Nei giorni scorsi le cronache hanno riportato i contrasti interni al
governo francese, che hanno condotto alle momentanee dimissioni del suo primo ministro. Il conflitto è stato generato dalla polemica del ministro dell'Economia Montebourg, che ha accusato il proprio governo di essere succubo della linea di austerità imposta dalla Germania.
Il risvolto poco serio della vicenda sta nel fatto che Montebourg abbia additato come modello da imitare nientemeno che l'Italia di Matteo Renzi. Si tratta però dello stesso Renzi che prepara la solita stangata sugli statali, ed anche le consuete "riforme" della Scuola e del lavoro in senso favorevole agli interessi delle lobby finanziarie. Come quelli che l'hanno preceduto, anche Renzi cerca di far passare le "riforme" come farina del suo sacco, ma si tratta dei soliti prestampati forniti dall'OCSE e dal FMI.
A proposito di cosiddette "riforme", ha avuto del grottesco il
gioco di sponda tra Renzi ed il presidente della BCE, Mario Draghi. Renzi ha elogiato il "buonsenso" di Draghi per la sua linea della "flessibilità" dei parametri finanziari in cambio di "riforme", ma poi lo stesso Renzi ha assicurato che, "riforme" o meno, si atterrà ugualmente a quei parametri. Si elogia un presunto buonsenso, ma si massacra la logica.
Renzi manifesta tutte le caratteristiche antropologiche del lobbista di infimo livello, tra cui l'abiezione (abiezione nel senso preciso di mancanza di dignità). L'intemperanza verbale, l'insolenza gratuita ed irresponsabile, il fare appello con luoghi comuni alla parte più deteriore dell'opinione pubblica, denotano l'assoluta pretestuosità di ogni posizione, rivolta solo ad un immediato risultato affaristico. Da più parti si è notato che la leadership di Renzi è fittizia, che il personaggio appare allevato in batteria sin da ragazzino nel segreto delle logge massoniche. Dato che lo stesso Renzi ha invocato più volte Enrico Berlinguer come figura di nume tutelare, non sono mancati vari commenti sarcastici nel notare la sproporzione tra la pochezza dell'attuale Presidente del Consiglio e la levatura di quel segretario del PCI.
In realtà, per cogliere le vere differenze, occorre anche non trascurare gli aspetti di continuità con il passato. Il Partito Comunista degli anni '60 e '70 esibiva un tipo di dirigenza a compartimenti stagni, in cui l'ascesa dai gradi bassi della dirigenza a quelli alti era praticamente impossibile. Ad un famoso esponente del PCI di allora, Giancarlo Pajetta, era attribuita una battuta sullo stesso Berlinguer, che suonava come il passo di una ideale biografia: "Si iscrisse giovanissimo alla direzione del PCI". Berlinguer fu in effetti scelto ancora adolescente da Palmiro Togliatti per succedergli alla segreteria del PCI.
La proliferazione dei gruppi di estrema sinistra nei primi anni '70 non trovava un riscontro nelle divergenze di linea politica, spesso estemporanee, ma costituiva appunto un tentativo dei dirigenti di quei gruppi di farsi cooptare dall'esterno del PCI, visto che appariva bloccato ogni percorso ascensionale dall'interno. Questa rigidità dei meccanismi di riproduzione della classe dirigente del PCI veniva allora letta come una degenerazione del centralismo democratico, mentre costituiva più probabilmente un indizio di penetrazione massonica nello stesso PCI. Gli Occhetto, i Fassino, i D'Alema ed i Veltroni venivano scelti in famiglie "fidate", ed allevati sin da ragazzi come futuri dirigenti. Quando Fassino e Veltroni hanno protestato di non essere mai stati comunisti, c'è, una volta tanto, da credergli.
Dato che la massoneria non si limita ad occupare il potere, ma anche le opposizioni, e persino le opposizioni delle opposizioni, l'infiltrazione massonica non risparmiò neppure i gruppetti della cosiddetta sinistra extraparlamentare, a cominciare da Lotta Continua. La massoneria non funziona infatti come un soggetto politico unitario, ma come un centro di catalizzazione e ramificazione delle lobby. Ciò che negli anni '60 e '70 faceva la differenza con l'attuale ceto politico "di sinistra", non era quindi l'assenza di infiltrazione massonica e lobbistica, ma qualcos'altro: la Guerra Fredda. La presenza della concreta minaccia militare ed ideologica dell'Unione Sovietica costringeva i ceti dirigenti alla prudenza, e quindi a cimentarsi con la mediazione sociale. L'Unione Sovietica era una potenza esterna in grado di esercitare indirettamente un'influenza interna ai Paesi dell'Europa Occidentale, perciò i gruppi dirigenti occidentali dovevano porsi il problema di contrastare quell'influenza cercando un consenso effettivo. Un indizio certo dello strapotere attuale delle lobby, sta invece nel fatto che oggi la categoria di consenso è scaduta ad un livello puramente esteriore e si rivela come mera bolla mediatica.
La "bontà" di un potere consiste solo nei limiti oggettivi che incontra. L'istituzione della Legge ha senso esclusivamente nel creare per alcuni il privilegio di porsi al di sopra della Legge, che vale solo per i sottoposti. Esiste anche una legislazione confezionata in funzione dell'illegalità, quella sul capitalismo. La società per azioni è un'associazione a delinquere "legalizzata". Il mito del "Mondo Libero" e della "Democrazia Occidentale" costituiva il riflesso della paura che incuteva l'impero sovietico; ma la prudenza di una volta è stata sostituita dall'attuale ebbrezza d'impunità delle lobby affaristiche.
Ciò che rende il ceto politico degli anni '60 e '70 direttamente responsabile del disastro attuale, sta nel non aver compreso le opportunità e lo spazio di manovra che la Guerra Fredda gli offriva. Tale incomprensione è arrivata al punto da considerare la fine della Guerra Fredda come un'opportunità. Un dibattito politico puerile si soffermava sulla questione se l'URSS costituisse un modello o meno. In realtà si poteva tranquillamente ammettere che l'URSS non solo non costituiva un modello, ma che non era neppure un Paese socialista. La sua funzione positiva consisteva nell'ostacolare la colonizzazione occidentale dell'Europa dell'Est da parte delle multinazionali, e di costituire un freno alla colonizzazione della stessa Europa Occidentale. Dopo più di venti anni di capitalismo, la Russia attuale non è stata ancora in grado di eguagliare i livelli produttivi dell'URSS; segno che il crollo dell'Unione Sovietica non è stato l'effetto di un fallimento economico, ma della caccia a sempre maggiori privilegi da parte della nomenklatura sovietica. L'Ucraina, ad esempio, ha reso alla nomenklatura più come cliente che come un suddito dell'impero, al quale si era costretti a vendere il gas a prezzi stracciati.
Si parla oggi di un ritorno alla Guerra Fredda, ed in questo senso sembrerebbe andare la criminalizzazione di Putin e le regolari campagne di odio mediatico verso di lui. Ma la guerra in Ucraina è solo una mera creazione della NATO, e la Russia certamente si difende, ma rimane esclusivamente sulla difensiva. La NATO appare invece all'offensiva, ed il modello di penetrazione commerciale delle multinazionali non viene messo in discussione dalla Russia. Del resto la compagnia energetica russa, Gazprom, è una multinazionale, e come tale si comporta.
Per quanto occorrano dei tempi per adattare la politica alle circostanze, non è il caso di dimenticare che uno come Renzi sia stato lanciato proprio nel pieno della crisi ucraina. Se la Russia fosse stata davvero percepita come una minaccia, la prudenza non avrebbe certo consigliato di mandare avanti un simile pupazzo, persino in un Paese minore come l'Italia. I conti invece tornano se si considera che il bersaglio immediato della NATO oggi sia proprio l'Europa. Certo, lo smembramento della Russia è sempre al centro dei desideri dell'oligarchia USA; ma sul breve periodo l'effetto della guerra in Ucraina e della conseguente conflittualità commerciale con la Russia, è di consegnare ancora di più l'Unione Europea all'abbraccio atlantico del
TTIP, presentato con sempre maggiore sfacciataggine come toccasana ai problemi di stagnazione economica in Europa.