IL LEGHISTA NON È XENOFOBO CON LE BASI U.S.A.
La settimana scorsa la Lega Nord ha condotto in parlamento una messinscena che gli è consueta: una proposta di legge che poneva illegittimamente dei limiti temporali alla possibilità per i lavoratori immigrati di accedere alla cassa integrazione, è stata successivamente ritirata dalla stessa Lega dopo le prevedibili reazioni contrarie e le rituali accuse di razzismo. La Lega Nord ha comunque incassato il risultato che si proponeva: farsi passare come la sola forza politica che si oppone all’ondata migratoria, anche se talvolta deve arrendersi davanti alle schiere dei cultori della “accoglienza”.
È un gioco delle parti ormai annoso, in cui tutti gli attori hanno le proprie battute assegnate in anticipo, in cui la lega ha sempre buon gioco, poiché la vecchia obiezione che “anche gli Italiani sono stati emigranti” comincia a perdere colpi, in conseguenza dell’ovvia osservazione che gli emigranti italiani non avevano mai potuto beneficiare di alcuna pratica di “accoglienza”. Lo stesso vale per l’altra obiezione, secondo la quale “gli immigrati svolgono i lavori che gli Italiani non vogliono più fare”, dato che risulta ora evidente che la concorrenza fra residenti e immigrati si verifica sulle stesse offerte di lavoro; ormai la concorrenza è persino fra accattoni residenti ed accattoni immigrati. Inoltre intere zone industriali storiche del settore tessile sono passate in pochi anni sotto il controllo cinese: per il caso di San Giuseppe Vesuviano si può dare la colpa alla solita camorra, ma per Prato come lo si spiega?
L’antirazzismo intanto arretra sul terreno della propaganda, poiché diviene sempre più esigente, sino a pretendere di imporre come norma sociale una generosità spinta agli estremi dell’eroismo, e la pretesa di educare e correggere diviene spesso incentivo a reazioni più scomposte e sguaiate di prima. Sono reazioni scontate, poiché l’educazionismo progressista è diventato una sorta di criminalizzazione della società, che risulterebbe composta da xenofobi, omofobi, bulli, stupratori - singoli o in branco -, pedofili, camorristi, ecc. ecc., tutti da redimere e ricondurre al retto pensiero. Per fortuna pare che ci siano molti che si fanno carico di ricoprire più ruoli, altrimenti il numero di soggetti da redimere supererebbe quello degli abitanti del pianeta. Purtroppo questa contrapposizione propagandistica tra buonismo e cattivismo crea due alternative fittizie, che riconducono entrambe alla rappresentazione ufficiale.
Il problema è che questa rappresentazione poggia tutta su un falso, cioè sull’immagine di un fenomeno migratorio sostanzialmente spontaneo, dovuto a una somma di scelte individuali dettate dal bisogno, che poi assume dimensioni di massa. In tal modo si fa perdere di vista il rapporto consequenziale tra finanziarizzazione ed emigrazione. Non si emigra volontariamente, per quanto sotto l’urgenza del bisogno, ma perché si è indebitati e bisogna pagare il debito contratto in patria con agenzie finanziare di credito ai consumi. Non si emigra perché si è poveri, ma perché si è poveri e indebitati, e perché lo stesso creditore ti pone come soluzione, per riuscire a pagare il debito, la “scelta” dell’emigrazione.
L’immagine dei Paesi sottosviluppati che viene fatta passare agli occhi dell’opinione pubblica è quella di un mondo tradizionale e ancorato a forme arretrate di produzione; quindi un falso sul falso, dato che quasi ovunque sono i gruppi affaristici multinazionali ad imporre le regole del commercio, della produzione e della finanza. Il Fondo Monetario Internazionale ordina ai governi di comprimere il costo del lavoro e lasciar entrare le agenzie finanziarie di credito al consumo, in modo che i lavoratori, per poter accedere anche a consumi essenziali, siano costretti ad indebitarsi. Qualunque governo cerchi di sottrarsi alle imposizioni del FMI, finisce immancabilmente nella lista dei Paesi sotto sanzioni economiche e nel mirino delle Organizzazioni Non Governative per la difesa dei diritti umani (i diritti umani delle multinazionali, ovviamente). La finanziarizzazione dei consumi, cioè la sostituzione del salario con il credito, dimostra che per il sedicente "capitalismo" - in realtà affarismo criminale assistito dallo Stato - la miseria non è uno spiacevole effetto collaterale, ma un obiettivo preciso, uno schema fisso e ricorrente, poiché lo sfruttamento della povertà costituisce il più comodo e sicuro dei business.
Anche in Italia questo quadro di indebitamento a tappeto della popolazione è diventato familiare, ed accade oggi ciò che solo dieci anni fa appariva impensabile, cioè risultano indebitati con le agenzie finanziarie persino i titolari di pensioni sociali.
Un altro falso, ancora più insidioso, riguarda le effettive modalità dell’ingresso dei clandestini, legate nell’immaginazione comune a quella crudele, e spesso cruenta, rappresentazione delle barche di disperati che cercano di giungere in territorio italiano. Centinaia di persone sono mandate allo sbaraglio, e talvolta sacrificate, per alimentare l’inganno contenuto nelle dichiarazioni ufficiali, che cercano di far credere che le autorità contrastino le orde dei disperati del mondo che bussano alla porta del “florido” Occidente. Ancora una volta si deve constatare che l’immigrazione cinese non corrisponde a questo schema narrativo, dato che è palese che i cinesi non siano entrati in barca e ce ne siano molti di più di quanto i visti turistici possano giustificare; ma la spiegazione sinora non è mai andata oltre la barzelletta secondo cui i cinesi non muoiono mai.
Da tempo in realtà si è consapevoli che gli immigrati non sbarcano sulle spiagge italiane, ma entrano per gli scali dei porti, passando per le banchine soggette a servitù militare NATO o USA, quindi sotto la copertura del segreto militare. Nel Porto di Napoli più della metà delle banchine sono sotto la giurisdizione statunitense, che, in base ai Trattati, non deve rendere conto all’autorità italiana. Del resto il controllo di tante banchine da parte della U.S. Navy non ha alcuna giustificazione militare, e costituirebbe un costoso nonsenso se non vi fossero i traffici illegali - eroina, cocaina, immigrati - a motivare il tutto.
Negli anni ’70 e ’80, prima dell’abolizione del monopolio statale dei tabacchi, da quelle stesse banchine del Porto di Napoli transitavano migliaia di tonnellate di sigarette di contrabbando: anche allora, per dissimulare la verità, si era messa in piedi la leggenda dei motoscafi blu dei contrabbandieri di Santa Lucia, di cui si narrava che sfidassero le onde per andare a fare carico presso navi ancorate al largo, oltre le acque territoriali. In quel periodo i gruppi dell’Autonomia Operaia avevano elevato i contrabbandieri al rango di moderni Robin Hood, in nome del mito di una illegalità che sorge dal basso per contrastare l’ordine costituito dei potenti e dei benpensanti. In realtà i veri benpensanti erano quelli dell’Autonomia Operaia, che non riuscivano ad immaginare che l’illegalità su larga scala la possono organizzare solo i potenti.
È bastato alla propaganda ufficiale presentare la cosiddetta “globalizzazione” come una “nuova sfida” perché gran parte del mondo “progressista” si calasse le brache, ritenendo proprio dovere non sottrarsi al confronto con la presunta novità. Sennonché l’attuale sistema del commercio internazionale “globale” si fonda sullo stesso assetto giuridico su cui sono nate le prime Compagnie Commerciali Privilegiate agli inizi del ‘600, in cui i trattati commerciali coprivano la realtà del monopolismo commerciale con fittizi slogan sul libero scambio, ed in cui i governi “occidentali” offrivano alla pirateria ed alla tratta degli schiavi sia patenti che coperture legali, e persino esenzioni fiscali. Il rilancio in grande stile del traffico degli esseri umani è appunto un ritorno ai tempi più bui delle Compagnie Commerciali, che sono le antenate delle attuali Multinazionali, specializzate da sempre in questa commistione di legalità ufficiale e illegalità sostanziale.
Il mito fuorviante dell’illegalità che sorgerebbe dal basso, trasforma invece l’attuale immigrato clandestino in un soggetto che, per quanto disperato, sarebbe comunque dotato di un alone trasgressivo, un mito che copre la sua reale condizione di deportato e di sequestrato a "piede libero", privato dei documenti e quindi controllabile in ogni momento dai trafficanti. Se la Lega Nord volesse davvero limitare l’immigrazione illegale, si batterebbe per la regolarizzazione immediata dei clandestini; una regolarizzazione che li sottrarrebbe al controllo delle organizzazioni del traffico di esseri umani, e darebbe loro anche la concreta possibilità di un ritorno in Patria. Ma la Lega Nord non vuole affatto questo, anzi usa la propaganda xenofoba come una forma di terrore per tenere vincolati gli immigrati alle organizzazioni che li sfruttano. È quindi una xenofobia in funzione dell’affarismo criminale.
La libertà della “Padania” non prevede infatti che questa sia liberata dalle basi militari straniere, che occupano il territorio usandolo per ogni tipo di traffico illegale, compreso quello degli immigrati clandestini.
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