Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Lunedì scorso il governo ha definitivamente smentito l'eventualità che vi sia in corso una trattativa con la "Troika europea" per rinegoziare i vincoli di bilancio dell'Italia. La solenne dichiarazione secondo cui "il governo rispetterà gli impegni europei", è stata immediatamente tradotta nel suo significato effettivo, e cioè che in autunno vi sarà l'ennesima "manovra correttiva sui conti pubblici". Per fare cassa non si parla solo di prelievi sulle pensioni e di blocchi degli stipendi degli statali, ma anche delle vendite di patrimoni pubblici. L'esperienza passata ha dimostrato che queste "vendite" ai privati non risultano remunerative, anzi, comportano spese aggiuntive per le operazioni finanziarie annesse, quindi con il "fare cassa" non c'entrano nulla; con il lobbying delle privatizzazioni invece sì. I soldi veri perciò verranno cercati ancora una volta nelle tasche dei cittadini.
Alcuni commentatori hanno espresso perplessità sulla capacità di Renzi di sfidare l'impopolarità che tali misure comporterebbero, e quindi si pronostica una prossima fine del feeling dello stesso Renzi con l'opinione pubblica, con rischi per la tenuta del governo. In realtà che Renzi sia - o sia stato - davvero così popolare, sarebbe tutto da dimostrare. L'artificiosità posticcia del personaggio, e dell'alone mediatico che lo circonda, sono talmente evidenti, che possono sfuggire solo a chi rimanga ostinatamente attaccato agli scampoli del mito della democrazia occidentale, per il quale il consenso delle masse avrebbe in qualche modo a che fare con la tenuta dei governi.
Intanto è arrivata ai primi di agosto la notizia che la recessione investe ormai anche la "virtuosa" Germania. Un meno 0,2 del PIL può sembrare poco, ma è moltissimo se si considera la condizione di privilegio commerciale che la moneta unica assicura alla Germania.
Nell'agosto dell'anno scorso, in clima praticamente già pre-elettorale, era arrivata invece la "notizia" che l'Eurozona poteva considerarsi fuori della recessione. I conduttori dei talk-show, come Giovanni Floris, poterono così esibire dati ufficiali atti a diffondere un'immagine efficientistica e vincente della Troika.
Ma nello stesso periodo, proprio il principale esponente della Troika, il Fondo Monetario Internazionale, forniva ai media mondiali un'immagine del tutto diversa sul futuro dell'Eurozona, nella quale non si prevedeva alcuna ripresa, con ovvi effetti negativi su tutta l'economia globale. Bisognerebbe poi vedere se da parte del FMI si trattava davvero di una "previsione", oppure di una direttiva esterna. Il debito pubblico degli Stati non può diminuire senza una ripresa dell'economia, e quindi del prelievo fiscale; ma che vantaggio otterrebbe la finanza globale da una diminuzione del debito pubblico? Nessuno, appunto. Le cose perciò devono continuare così.
Il principale esponente della "Troika europea", il FMI, non ha nulla di europeo, se non la nazionalità del suo direttore generale, visto che la sua sede principale è a Washington. Ai cittadini europei non è stato ancora spiegato cosa ci faccia il FMI nella "Troika", anzi la maggioranza di loro non lo sa neppure, per cui il suo immaginario si ferma ad una nebulosa detta "Europa", che ci "chiede" (ordina) delle cose. Tutte le istituzioni europee si comportano da agenzie del lobbying finanziario; ma la principale agenzia mondiale del lobbying finanziario rimane il FMI, che però non può vantare alcuno status di istituzione europea.
La "cessione unilaterale di sovranità", così spesso auspicata, in base al diritto internazionale, ha un nome più preciso: colonialismo. Che questo colonialismo in Europa venga inoltre esercitato da un intruso come il FMI, non trova alcun appiglio giuridico, neppure nel famigerato Trattato di Lisbona del 2008, che dovrebbe svolgere le funzioni di "Costituzione" europea. La mostruosità giuridica non turba i sonni dei cultori dello Stato di Diritto, presunta creatura e prerogativa della "Civiltà Occidentale".
Alcuni si aspettavano che l'istituzione nel 2012 del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), una sorta di Fondo Monetario Europeo, comportasse il cedere il passo ed il posto da parte del FMI a questo nuovo soggetto. Quanto a "mens rea", gli esponenti del MES non hanno nulla da invidiare a quelli del FMI, visto che si sono cautelati con una immunità giudiziaria preventiva. Eppure non solo il FMI mantiene il suo ruolo nella Troika, ma il MES nel suo statuto ha persino dichiarato esplicitamente - ed illegittimamente - la sua dipendenza dallo stesso FMI, cioè da un'istituzione esterna all'Unione Europea. L'euroscetticismo è davvero poca cosa se confrontato con la realtà, che ci mostra un'Europa colonizzata, dominata da un "papa straniero", ancora più abusivo di quello che risiede in Vaticano.
Dal punto di vista ideologico, il dominio del FMI presenta risvolti interessanti. L'ideologia è certamente sopravvalutata come movente dell'agire, ma rappresenta altrettanto sicuramente un fattore determinante nel confondere e disgregare le opposizioni. La formula storica e fondamentale del FMI-pensiero consiste nell'accusare ciascun Paese di "aver vissuto al di sopra dei propri mezzi". Si tratta di uno slogan che il FMI adotta instancabilmente dal 1946, e che fu reso popolare anche in Italia negli anni '70 da Ugo La Malfa. Letto da "sinistra" questo slogan può essere interpretato anche come una denuncia di eccessi di corruzione ed evasione fiscale, perciò conduce di solito alla conclusione della necessità di una "distribuzione equa dei sacrifici".
L'espressione "distribuzione equa dei sacrifici" costituisce un ossimoro, una contraddizione in termini, poiché il sacrificio è, per definizione, un atto di sacra iniquità; consiste infatti nello scaricare tutte le colpe su di un capro espiatorio. Il progresso civile non è mai riuscito a scardinare il nucleo arcaico e tribale che sta al fondo dell'opinione pubblica, perciò l'ideologia dominante non deve fare altro che farvi appello per indurre anche le opposizioni a collaborare con il dominio. La discussione infatti verte sempre sul chi debba sacrificarsi, e non ci si domanda mai se il sacrificio sia necessario o meno. Le emergenze che vengono prospettate sono sempre accolte come dati di fatto, in modo da incatenarsi da soli ad un sedicente "senso di responsabilità", che si risolve in effetti in mera credulità superstiziosa.
Ma se proprio si deve sacrificare qualcuno, perchè non sacrificare il FMI? Tagliare la quota di partecipazione dell'Italia al FMI, già sarebbe una bella spending review. Nell'ultimo G-20 l'onere delle quote di partecipazione al FMI è stato addirittura raddoppiato, per cui oggi il FMI si gestisce qualcosa come settecentocinquanta miliardi di dollari.
Magari si potrebbe continuare tagliando le quote di partecipazione dell'Italia al MES (centoventicinque miliardi di euro!), alla NATO, all'OCSE, eccetera. Del sempre più vorace parassitismo delle organizzazioni internazionali, infatti non si parla mai.
Nei giorni scorsi le cronache hanno riportato i contrasti interni al governo francese, che hanno condotto alle momentanee dimissioni del suo primo ministro. Il conflitto è stato generato dalla polemica del ministro dell'Economia Montebourg, che ha accusato il proprio governo di essere succubo della linea di austerità imposta dalla Germania.
Il risvolto poco serio della vicenda sta nel fatto che Montebourg abbia additato come modello da imitare nientemeno che l'Italia di Matteo Renzi. Si tratta però dello stesso Renzi che prepara la solita stangata sugli statali, ed anche le consuete "riforme" della Scuola e del lavoro in senso favorevole agli interessi delle lobby finanziarie. Come quelli che l'hanno preceduto, anche Renzi cerca di far passare le "riforme" come farina del suo sacco, ma si tratta dei soliti prestampati forniti dall'OCSE e dal FMI.
A proposito di cosiddette "riforme", ha avuto del grottesco il gioco di sponda tra Renzi ed il presidente della BCE, Mario Draghi. Renzi ha elogiato il "buonsenso" di Draghi per la sua linea della "flessibilità" dei parametri finanziari in cambio di "riforme", ma poi lo stesso Renzi ha assicurato che, "riforme" o meno, si atterrà ugualmente a quei parametri. Si elogia un presunto buonsenso, ma si massacra la logica.
Renzi manifesta tutte le caratteristiche antropologiche del lobbista di infimo livello, tra cui l'abiezione (abiezione nel senso preciso di mancanza di dignità). L'intemperanza verbale, l'insolenza gratuita ed irresponsabile, il fare appello con luoghi comuni alla parte più deteriore dell'opinione pubblica, denotano l'assoluta pretestuosità di ogni posizione, rivolta solo ad un immediato risultato affaristico. Da più parti si è notato che la leadership di Renzi è fittizia, che il personaggio appare allevato in batteria sin da ragazzino nel segreto delle logge massoniche. Dato che lo stesso Renzi ha invocato più volte Enrico Berlinguer come figura di nume tutelare, non sono mancati vari commenti sarcastici nel notare la sproporzione tra la pochezza dell'attuale Presidente del Consiglio e la levatura di quel segretario del PCI.
In realtà, per cogliere le vere differenze, occorre anche non trascurare gli aspetti di continuità con il passato. Il Partito Comunista degli anni '60 e '70 esibiva un tipo di dirigenza a compartimenti stagni, in cui l'ascesa dai gradi bassi della dirigenza a quelli alti era praticamente impossibile. Ad un famoso esponente del PCI di allora, Giancarlo Pajetta, era attribuita una battuta sullo stesso Berlinguer, che suonava come il passo di una ideale biografia: "Si iscrisse giovanissimo alla direzione del PCI". Berlinguer fu in effetti scelto ancora adolescente da Palmiro Togliatti per succedergli alla segreteria del PCI.
La proliferazione dei gruppi di estrema sinistra nei primi anni '70 non trovava un riscontro nelle divergenze di linea politica, spesso estemporanee, ma costituiva appunto un tentativo dei dirigenti di quei gruppi di farsi cooptare dall'esterno del PCI, visto che appariva bloccato ogni percorso ascensionale dall'interno. Questa rigidità dei meccanismi di riproduzione della classe dirigente del PCI veniva allora letta come una degenerazione del centralismo democratico, mentre costituiva più probabilmente un indizio di penetrazione massonica nello stesso PCI. Gli Occhetto, i Fassino, i D'Alema ed i Veltroni venivano scelti in famiglie "fidate", ed allevati sin da ragazzi come futuri dirigenti. Quando Fassino e Veltroni hanno protestato di non essere mai stati comunisti, c'è, una volta tanto, da credergli.
Dato che la massoneria non si limita ad occupare il potere, ma anche le opposizioni, e persino le opposizioni delle opposizioni, l'infiltrazione massonica non risparmiò neppure i gruppetti della cosiddetta sinistra extraparlamentare, a cominciare da Lotta Continua. La massoneria non funziona infatti come un soggetto politico unitario, ma come un centro di catalizzazione e ramificazione delle lobby. Ciò che negli anni '60 e '70 faceva la differenza con l'attuale ceto politico "di sinistra", non era quindi l'assenza di infiltrazione massonica e lobbistica, ma qualcos'altro: la Guerra Fredda. La presenza della concreta minaccia militare ed ideologica dell'Unione Sovietica costringeva i ceti dirigenti alla prudenza, e quindi a cimentarsi con la mediazione sociale. L'Unione Sovietica era una potenza esterna in grado di esercitare indirettamente un'influenza interna ai Paesi dell'Europa Occidentale, perciò i gruppi dirigenti occidentali dovevano porsi il problema di contrastare quell'influenza cercando un consenso effettivo. Un indizio certo dello strapotere attuale delle lobby, sta invece nel fatto che oggi la categoria di consenso è scaduta ad un livello puramente esteriore e si rivela come mera bolla mediatica.
La "bontà" di un potere consiste solo nei limiti oggettivi che incontra. L'istituzione della Legge ha senso esclusivamente nel creare per alcuni il privilegio di porsi al di sopra della Legge, che vale solo per i sottoposti. Esiste anche una legislazione confezionata in funzione dell'illegalità, quella sul capitalismo. La società per azioni è un'associazione a delinquere "legalizzata". Il mito del "Mondo Libero" e della "Democrazia Occidentale" costituiva il riflesso della paura che incuteva l'impero sovietico; ma la prudenza di una volta è stata sostituita dall'attuale ebbrezza d'impunità delle lobby affaristiche.
Ciò che rende il ceto politico degli anni '60 e '70 direttamente responsabile del disastro attuale, sta nel non aver compreso le opportunità e lo spazio di manovra che la Guerra Fredda gli offriva. Tale incomprensione è arrivata al punto da considerare la fine della Guerra Fredda come un'opportunità. Un dibattito politico puerile si soffermava sulla questione se l'URSS costituisse un modello o meno. In realtà si poteva tranquillamente ammettere che l'URSS non solo non costituiva un modello, ma che non era neppure un Paese socialista. La sua funzione positiva consisteva nell'ostacolare la colonizzazione occidentale dell'Europa dell'Est da parte delle multinazionali, e di costituire un freno alla colonizzazione della stessa Europa Occidentale. Dopo più di venti anni di capitalismo, la Russia attuale non è stata ancora in grado di eguagliare i livelli produttivi dell'URSS; segno che il crollo dell'Unione Sovietica non è stato l'effetto di un fallimento economico, ma della caccia a sempre maggiori privilegi da parte della nomenklatura sovietica. L'Ucraina, ad esempio, ha reso alla nomenklatura più come cliente che come un suddito dell'impero, al quale si era costretti a vendere il gas a prezzi stracciati.
Si parla oggi di un ritorno alla Guerra Fredda, ed in questo senso sembrerebbe andare la criminalizzazione di Putin e le regolari campagne di odio mediatico verso di lui. Ma la guerra in Ucraina è solo una mera creazione della NATO, e la Russia certamente si difende, ma rimane esclusivamente sulla difensiva. La NATO appare invece all'offensiva, ed il modello di penetrazione commerciale delle multinazionali non viene messo in discussione dalla Russia. Del resto la compagnia energetica russa, Gazprom, è una multinazionale, e come tale si comporta.
Per quanto occorrano dei tempi per adattare la politica alle circostanze, non è il caso di dimenticare che uno come Renzi sia stato lanciato proprio nel pieno della crisi ucraina. Se la Russia fosse stata davvero percepita come una minaccia, la prudenza non avrebbe certo consigliato di mandare avanti un simile pupazzo, persino in un Paese minore come l'Italia. I conti invece tornano se si considera che il bersaglio immediato della NATO oggi sia proprio l'Europa. Certo, lo smembramento della Russia è sempre al centro dei desideri dell'oligarchia USA; ma sul breve periodo l'effetto della guerra in Ucraina e della conseguente conflittualità commerciale con la Russia, è di consegnare ancora di più l'Unione Europea all'abbraccio atlantico del TTIP, presentato con sempre maggiore sfacciataggine come toccasana ai problemi di stagnazione economica in Europa.
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