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"Le decisioni del Congresso Generale saranno obbligatorie solo per le federazioni che le accettano."

Congresso Antiautoritario Internazionale di Ginevra, 1873
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 03/12/2009 @ 01:28:30, in Commentario 2009, linkato 1921 volte)
La settimana scorsa la Lega Nord ha condotto in parlamento una messinscena che gli è consueta: una proposta di legge che poneva illegittimamente dei limiti temporali alla possibilità per i lavoratori immigrati di accedere alla cassa integrazione, è stata successivamente ritirata dalla stessa Lega dopo le prevedibili reazioni contrarie e le rituali accuse di razzismo. La Lega Nord ha comunque incassato il risultato che si proponeva: farsi passare come la sola forza politica che si oppone all’ondata migratoria, anche se talvolta deve arrendersi davanti alle schiere dei cultori della “accoglienza”.
È un gioco delle parti ormai annoso, in cui tutti gli attori hanno le proprie battute assegnate in anticipo, in cui la lega ha sempre buon gioco, poiché la vecchia obiezione che “anche gli Italiani sono stati emigranti” comincia a perdere colpi, in conseguenza dell’ovvia osservazione che gli emigranti italiani non avevano mai potuto beneficiare di alcuna pratica di “accoglienza”. Lo stesso vale per l’altra obiezione, secondo la quale “gli immigrati svolgono i lavori che gli Italiani non vogliono più fare”, dato che risulta ora evidente che la concorrenza fra residenti e immigrati si verifica sulle stesse offerte di lavoro; ormai la concorrenza è persino fra accattoni residenti ed accattoni immigrati. Inoltre intere zone industriali storiche del settore tessile sono passate in pochi anni sotto il controllo cinese: per il caso di San Giuseppe Vesuviano si può dare la colpa alla solita camorra, ma per Prato come lo si spiega?
L’antirazzismo intanto arretra sul terreno della propaganda, poiché diviene sempre più esigente, sino a pretendere di imporre come norma sociale una generosità spinta agli estremi dell’eroismo, e la pretesa di educare e correggere diviene spesso incentivo a reazioni più scomposte e sguaiate di prima. Sono reazioni scontate, poiché l’educazionismo progressista è diventato una sorta di criminalizzazione della società, che risulterebbe composta da xenofobi, omofobi, bulli, stupratori - singoli o in branco -, pedofili, camorristi, ecc. ecc., tutti da redimere e ricondurre al retto pensiero. Per fortuna pare che ci siano molti che si fanno carico di ricoprire più ruoli, altrimenti il numero di soggetti da redimere supererebbe quello degli abitanti del pianeta. Purtroppo questa contrapposizione propagandistica tra buonismo e cattivismo crea due alternative fittizie, che riconducono entrambe alla rappresentazione ufficiale.
Il problema è che questa rappresentazione poggia tutta su un falso, cioè sull’immagine di un fenomeno migratorio sostanzialmente spontaneo, dovuto a una somma di scelte individuali dettate dal bisogno, che poi assume dimensioni di massa. In tal modo si fa perdere di vista il rapporto consequenziale tra finanziarizzazione ed emigrazione. Non si emigra volontariamente, per quanto sotto l’urgenza del bisogno, ma perché si è indebitati e bisogna pagare il debito contratto in patria con agenzie finanziare di credito ai consumi. Non si emigra perché si è poveri, ma perché si è poveri e indebitati, e perché lo stesso creditore ti pone come soluzione, per riuscire a pagare il debito, la “scelta” dell’emigrazione.
L’immagine dei Paesi sottosviluppati che viene fatta passare agli occhi dell’opinione pubblica è quella di un mondo tradizionale e ancorato a forme arretrate di produzione; quindi un falso sul falso, dato che quasi ovunque sono i gruppi affaristici multinazionali ad imporre le regole del commercio, della produzione e della finanza. Il Fondo Monetario Internazionale ordina ai governi di comprimere il costo del lavoro e lasciar entrare le agenzie finanziarie di credito al consumo, in modo che i lavoratori, per poter accedere anche a consumi essenziali, siano costretti ad indebitarsi. Qualunque governo cerchi di sottrarsi alle imposizioni del FMI, finisce immancabilmente nella lista dei Paesi sotto sanzioni economiche e nel mirino delle Organizzazioni Non Governative per la difesa dei diritti umani (i diritti umani delle multinazionali, ovviamente). La finanziarizzazione dei consumi, cioè la sostituzione del salario con il credito, dimostra che per il sedicente "capitalismo" - in realtà affarismo criminale assistito dallo Stato - la miseria non è uno spiacevole effetto collaterale, ma un obiettivo preciso, uno schema fisso e ricorrente, poiché lo sfruttamento della povertà costituisce il più comodo e sicuro dei business.
Anche in Italia questo quadro di indebitamento a tappeto della popolazione è diventato familiare, ed accade oggi ciò che solo dieci anni fa appariva impensabile, cioè risultano indebitati con le agenzie finanziarie persino i titolari di pensioni sociali.
Un altro falso, ancora più insidioso, riguarda le effettive modalità dell’ingresso dei clandestini, legate nell’immaginazione comune a quella crudele, e spesso cruenta, rappresentazione delle barche di disperati che cercano di giungere in territorio italiano. Centinaia di persone sono mandate allo sbaraglio, e talvolta sacrificate, per alimentare l’inganno contenuto nelle dichiarazioni ufficiali, che cercano di far credere che le autorità contrastino le orde dei disperati del mondo che bussano alla porta del “florido” Occidente. Ancora una volta si deve constatare che l’immigrazione cinese non corrisponde a questo schema narrativo, dato che è palese che i cinesi non siano entrati in barca e ce ne siano molti di più di quanto i visti turistici possano giustificare; ma la spiegazione sinora non è mai andata oltre la barzelletta secondo cui i cinesi non muoiono mai.
Da tempo in realtà si è consapevoli che gli immigrati non sbarcano sulle spiagge italiane, ma entrano per gli scali dei porti, passando per le banchine soggette a servitù militare NATO o USA, quindi sotto la copertura del segreto militare. Nel Porto di Napoli più della metà delle banchine sono sotto la giurisdizione statunitense, che, in base ai Trattati, non deve rendere conto all’autorità italiana. Del resto il controllo di tante banchine da parte della U.S. Navy non ha alcuna giustificazione militare, e costituirebbe un costoso nonsenso se non vi fossero i traffici illegali - eroina, cocaina, immigrati - a motivare il tutto. Negli anni ’70 e ’80, prima dell’abolizione del monopolio statale dei tabacchi, da quelle stesse banchine del Porto di Napoli transitavano migliaia di tonnellate di sigarette di contrabbando: anche allora, per dissimulare la verità, si era messa in piedi la leggenda dei motoscafi blu dei contrabbandieri di Santa Lucia, di cui si narrava che sfidassero le onde per andare a fare carico presso navi ancorate al largo, oltre le acque territoriali. In quel periodo i gruppi dell’Autonomia Operaia avevano elevato i contrabbandieri al rango di moderni Robin Hood, in nome del mito di una illegalità che sorge dal basso per contrastare l’ordine costituito dei potenti e dei benpensanti. In realtà i veri benpensanti erano quelli dell’Autonomia Operaia, che non riuscivano ad immaginare che l’illegalità su larga scala la possono organizzare solo i potenti.
È bastato alla propaganda ufficiale presentare la cosiddetta “globalizzazione” come una “nuova sfida” perché gran parte del mondo “progressista” si calasse le brache, ritenendo proprio dovere non sottrarsi al confronto con la presunta novità. Sennonché l’attuale sistema del commercio internazionale “globale” si fonda sullo stesso assetto giuridico su cui sono nate le prime Compagnie Commerciali Privilegiate agli inizi del ‘600, in cui i trattati commerciali coprivano la realtà del monopolismo commerciale con fittizi slogan sul libero scambio, ed in cui i governi “occidentali” offrivano alla pirateria ed alla tratta degli schiavi sia patenti che coperture legali, e persino esenzioni fiscali. Il rilancio in grande stile del traffico degli esseri umani è appunto un ritorno ai tempi più bui delle Compagnie Commerciali, che sono le antenate delle attuali Multinazionali, specializzate da sempre in questa commistione di legalità ufficiale e illegalità sostanziale.
Il mito fuorviante dell’illegalità che sorgerebbe dal basso, trasforma invece l’attuale immigrato clandestino in un soggetto che, per quanto disperato, sarebbe comunque dotato di un alone trasgressivo, un mito che copre la sua reale condizione di deportato e di sequestrato a "piede libero", privato dei documenti e quindi controllabile in ogni momento dai trafficanti. Se la Lega Nord volesse davvero limitare l’immigrazione illegale, si batterebbe per la regolarizzazione immediata dei clandestini; una regolarizzazione che li sottrarrebbe al controllo delle organizzazioni del traffico di esseri umani, e darebbe loro anche la concreta possibilità di un ritorno in Patria. Ma la Lega Nord non vuole affatto questo, anzi usa la propaganda xenofoba come una forma di terrore per tenere vincolati gli immigrati alle organizzazioni che li sfruttano. È quindi una xenofobia in funzione dell’affarismo criminale.
La libertà della “Padania” non prevede infatti che questa sia liberata dalle basi militari straniere, che occupano il territorio usandolo per ogni tipo di traffico illegale, compreso quello degli immigrati clandestini.
 
Di comidad (del 10/12/2009 @ 01:49:06, in Commentario 2009, linkato 1571 volte)
Che la “damnatio memoriae” del comunismo proceda di pari passo con le privatizzazioni è diventato ormai evidente. Oggi gli Italiani vengono chiamati davanti alla tv a versare lacrime sul “sangue dei vinti”, cioè sui poveri fascisti massacrati dai partigiani comunisti, così da non badare al fatto che intanto le multinazionali sono calate in Italia per vampirizzarci l’acqua. La Resistenza viene criminalizzata e diventa mera “guerra civile”, un volgare prodromo degli “anni di piombo”. Questa denuncia della “guerra civile" però non viene fatta per giungere ad una riconciliazione nazionale, bensì per creare un clima di psico-guerra civile, utile all’invasione coloniale delle multinazionali anglo-americane, che stavolta non vengono a “liberarci” dal nazifascismo, ma dagli ultimi scampoli di economia pubblica.
Mentre la propaganda ufficiale spreme le lacrime dei lettori e dei telespettatori, lo Stato si incarica di spremere il contribuente, perché le privatizzazioni costano, e non si può pretendere certo che sia il privato a pagare di tasca propria, ma è la spesa pubblica a dover finanziare, come sempre, l’affarismo privato. L'affarista privato viene protetto e vezzeggiato da uno Stato papà premuroso, che agevola ogni suo passo. La vicenda dell'avvento del digitale terrestre costituisce solo l'ultimo episodio di questa pratica di assistenzialismo per ricchi: una tecnologia rigida e farraginosa, incapace di affermarsi con le sue gambe, è stata imposta per legge attraverso l'eliminazione forzata della tecnologia alternativa, l'analogico, che era semplice, efficace, ma con il torto imperdonabile di essere meno costosa per il telespettatore, che ora dovrà invece pagare ogni passo che penserà di compiere nel nuovo territorio.
A coloro che si lamentassero di questo assistenzialismo dello Stato che va tutto a favore dei ricchi, la tv di Stato ha appena dedicato “Le vite degli altri”, un film sui crimini della STASI, la famigerata polizia segreta della Germania Est, in modo da ammonire i telespettatori su come vada a finire male il sogno utopico di un assistenzialismo a favore dei poveri. Alla fine degli anni ’70, in Gran Bretagna, il primo ministro Thatcher rilanciava in grande stile l’assistenzialismo per ricchi e, contemporaneamente, in Francia i “nuovi filosofi” Bernard Henry Levy ed Andrè Glucksmann si dedicavano a far passare nella opinione pubblica l’equazione tra comunismo e gulag, in modo da suggerire che opporsi al sedicente “liberismo” - cioè assistenzialismo statale a favore dell’affarismo privato - fosse un atto foriero di inevitabili esiti criminali e totalitari. In tal modo l’unico totalitarismo lecito è rimasto quello degli affari.
Ai nostri giorni Giampaolo Pansa se la prende con i “Gendarmi della Memoria”, in modo però che lui possa privatizzare anche la memoria. È un falso revisionismo storico che avalla una documentazione storica incerta a proposito delle vittime fasciste del dopo 25 aprile, ma sorvola su fatti accertati, come il massacro dei soldati italiani prigionieri nel 1943 a Gela, da parte delle truppe statunitensi comandate dal generale Patton. Il “peso” dei morti quindi varia a seconda della loro utilità per la causa delle privatizzazioni.
La dignità dei morti è subordinata alle esigenze dell’affarismo, perciò Guido Rossa, operaio dell’Italsider di Genova, è onorato dalla propaganda ufficiale come eroe e come vittima del terrorismo, ma solo perché il suo assassinio è stato strumentalizzato sia per la nobile causa della privatizzazione della siderurgia italiana, sia per avviare alla FIAT di Mirafiori la epurazione degli operai in grado di organizzare la resistenza alla ondata di licenziamenti programmata per il 1980.
La FIAT poté attuare il suo programma di licenziamenti grazie ai finanziamenti statali stanziati a suo favore dalla legge sulla riconversione industriale - sessantamila miliardi di lire dell’epoca -, che fu votata in parlamento anche dal Partito Comunista, sia perché questo voleva mostrarsi “maturo” per governare, sia perché la stessa legge prevedeva qualche sussidio anche per la Lega delle Cooperative. Mentre alla fine degli anni ’70 lo Stato finanziava con il denaro pubblico non i posti di lavoro, ma i futuri licenziamenti, su alcune riviste rivoluzionarie si discuteva di argomenti di sconcertante concretezza come la “sussunzione del capitale”, a dimostrazione che, tra le tanti protezioni di cui gode l'affarismo privato, c'è anche questo alone mitologico, che impedisce di notare dettagli volgari come la totale dipendenza dell'affarismo privato dal denaro pubblico.
Nel frattempo la prestigiosa redattrice del “Il Manifesto”, Rossana Rossanda, ci garantiva che l’assassinio di Rossa è stato una storia tutta italiana, sebbene sia andato a favore di multinazionali tedesche come la Thyssenkrupp. Anche il fatto che Guido Rossa si sia riadattato da operaio a sbirro per obbedire alle indicazioni di un dirigente del Partito Comunista di allora, tale Giuliano Ferrara - che si sarebbe poi confessato agente della CIA -, è tutta una pura coincidenza. Secondo la Rossanda infatti il terrorismo fa parte dell’album di famiglia del comunismo, perciò è come se Rossa l’avesse ucciso la zia. Le vittime del presunto terrorismo rosso possono essere considerate “morti pesanti”, perché sono utili per le privatizzazioni, ma, per una sorta di proprietà transitiva, chi saccheggia il denaro pubblico per attuare privatizzazioni, può già fregiarsi del titolo di vittima del terrorismo, anche se è ancora vivo. È il caso del ministro Brunetta, che sta appaltando a ditte private tutti i servizi della Pubblica Amministrazione e, per questo motivo, si è ritenuto degno di auto-consegnarsi, come onorificenza, una busta con dentro una pallottola: vittima del terrorismo ad honorem.
Di recente anche un redattore de “Il Giornale” aveva pensato bene di spedirsi da solo una lettera di minacce brigatistiche, ma la Digos lo ha sputtanato immediatamente con una perizia calligrafica, forse perché quel redattore non aveva acquisito ancora meriti sufficienti sul campo delle privatizzazioni. Al contrario, il professor Pietro Ichino, che tanto ha fatto con i suoi articoli e i suoi libri per favorire una privatizzazione dei servizi del Pubblico Impiego, ha potuto essere nominato dai media vittima del terrorismo ad honorem senza aver dovuto spedirsi lettere di minaccia da solo, anzi, senza aver ricevuto nessuna minaccia da chicchessia. Nel caso di Ichino le minacce terroristiche sono state considerate dai media come implicite e scontate: le minacce è come se ci fossero, perché non potrebbero non esserci. Anche Giampaolo Pansa ha potuto girare scortato per mesi dalle Forze dell’Ordine in base ad un sillogismo analogo, sebbene non lo avesse minacciato nessuno, anzi, proprio perché non l'aveva minacciato nessuno, a riprova che la minaccia era più oscura e incombente che mai.
Nella recente vicenda della richiesta di estradizione del presunto lottarmatista Cesare Battisti dal Brasile, il più fermo tra i partiti di “opposizione” nel pretendere l’estradizione dal governo brasiliano, è stato l’Italia dei Valori. Anche qui sarà solo una coincidenza, ma nella scorsa legislatura fu proprio il voto contrario dell’Italia dei Valori ad impedire in parlamento lo scioglimento della società per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, gestita da una delle aziende edilizie che si sono sempre distinte nel saccheggio del pubblico denaro e nella privatizzazione dei patrimoni immobiliari pubblici, la mitica multinazionale Impregilo. In attesa della costruzione dell'improbabile ponte, la società costituita all'uopo consente intanto all'Impregilo di appropriarsi di ingenti quote di denaro pubblico e di grosse fette del patrimonio immobiliare statale e comunale della Sicilia e della Calabria. A suo tempo Antonio Di Pietro chiese pubblicamente scusa per la marachella del voto pro-Impregilo, ma il punto non è stabilire se si sia trattato di errore in buona fede o meno, poiché l'episodio rimarrebbe comunque indicativo di quali siano le reali priorità dell'Italia dei Valori. Se si fosse trattato di votare contro Battisti, una svista del genere sarebbe stata impensabile.
Il comportamento dell'IdV è del tutto analogo a quello del quotidiano "La Repubblica", il quale dedicava il titolone di prima pagina al caso Battisti, sebbene il giorno prima il parlamento avesse privatizzato l'acqua, a conferma del fatto che all'affarismo si possono rivolgere rimproveri morali, ma solo il terrorismo può suscitare orrore. Il prossimo 12 dicembre ricorrerà il quarantennale della strage di Piazza Fontana, che rappresenta un paradigma significativo dei criteri di indignazione morale del sistema mediatico. I toni di indignazione sono stati enfatizzati finché il colpevole da additare era l'anarchico Valpreda; i toni sono invece diventati più sommessi e distratti quando i colpevoli si sono rivelati come parti dell'apparato dello Stato. La strage di Piazza Fontana torna infatti all'attenzione dei media solo quando qualcuno rilancia l'ipotesi della colpevolezza di Valpreda o addirittura di Pinelli, a riscontro del principio che la indignazione per i morti ammazzati deve scattare solo se dietro la violenza si suppone un movente contrario al sistema degli affari. Infatti le stragi di mafia dell'inizio degli anni '90 sono state "storicizzate" e private di ogni pathos nella rievocazione, e la collaborazione tra Stato e mafia è oggetto di discussioni magari preoccupate, ma con toni prudenti e pacati. Ancora una volta viene da fare il confronto con la furia astiosa con cui i media e i partiti hanno trattato invece, e negli stessi giorni, il caso Battisti.
Il terrorismo è solo un fantasma mediatico, e, come opzione pratica di opposizione dal basso, risulta assolutamente inaccessibile, poiché ormai tutti sanno che qualsiasi formazione di lotta armata non può sfuggire all'infiltrazione poliziesca, sino al punto di diventarne un utile strumento di provocazione. Il demone del terrorismo è quindi solo la caricatura di qualsiasi istanza comunista o anticolonialista che possa, anche solo ipoteticamente, disturbare il sistema degli affari, autoconsacratosi e autodivinizzatosi con i suoi vari pseudonimi mitologici: Mercato, Capitalismo, Occidente, cioè la nuova Santa Trinità.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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