faccia, ha sempre torto. Ma, come diceva Bertolt Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano già occupati”. Agire a livello internazionale accettando consapevolmente di “stare dalla parte del torto”, comporterebbe però passare da una posizione di imperialismo debole ad un vero e proprio antimperialismo. Aspettarsi un salto del genere da Conte e Di Maio sarebbe decisamente un po’ troppo.
Parlare di danni collaterali dei vaccini non è politicamente corretto, si rischia di passare da no-vax. Sono argomenti riservati ai grandi; però stavolta proprio i grandi ci hanno dato dentro più dei no-vax. A evidenziare i rischi del vaccino BioNTech prodotto da Pfizer, ci ha immediatamente pensato l’agenzia governativa americana addetta al settore, l’ACIP, il Comitato Consultivo sulle Pratiche di Immunizzazione. La lista dei probabili effetti collaterali è inquietante: allergie, eritemi, gonfiori, febbre, dolori, e così via.
Anche in Italia coloro che si sottopongono alle vaccinazioni vengono invitati a firmare un modulo per il “consenso informato”, la cui lettura non è soltanto terrorizzante, ma anche sconfortante. Oltre a dover accettare i numerosi rischi collaterali a breve termine (quelli a lungo termine saranno ovviamente accertati nel tempo), chi si sottopone alla vaccinazione viene anche a sapere che la percentuale di inefficacia del vaccino è abbastanza elevata, circa il 5%, perciò persiste anche per i vaccinati l’indicazione di rispettare tutte le norme vigenti. Chi ancora si illudeva che la vaccinazione chiudesse l’epoca delle precauzioni e delle limitazioni ai movimenti, deve ricredersi.
L’insistenza ufficiale sui rischi e sulla possibile inefficacia del vaccino rappresenta un modo per conciliare il business dei vaccini con quello dilagante del digitale, che si avvale proprio della limitazione dei movimenti delle persone. La lobby dei vaccini e la lobby del digitale hanno quindi attuato il loro “compromesso storico” per non invadere i rispettivi orticelli. La vaccinazione di massa ci sarà ma non sarà risolutiva, quindi sono tutti contenti: sia Pfizer, sia Amazon. Nell’ambito di un business tutto digitale come il 5G, non sono stati invece necessari compromessi, perciò, a livello ufficiale, non si parla proprio di possibili rischi per la salute dei cittadini. I centri di ricerca ufficialmente accreditati per valutare i danni biologici causati dal 5G, sono invischiati nel business in quanto finanziati proprio da chi lo gestisce.
A finanziare la ricerca sul vaccino della multinazionale tedesca BioNTech ha provveduto interamente il governo di Berlino, infatti la multinazionale statunitense Pfizer ha smentito le dichiarazioni dell’amministrazione Trump circa un finanziamento pubblico di Washington alla ricerca. Sebbene il governo tedesco si sia sobbarcato tutte le spese, le gerarchie internazionali sono state comunque rispettate, coinvolgendo anche il colosso americano Pfizer nell’affare.
Nel febbraio scorso nel Nord Europa l’epidemia di Covid segnalata in Italia era ancora circondata di scetticismo e non mancava chi insinuava che si trattasse di una esagerazione degli smidollati Italiani, oppure di una “furbata italica” per non pagare i debiti. Poi la prospettiva degli affari ha cambiato l’atteggiamento del governo tedesco e del governo francese. Ancora una volta le gerarchie internazionali sono state determinanti: finché l’emergenza Covid era segnalata dall’Italia, rappresentava un’esagerazione; quando invece l’hanno “adottata” Germania e Francia, è diventata per tutto il mondo una cosa seria, anzi, una tragedia senza precedenti.
Germania e Francia, a dispetto della mitica “Framania”, hanno proceduto in ordine sparso ed in competizione di interessi. Grazie alle iniezioni di soldi da parte del governo tedesco, BioNTech ha battuto sul tempo la sua concorrente francese, la multinazionale farmaceutica Sanofi. Ma Sanofi vuole ancora partecipare al business con un proprio vaccino, perciò la stampa tedesca accusa le istituzioni europee di limitare gli acquisti del vaccino tedesco col preciso scopo di favorire il vaccino francese.
Queste campagne mediatiche di finta indignazione distraggono dal dettaglio principale, cioè la spregiudicatezza finanziaria con cui il governo tedesco sta affrontando, sin dall’inizio, la questione del vaccino. È notizia recente che Berlino ha acquistato trenta milioni di dosi di vaccino BioNTech fuori dagli accordi europei. Il dato eclatante non riguarda tanto il privilegio accordato ai cittadini tedeschi di potersi ricoprire di piaghe e di bolle prima degli altri, quanto il fatto che il governo tedesco prima spende per finanziare il vaccino, poi spende di nuovo per comprare lo stesso vaccino di cui ha già pagato la ricerca. Con questo sfacciato assistenzialismo per ricchi Berlino droga il valore delle sue aziende, alimentando anche le euforie speculative in Borsa. Il valore delle azioni BioNTech infatti è in piena ascesa; certo, nulla di paragonabile con le performance di Borsa dei titoli delle multinazionali del digitale, che però sono tutte americane, per cui agli Europei tocca accontentarsi.
L’infettivologo Massimo Galli ha commentato il comportamento sleale del governo tedesco con l’amara considerazione che poi siamo noi italiani a passare sempre per i furbi della situazione. Anzitutto, come diceva Bakunin, non è furbo chi è conosciuto da tutti per furbo; e, si potrebbe aggiungere, che non è il vero spendaccione chi da tutti è conosciuto per spendaccione. In questa vicenda Covid, Galli e soci hanno commesso il tipico errore dei bio-politicanti, dimenticandosi che in definitiva il potere si misura in capacità di spesa.
Karl Schmidt diceva che è sovrano chi è in grado di dichiarare lo stato di eccezione; in questo senso la Regione Lombardia nel febbraio scorso si è dichiarata sovrana proclamando l’emergenza Covid e mettendo sistematicamente il governo di Roma davanti al fatto compiuto. I golpisti “lumbard” hanno però lasciato incompiuto il loro colpo di Stato separatista, visto che la Regione Lombardia non ha fatto il passo decisivo, cioè emettere propri titoli di debito nella quantità necessaria. Nell’aprile scorso, per contrastare l’emergenza Covid, la Regione Lombardia ha emesso bond per soli tre miliardi di euro, quando invece era l’occasione per mettersi in competizione di spesa, e non di avarizia, col governo centrale; come a dire che l’Italia non è solvibile, ma la ricca Lombardia invece sì. Volevano fare il colpo di Stato “lumbard”, mantenendo però il braccino corto all’italiana. L’articolo primo della Costituzione italiana, se fosse realistico, dovrebbe suonare così: “L’Italia è una repubblica fondata sulla guerra civile, e la lesina è la principale arma delle oligarchie contro il proprio stesso popolo”. Se un potere si focalizza sul non spendere, vince nello scontro di classe interno ma finisce per soccombere nella competizione imperialistica. Gli oligarchi lombardi pretenderebbero di imitare i Tedeschi, ma poi, quando si tratta di spendere, non hanno la loro spregiudicatezza.
Con la sua attuale prodigalità il governo di Berlino sta comprando il consenso delle oligarchie regionali e quindi sta contrastando anche il suo separatismo interno, in particolare quello della Baviera. Il malcontento dei separatisti bavaresi si è espresso nei giorni scorsi boicottando l’avvio delle vaccinazioni con il pretesto di problemi alla “catena del freddo”.
Francia e Germania si ritrovano attualmente con i sistemi bancari maggiormente a rischio a causa dei titoli derivati. La pubblicazione dei dati ufficiali del CER (Centro Europeo Ricerche), non lascia più dubbi a riguardo. Francia e Germania sono sedute su una polveriera finanziaria ed i loro governi sono entrati nella psicologia del “o la va o la spacca”, perciò si spiega la loro attuale frenesia emergenzialistica. Un business come quello dei vaccini rappresenta ossigeno per i due Paesi, quindi non stupisce che ci abbiano investito tanto; ma il dato più rilevante è che il governo tedesco, più di ogni altro, sta approfittando dell’emergenza per inondare di liquidità le sue aziende.
Ringraziamo Mario C. “Passatempo” e Claudio Mazzolani per la collaborazione.
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