Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Il ministro dell'Economia Tremonti ha rilanciato i facili entusiasmi dei suoi supporter della "destra antagonista" ripresentando alla Germania la proposta degli "Eurobond", cioè di titoli emessi allo scopo di sostenere l'euro attraverso un impegno dell'Unione Europea nel suo complesso. La proposta si è qualificata da sé come un nonsenso, dato che è apparsa come andare da uno che ti abbia appena rifiutato di garantirti una cambiale per chiedergli di garantirti addirittura un mutuo.
Il governo tedesco ha avuto infatti facile gioco ad obiettare che il peso della responsabilità di garantire l'affidabilità di questi titoli europei ricadrebbe sui Paesi ad economia forte, come appunto la Germania; Paesi che adesso rivendicano nei media il rango di "virtuosi", dato che la potenza si ammanta di virtù, mentre i Paesi ad economia debole, in base a questo lessico moralistico, vengono etichettati con l'acronimo sprezzante di "P.I.G.S.", poiché la debolezza va considerata come una colpa.
La fiaba dei "virtuosi" parsimoniosi da una parte e dei "viziosi" che "vivono al di sopra dei propri mezzi" dall'altra, è smentita dal fatto in Europa la povertà viene scientemente trasformata in fonte di indebitamento delle masse tramite il finanziamento ai consumi. Se i governi europei volessero davvero far vivere i propri Paesi secondo i propri mezzi, porrebbero nei loro "patti di stabilità" la clausola di non favorire l'indebitamento delle masse. Non risulta invece che la Germania abbia mai posto condizioni di tal genere, forse perché tra i colossi bancari interessati al business del finanziamento ai consumi vi sono anche multinazionali tedesche.
In Italia un ente previdenziale pubblico come l'INPDAP è intanto diventato un'agenzia di intermediazione di prestiti erogati da ditte private, con il risultato che la proprietà immobiliare diffusa nel ceto medio italiano oggi si trova già in gran parte ipotecata e prossima a passare di mano. In Italia le case sono di cemento e mattoni, non baracche di legno e pannelli prefabbricati come negli USA, quindi si tratta di un passaggio di ricchezza reale nelle mani delle agenzie finanziarie, che fanno tutte capo, in un modo o nell'altro, a grandi gruppi bancari internazionali, come la Rothschild, la Goldman Sachs, la Morgan e la Deutsche Bank.
Se lo scopo di Tremonti fosse stato quello non di far recitare semplicemente alla Germania la parte del cattivo, ma di metterla sul serio di fronte alle proprie responsabilità, allora la sua arma avrebbe dovuto essere non la proposta patetica degli Eurobond, ma semplicemente di dire la verità sulla istituzione dell'euro. La moneta unica europea non era affatto nata per costituire la premessa di una improbabile unione politica: ciò faceva parte solo della propaganda e delle pubbliche relazioni, poiché, in base al costume americanistico, divenuto ora planetario, ogni business deve essere camuffato con pretesti idealistici ed "epocali".
Il vero motivo dell'istituzione dell'euro era che, in base agli accordi assunti nel 1995 con la istituzione della Organizzazione Mondiale per il Commercio (il WTO), avrebbe dovuto instaurarsi una concorrenza tra le monete di pagamento internazionale, con la conseguente fine del monopolio del dollaro statunitense. Gli USA si erano avvantaggiati per più di mezzo secolo della funzione del dollaro come moneta di pagamento internazionale, poiché ciò aveva consentito di stampare molti, ma molti, più dollari di quanti fosse necessario per i pagamenti interni. Nel 1995 si credeva che quel tipo di business monetario si aprisse anche per l'Europa.
All'inizio degli anni '90 sembrava essersi costituito un solido asse franco-tedesco, che si assunse il ruolo di leadership nel nuovo ed ipotetico business della moneta unica europea alternativa al dollaro. La sinergia tra la potenza nucleare francese e la potenza finanziaria tedesca avrebbe dovuto costituire la base di un nuovo equilibrio planetario del dopo-guerra fredda. Alla metà degli anni '90 circolava infatti, in parte della sinistra comunista, l'espressione "imperialismo europeo", a significare questo apparente ruolo di nuovo dominio finanziario della UE a guida franco-tedesca.
Il primo Paese ad adottare l'euro, al posto del dollaro, come moneta di pagamento del petrolio, era stato l'Iraq di Saddam Hussein, che però venne immediatamente invaso dagli Stati Uniti nel 2003. Gli USA avevano quindi lasciato istituire l'euro in base ad una semplice valutazione: i vincoli finanziari imposti dalla moneta unica avrebbero ostacolato lo sviluppo economico dell'Unione Europea, la quale, al momento di andare a riscuotere i vantaggi dell'euro come moneta di pagamento alternativa, si sarebbe trovata di fronte all'alt imposto di forza dagli stessi Stati Uniti.
Finché il presidente francese è stato Chirac, la Francia ha cercato di contrastare la pretesa statunitense di non rispettare gli accordi presi in sede WTO; e vi sono tracce di questo contrasto nella propaganda del cinema americano dei primi anni 2000, dove il personaggio del cattivo o dell'antipatico era spesso un francese. Con la presidenza Sarkozy invece il calo di brache nei confronti degli Stati Uniti è stato totale, al punto che la Francia ha accettato persino di farsi reintegrare a tutti gli effetti nella NATO.
Anche il governo tedesco della Merkel ha accondisceso a questa situazione di sudditanza, accompagnata peraltro da molti privilegi per le multinazionali tedesche; così che il mitico asse franco-tedesco si è praticamente spappolato. Oggi Paesi come l'Italia o la Spagna potrebbero anche chiedere conto a Germania e Francia di questa loro ignominiosa ritirata, e quindi dell'essere stati trascinati in un'impresa senza più vantaggi come l'euro, fonte soltanto di vincoli finanziari, che hanno di fatto trasformato l'Europa in una colonia del Fondo Monetario Internazionale; il quale, guarda caso, ha la sua sede centrale a Washington.
Si è verificato infatti negli anni un rovesciamento della funzione dell'euro: da business monetario che era, oggi è diventato un mero vincolo di "stabilità finanziaria", ricalcato sui moduli da sempre imposti al terzo mondo dal FMI. L'Europa viene cioè "terzomondizzata" tramite lo strumento dell'euro, e diventa una terra di conquista per i business della povertà come il finanziamento ai consumi, con la conseguente spoliazione del ceto medio. I Paesi europei ad economia più debole non possono più svalutare le loro monete per sostenere le esportazioni, mentre i titoli di Stato di questi stessi Paesi sono vittima delle speculazioni dei cosiddetti "Mercati", pseudonimo che indica in realtà le agenzie di rating, anch'esse, per pura coincidenza, tutte statunitensi. Le provocazioni delle agenzie di rating possono mettere in ginocchio la finanza pubblica degli Stati, e non in base a cause economiche oggettive, ma per i vincoli finanziari che gli stessi Stati hanno accettato di imporsi.
Ma Italia e Spagna non possono chiedere conto a Francia e Germania della loro ignominiosa ritirata, perché quella stessa ritirata l'hanno iniziata proprio Italia e Spagna. Nel 2003 l'Italia del governo Berlusconi e la Spagna del governo Aznar furono infatti le prime a rompere la solidarietà europea, avallando l'invasione statunitense dell'Iraq. Quindi nessuno ha le carte in regola per poter criticare gli altri, a meno di non cominciare facendo autocritica seria sul proprio passato, qualcosa cioè che non è alla portata di un ceto politico colonizzato come il nostro.
Nessun commentatore dei media italiani ha poi sottolineato che, mentre Tremonti presentava la sua proposta degli Eurobond in sede europea, intanto il governatore della Banca d'Italia, Draghi, criticava e screditava pubblicamente la stessa proposta. In questo caso l'irritualità dell'intervento di Draghi è stata stridente. Un governatore della Banca d'Italia può rivendicare l'autonomia della propria posizione di fronte al governo quando si tratti di questioni interne; ma se lo stesso governo è impegnato in una trattativa internazionale, allora non c'è autonomia che tenga. Un governatore della Banca d'Italia non può dire agli altri governi che il suo ministro dell'Economia è uno che parla a vanvera; non lo può dire neppure se, come in questo caso, è palesemente vero. Se poi Tremonti stava cercando di scaricare le responsabilità per un'eventuale prossima liquidazione della moneta unica (in Francia ormai se ne discute apertamente), tanto più Draghi non poteva scaricare le colpe per intero sul proprio Paese, se non altro per non fornire altri pretesti speculativi alle agenzie di rating.
Draghi è il primo governatore della Banca d'Italia ad essere stato nominato dal governo invece che per nomina interna. Fu il precedente governo Berlusconi a metterlo lì cinque anni fa, dopo la misera caduta del governatore Fazio. Nemmeno per un attimo però l'attuale governo ha pensato di richiamare Draghi all'ordine, dato che Berlusconi ha ben altri pensieri, come quello di sopravvivere ogni giorno alle proprie stupidaggini del giorno prima.
Il presidente della Repubblica Napolitano, con il pretesto ridicolo della "ineludibilità" dell'approvazione della Legge di Stabilità finanziaria (ma non è già istituzionalmente previsto l'Esercizio Provvisorio in caso di mancata approvazione della Legge Finanziaria?), ha offerto a Berlusconi un mese di tempo per ricomprarsi i voti di maggioranza; voti che alla fine sono stati molti di meno di quanto fosse logico prevedere in base ai mezzi messi in campo. A quanto pare, anche come corruttore, Berlusconi risulta piuttosto incapace.
Adesso Napolitano difende Berlusconi persino dal pericolo di essere cacciato con elezioni anticipate. Qualcuno ricorderà un episodio del 1994, quando Berlusconi alla Camera scese dal suo scranno di Presidente del Consiglio per andare a scambiarsi con Napolitano una sorta di stretta di mano massonica davanti alle telecamere.
La scelta di Napolitano è in sintonia con gli interessi dei potentati finanziari internazionali, che sembrano preferire un'Italia con una leadership paralizzata, autodelegittimata e internazionalmente isolata, e perciò priva di qualsiasi potere contrattuale in sede europea. Nell'eventualità che Berlusconi cadesse, i partiti di "opposizione" avevano già in cantiere per il nuovo governo una manovra finanziaria di "lacrime e sangue", ma ciò non è bastato perché il FMI si fidasse di loro. Il fatto che oggi il FMI non si fidi neppure dei vari Fini, Bersani o Casini - forse perchè apparentemente capaci di intendere e di volere -, e preferisca ancora puntare su un palese inetto come Berlusconi, costituisce da parte dello stesso FMI un segnale di grave insicurezza, su cui si dovrebbe riflettere.
Nell'agosto ultimo scorso in Europa si è verificato un fatto nuovo e inaspettato, su cui i media tacciono rigorosamente. In Ungheria un governo di centro-destra, che era ritenuto di salda obbedienza al FMI, il governo Orban, è riuscito invece a cacciare dal proprio Paese il FMI senza colpo ferire. L'Ungheria ha ancora la sua moneta nazionale e ciò può averla favorita, ma è pur sempre occupata da basi militari NATO e USA. Il problema è vedere quanto queste basi militari siano oggi realmente operative dopo il processo di privatizzazione delle proprie forze armate attuato negli anni scorsi dagli USA.
Meno male che ci sono rimasti i pacchi bomba, altrimenti il governo non avrebbe più nulla con cui trastullarsi e di cui chiacchierare. Poco prima di natale infatti Sergio Marchionne, "director" di Philip Morris ed anche Amministratore Delegato della FIAT, ha siglato un "accordo", insieme con le organizzazioni sindacali alle sue dipendenze, per attuare una nuova disciplina delle relazioni industriali in Italia, il tutto su base extra-legale, anzi illegale: in pratica un colpo di stato. L'estromissione della FIOM dalla rappresentanza sindacale rappresenta l'effetto più vistoso del cosiddetto accordo, ma le conseguenze più rilevanti riguardano la totale delegittimazione sia del governo come istituzione, sia del ruolo dell'associazionismo imprenditoriale, a cominciare da Confindustria.
Grazie al precedente di questo "accordo" di Mirafiori, in futuro potrebbe persino considerarsi depenalizzato il racket delle estorsioni sulle piccole/medie imprese, dato che, senza contratto collettivo e senza criteri di rappresentatività sindacale, nulla più impedirà che le organizzazioni criminali possano agire sotto la copertura di sigle sindacali di comodo per ricattare i piccoli/medi imprenditori, i quali saranno così ancora più facile preda delle sirene che gli prospettano l'approdo nel "paradiso" delle delocalizzazioni.
Nel mondo della piccola/media impresa italiana già la gran parte dei lavoratori si trova praticamente senza garanzie e senza diritti, con imprese che nascono e muoiono in brevi archi di tempo, spesso lasciando i dipendenti con mesi di salario non percepiti. Non si trattava quindi di colpire diritti del lavoro che ormai non esistono più, ma di cancellare il quadro delle relazioni industriali della piccola/media impresa, per attuare più agevolmente le delocalizzazioni, cioè la rapina coloniale del patrimonio di impianti e tecnologie, oltre che di immobili, che la piccola/media impresa italiana detiene.
Che il business delle delocalizzazioni nell'Europa dell'Est sia gestito proprio dalla cordata guidata dalla multinazionale Philip Morris, di cui Marchionne è "director", costituisce ovviamente una pura coincidenza. Quel propagandista ufficiale degli interessi delle multinazionali che è il senatore del PD Pietro "Inchino", ci aveva spiegato che i lavoratori di Pomigliano dovevano scegliere fra Marchionne e la camorra, ma non ci aveva detto che Marchionne e camorra erano la stessa cosa. Del resto i rapporti stabili ed organici della Philip Morris con le organizzazioni malavitose sono documentati, ed agli atti del Parlamento italiano, nella Relazione della Commissione Antimafia del marzo 2001.
http://www.publicintegrity.org/investigations/tobacco/assets/pdf/Antimafia%20Tobacco%20final%20report%20Mantovano%20March%2001.pdf
Il "paradiso" delle delocalizzazioni quindi è tale solo per la Philip Morris, dato che per i piccoli/medi imprenditori si tratta di trovarsi completamente legati mani e piedi al carro controllato da questa multinazionale del crimine organizzato.
Il ministro del Welfare (?) Sacconi si è trovato ovviamente scavalcato e delegittimato dal cosiddetto accordo di Mirafiori, dato che doveva presentare lui un DDL sulla questione. Dopo alcuni giorni di imbarazzato silenzio, Sacconi si è accodato al plauso di Berlusconi all'accordo, aggiungendosi anche lui alla claque entusiastica che accompagna Marchionne nelle sue gesta. Insomma, Sacconi si è adeguato in pieno al punto di vista delle multinazionali.
Ma Berlusconi è giustificato dal fatto di essere fuori di testa, mentre Sacconi ha dovuto fare sfacciatamente finta di ignorare che il Prodotto Interno Lordo in Italia non lo fa la FIAT, ma le imprese piccole e medie, che ora si trovano polverizzate nei loro rispettivi territori a dover affrontare pericoli ignoti. Chi governa sulle relazioni industriali, governa anche sul PIL, quindi sull'economia e, in definitiva, sul Paese. Il vero governo oggi in Italia è Marchionne, o meglio, la Philip Morris.
La Philip Morris già dominava su Roma, tramite il "sindaco" Gianni Alemanno, il quale, all'epoca in cui era stato ministro dell'Agricoltura, aveva svolto il ruolo di uomo di fiducia della multinazionale, al punto che la Coldiretti è stata vincolata, per pochi spiccioli, ad una serie di accordi-capestro con la stessa Philip Morris; accordi che sono diventati anche il pretesto per il governo per elargire favori alla multinazionale sul prezzo delle sigarette.
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:jATDnkbdAhwJ:yesmoke.eu/it/blog/gianni-alemanno-coglione/+alemanno+philip+morris&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it
http://www.affaritaliani.it/roma/aurelio_regina_grande_tessitore_di_roma_personaggio250510.html
Dopo l'agricoltura italiana e dopo la Capitale, adesso l'ultimo regalo di natale per Philip Morris è stato il controllo sulla piccola/media impresa italiana. Il solito Pietro "Inchino" ci aveva anche raccontato che le multinazionali non vengono ad "investire" in Italia per colpa dei troppi diritti del lavoro. Invece le multinazionali come la Philip Morris si sono già insediate in Italia da parecchi anni, ovviamente non per "investire" (cosa che non fanno mai da nessuna parte), ma per rapinare.
Per dimostrare di avere ancora uno scopo nella vita, Sacconi è andato a prendersela con i genitori italiani, colpevoli secondo lui di voler far laureare i figli, invece di fargli imparare un mestiere. Anche Sacconi vorrebbe "liquidare il '68", come la Gelmini; ma in realtà l'Università semi-gratuita e di massa era già stata congedata silenziosamente venti anni fa, quindi questi sono i soliti slogan che dimostrano che l'intero governo ufficiale è diventato solo una sorta di sotto-ministero della Provocazione/Confusione, un'agenzia che ha l'esclusivo compito di produrre fumo mediatico, mentre il governo vero, quello delle multinazionali, pensa ad organizzare il business.
In silenzio invece è rimasto per lungo tempo il Partito Democratico, che aveva accondisceso al diktat di Marchionne a Pomigliano, a patto che non costituisse un "modello", ed invece l'accordo-Mirafiori ha superato di gran lunga il cosiddetto "modello". Il segretario del PD, Bersani, non è completamente ottenebrato come i Veltroni e i Fassino, e probabilmente si rende conto delle conseguenze che l'accordo di Mirafiori comporterà per le sue dilette piccole/medie imprese, se non altro perché glielo ha in parte spiegato il sociologo Luciano Gallino sulle colonne de "La Repubblica". http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:bMkEmVXfz-0J:www.repubblica.it/economia/2010/12/24/news/commento_gallino-10558506/+luciano+gallino+accordo+mirafiori+marchionne&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it
Bersani ha paventato un effetto a valanga e la prospettiva di una disarticolazione di tutto il sistema delle relazioni industriali in Italia, ma poi non ha trovato di meglio che invocare la solita "riforma". Una "riforma" per rispondere ad un colpo di Stato? Bah!
L'aspetto paradossale della vicenda è che oggi la FIOM si trova oggettivamente a svolgere un ruolo nazionale di difesa del sistema industriale italiano nel suo complesso contro la rapina coloniale; e ciò senza che la Confindustria, e neppure la Confapi, se ne dimostrino consapevoli, guidate come sono sempre e soltanto dall'odio di classe contro il lavoro. Sarebbe quindi ingenuo da parte di Cremaschi e della Camusso continuare a fare appello alla dignità, al senso di responsabilità nazionale, al rispetto della legalità da parte delle associazioni imprenditoriali, dato che quelli sono tutti concetti che il padronato non può neanche sapere dove stiano. La destra intende il concetto di "ordine" in senso del tutto pre-legale e addirittura pre-civile: "ordine" solo nel senso che i padroni devono fare i padroni ed i servi devono rimanere servi.
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