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PERCHÉ L’ITALIA HA SEMPRE TORTO?
Di comidad (del 24/12/2020 @ 00:05:34, in Commentario 2020, linkato 9555 volte)
Il duo Conte-Di Maio ha gravissime corresponsabilità nell’aver trascinato l’Italia nell’avventura senza ritorno dell’emergenza Covid; ma, nel caso dei pescatori di Mazara del Vallo, ha fatto ciò che poteva e doveva fare per salvare delle vite umane. Anche dal punto di vista diplomatico l’iniziativa del duo di incontrare il signore della guerra Haftar, è stata un successo, poiché ha dimostrato che un leader locale in difficoltà, ed a rischio di isolamento, ha immediatamente cercato una sponda nel governo italiano; ciò ad indicare che l’influenza coloniale dell’Italia sulla Libia regge ancora, nonostante nove anni di aggressione da parte di altri attori imperialistici ben più forti.
L’iniziativa è stata però quasi unanimemente narrata come un’umiliazione da parte dei media e persino i commentatori meno conformisti hanno rimproverato il governo di non aver almeno minacciato l’uso della forza nella circostanza, come già aveva fatto la Turchia in circostanze analoghe. Si tratta di argomenti che ricordano una battuta di un famoso film di Massimo Troisi: il figlio dei vicini è sempre più bravo di te. I Tedeschi sono più efficienti di te, i Polacchi sono più bravi di te a spendere i fondi europei, i Turchi sanno come farsi rispettare e tu no; e così via.
Dieci anni fa l’Italia aveva in Libia una posizione di dominio coloniale che pareva inattaccabile, eppure anche allora i media nostrani (compresi quelli di proprietà del Buffone di Arcore) narravano la situazione con accenti razzistici, come se si trattasse della sottomissione italiana al “beduino” Gheddafi. Nel 2009, in occasione della visita di Gheddafi in Italia, furono proprio i partiti di governo a scatenare la campagna razzistica.
In Italia l’opinione pubblica ha scoperto che la Libia sino al 2011 era una colonia italiana solo molto dopo averla persa; prima di allora i media italiani non si erano mai scomodati a comunicarglielo, anzi, avevano spacciato l’aggressione anglo-francese alla Libia come una questione “umanitaria”. Il Buffone di Arcore era (ed è) fuori di testa, perciò sbracava pubblicamente con i baciamano a Gheddafi, ma le sue performance rientravano appunto nella narrazione ufficiale.
I paragoni con la Turchia in realtà non sono proponibili, poiché Ankara può vantare uno status nella gerarchia internazionale che le consente l’uso autonomo della forza militare. Da sempre la Turchia è autorizzata dalla NATO a massacrare la propria popolazione curda ed anche ad aggredire i Paesi vicini, come nel caso della Grecia (un “alleato” della NATO!?) e della Siria. Ora la Turchia si sta allargando troppo e pare che gli USA pensino di ridimensionarla, ma comunque Erdogan ha agito per anni in base ad uno status internazionale riconosciuto.
Al contrario, l’Italia non ha una posizione nella gerarchia internazionale che le consenta di agire militarmente in proprio, di usare la forza o di minacciarne l’uso, senza accodarsi a qualcun altro. Non è questione di forza militare, che in astratto l’Italia, con le sue tante portaerei, avrebbe; anzi, l’Italia è presente militarmente in una miriade di scenari, ma sempre a rimorchio altrui. Non è neppure una questione di semplice rapporto di forza, bensì di gerarchia internazionale, per cui nessun altro Stato sarebbe disposto a concedere all’Italia il privilegio dell’uso autonomo della forza.

A settantacinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale l’Italia porta ancora le stimmate del Paese sconfitto; ed occorre ricordarsi che i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono i Paesi vincitori della guerra; come a dire che il dopoguerra non è mai finito. L’altro grande Paese sconfitto della seconda guerra mondiale, la Germania, ha recuperato presto uno status internazionale grazie alla guerra fredda, di cui si può considerare vincitrice dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione. Ciò consente alla Germania di esibire il suo impero coloniale in Europa, ma continua anche per Berlino la preclusione per l'uso autonomo della forza militare.
Nel 2015 sembrò che gli USA avessero autorizzato l’Italia ad agire autonomamente in Libia ed il governo Renzi era sul punto di cascarci; ma si trattava di una trappola diplomatica, poiché l’Italia avrebbe dovuto scontrarsi con i Russi, ormai presenti in Libia; quindi gli stessi militari indussero Renzi a recedere. Il fatto di ritrovarsi precluso l’uso autonomo della forza rappresenta però anche un vantaggio, poiché i leader libici possono trattare con l’Italia senza l’incognita del ritrovarsi aggrediti. Nel 2011 Gheddafi fu ucciso dai Francesi mentre era andato a trattare con loro; esattamente come era accaduto al suo idolo Omar al Mukhtar, ucciso da Mussolini e Graziani dopo essere stato attirato in un agguato con la promessa di un negoziato. La proditoria uccisione di Gheddafi fu al momento dissimulata dai Francesi con un ridicolo video-linciaggio fasullo, confezionato in Photoshop; ma quella buffonata fu presa sul serio solo dai commentatori italiani per ricamarci sopra improbabili e pretestuosi paralleli con la fine del Duce.
L’Italia rimane un punto di riferimento in Libia a dispetto della sua debolezza e della sua insipienza, poiché anche la debolezza è accattivante nei rapporti internazionali, dato che genera meno timori. C’è pure una rete di rapporti personali sperimentati e sedimentati, perciò i locali sanno come prenderti e come spillarti quattrini o favori. L’ENI attuale non è più quello di Enrico Mattei, anzi, si dà arie da multinazionale ed ha in gran parte dimenticato la lezione del fondatore, il quale aveva ben chiaro che l’avarizia è un lusso dei ricchi e che un imperialismo povero come quello italiano non può permettersela. Anche l’ENI si giova però del fatto di essere una piccola multinazionale, ed è un partner interessante per le oligarchie locali proprio per la sua minore forza contrattuale. Il colonialismo non è mai del tutto separabile da fenomeni di autocolonizzazione, per cui le oligarchie locali favoriscono un soggetto imperialistico a scapito di qualche altro. Di autocolonialismo l’Italia del resto è un’esperta, visto che lo pratica ampiamente con la sua sfrenata ricerca del “vincolo esterno”.

L’ultimo orpello a cui il nostro ceto politico si attaccava per accreditare un improbabile status internazionale dell’Italia, era l’appartenenza al G7, ma ora anche quel pomposo consesso ha perso ogni prestigio. La posizione dell’Italia in Nord-Africa rappresenta però una smentita dell’assetto gerarchico internazionale; una smentita che i media tendono a dissimulare con una narrazione che ristabilisca le gerarchie. Non che i giornalisti parlino sempre in consapevole malafede, dato che la gerarchia è come un occhiale che filtra e deforma ogni percezione. È un’esperienza comune che in ogni sistema gerarchico, dalla famiglia al luogo di lavoro, tutto ciò che viene ottenuto da soggetti privi di status sia sminuito o addirittura ignorato, rimosso dal quadro generale e persino dimenticato, perché poi il tutto sia narrato in forma riveduta e corretta secondo i canoni della gerarchia vigente.
Insomma, chi occupa i gradi infimi della gerarchia sociale e internazionale, qualunque cosa faccia, ha sempre torto. Ma, come diceva Bertolt Brecht: “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano già occupati”. Agire a livello internazionale accettando consapevolmente di “stare dalla parte del torto”, comporterebbe però passare da una posizione di imperialismo debole ad un vero e proprio antimperialismo. Aspettarsi un salto del genere da Conte e Di Maio sarebbe decisamente un po’ troppo.