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"Gli errori dei poveri sono sempre crimini, mentre i crimini dei ricchi sono al massimo 'contraddizioni'."

Comidad (2010)
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Di comidad (del 04/08/2022 @ 00:15:36, in Commentario 2022, linkato 6572 volte)
La vera funzione sociale del cosiddetto “dibattito” non è purtroppo quella di confrontare le rispettive idee ed argomentazioni, bensì di fissare delle gerarchie nella comunicazione. Si tratta quindi di stabilire chi ha il privilegio di occupare il piedistallo dell’accusatore o del giudice e chi invece si trova nella condizione cronica di imputato. Non conta che le accuse siano infondate o assurde, anzi, più lo sono e meglio è, poiché con punti di riferimento vaghi diventa molto più complicato discolparsi. La gerarchizzazione comporta non solo l’assegnazione dei ruoli ma anche la recinzione in cui il dibattito può svolgersi, cioè gli argomenti che ti fanno acquisire status e quelli che invece ti squalificano. Ciò vale anche per il dibattito elettorale; infatti il risultato delle elezioni non va valutato contando chi ha preso più voti, il che spesso è del tutto irrilevante, bensì in base a chi è riuscito a detenere il controllo della cosiddetta “realtà”, alla quale qualsiasi governo dovrà poi piegarsi. L’irrilevanza del dato numerico del voto è uno schema che funziona anche al netto delle trasversalità che si riscontrano nel sistema dei partiti, per cui, ad esempio, Enrico Letta e Giorgia Meloni sono tutti e due nell’Aspen Institute, mentre la Lega ed il PD spingono entrambi per l’autonomia differenziata.
Un elettore incazzato può votare un partito che in quel momento appare come anti-establishment, oppure può non votare affatto; l’importante è che non si esca dalla recinzione della realtà virtuale. Spesso si ritiene, erroneamente, che la “realtà” coincida tout court con la comunicazione ufficiale o mainstream, ma non è affatto così, poiché anche i dati ufficiali o le notizie dei media accreditati perdono valore se risultano fuori dal recinto, di cui alcuni paletti si chiamano “peso del debito pubblico” e “spread”. Sul sito della Banca d’Italia ci si spiega che il Quantitative Easing della Banca Centrale Europea (con i vari programmi con i quali si declina, dal PEPP all’APP), non è indirizzato solo all’acquisto di titoli del debito pubblico, ma anche, e soprattutto, all’acquisto di titoli di aziende private. Il Quantitative Easing è cominciato infatti in Paesi come il Giappone o gli Stati Uniti dove non c’era un problema di “spread” rispetto ai titoli tedeschi come nell’Unione Europea.
Nel marzo del 2020 la presidentessa della BCE, Christine Lagarde, pronunciò la famosa “gaffe”, cioè dichiarò che non era tra i compiti dell’istituzione da lei presieduta il tenere sotto controllo gli spread. In effetti si trattava di una banalità: l’abbassamento degli spread è un effetto secondario dei Quantitative Easing, in quanto i veri destinatari della facilitazione non sono gli Stati, bensì le banche. All’epoca l’establishment italico si irritò tremendamente con la Lagarde, poiché questa in un attimo aveva smentito tutta la narrativa sullo spread. Come la fiaba sui vaccini, anche la fiaba sullo spread si era evoluta: inizialmente lo spread si teneva a bada solo facendo i bravi bambini e tagliando le spese per rassicurare i “Mercati”; poi il racconto si è arricchito con nuovi dettagli, per cui a Francoforte c’era una mano provvida e premurosa verso le sorti dell’Italietta e, grazie a ciò, non colavamo a picco sotto la zavorra dei debiti. Rischiava di crollare tutto il castelletto delle colpevolizzazioni con cui ci si tiene al guinzaglio. Guai se le masse povere venissero a sapere che nella realtà vera, non quella virtuale, l’assistenzialismo è riservato esclusivamente ai ricchi.

Il gioco delle parti fa sembrare che la Germania e gli altri Paesi “frugali” siano contrari al QE e lo tollerino per chissà quali pressioni, mentre i Paesi “spendaccioni” come noi lo esigano per non affondare. Ma quando si è andata materializzando la prospettiva di un aumento dei tassi di interesse e di una diminuzione delle iniezioni di liquidità della BCE, le principali vittime non sono stati i debiti pubblici degli Stati, bensì le grandi banche tedesche, che hanno visto crollare in Borsa il valore delle loro azioni. Il disastro Deutsche Bank-Commerz Bank è tamponato dai QE, e lo si sa benissimo in base alle notizie della stampa mainstream; ma chi osasse sottolinearlo in qualche talk show verrebbe subissato di biasimo, derisione ed accuse infamanti.
Le iniezioni di liquidità delle banche centrali avrebbero potuto sortire effetti positivi per le economie e per l’occupazione se si fossero concretizzate in investimenti in infrastrutture, in risanamento del territorio e in welfare. Ma così non è stato; anzi, si è fatto di tutto per evitare che il denaro iniettato nella finanza avesse ricadute positive nell’economia reale. Non a caso il prestigioso settimanale “The Economist” addirittura invoca la recessione, poiché consentirebbe di continuare ad iniettare liquidità nella finanza senza rischiare un’iper-inflazione che azzererebbe i debiti degli Stati, con il conseguente sistema di ricatti. Il settimanale britannico dà voce esplicita ad una lobby di cui molti ignorano l’esistenza: la lobby della deflazione, che coincide con gli interessi delle multinazionali del credito. La recessione diventa la nuova emergenza che giustifica altri QE, ma le emergenze hanno anche i loro risvolti utopici e palingenetici da valorizzare. Come tutte le lobby, anche quella della deflazione ruba infatti suggestioni e slogan dall’armamentario ideologico dell’ambientalismo e della “Decrescita Felice”.
Ci si potrebbe domandare quali prospettive possa offrire questa sinergia tra banche centrali e finanza privata a colpi di iniezioni di liquidità che alimentano bolle azionarie in Borsa, mentre l’economia reale arretra. Il punto è che qui si sta parlando di lobby, cioè di semplici macchine comportamentali che non si pongono problemi di prospettiva o di continuità. Non c’è considerazione geopolitica o strategica che possa spiegare il comportamento USA, ma il lobbying delle armi invece sì.
Di solito siamo abituati a dare per scontata l’esistenza dello Stato; mentre in effetti si tratta di una costruzione storica piuttosto recente, che solo in parte è riuscita ad integrare e sostituire le precedenti gerarchie sociali. Lo Stato - inteso come istituzione che si articola a sua volta in varie istituzioni interconnesse tra loro e che perseguono una continuità ed uno scopo comune -, rappresenta solo una chimera giuridica ed ormai un guscio vuoto. Dovunque il lobbismo riesca ad insinuarsi, la sua prima vittima è proprio il senso dell’istituzione, per cui si assiste al paradosso di uno Stato che disprezza se stesso e mette alla berlina il suo personale presentandolo come fannullone e disonesto. Uno Stato può trattare il proprio popolo come una bestia da soma, come un pollo da spennare, come carne da cannone, ma comunque lo considererebbe una risorsa da tutelare. Dato che l’Italietta è annoverata come un caso atipico e quindi non farebbe testo, c’è l’esempio di Israele, un Paese che basa la sua sopravvivenza sulla leva militare, che ora riscontra di aver compromesso la salute della sua giovane generazione con un vaccino sperimentale.
 
Di comidad (del 11/08/2022 @ 00:10:11, in Commentario 2022, linkato 6270 volte)
C’è un passaggio interessante nelle motivazioni - depositate pochi giorni fa - della sentenza di appello che il 23 settembre scorso aveva mandato assolti gli ufficiali dei carabinieri condannati in primo grado di giudizio per la famosa “trattativa Stato-mafia”. Secondo i giudici: “V’erano dunque indicibili ragioni di ‘interesse nazionale’ a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra … Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso”. Questa lezioncina di geopolitica avrebbe un senso se si ritenesse che lo Stato non rivendica il suo carattere di unico potere legittimo, ma si considera una banda che si disputa il territorio con altre bande in un alternarsi di conflitti ed alleanze tattiche. Si potrebbe anche scendere dalle vette della geopolitica e procedere ancor più rasoterra: non esiste lo Stato, non esiste Cosa Nostra, ma esiste semplicemente il potere, con le sue trasversalità tra le fittizie categorie giuridiche di pubblico e privato, di legale e di illegale. Certe contiguità tra forze dell’ordine e criminali sono quindi fenomeni fisiologici della gestione materiale del potere, che ovviamente è sempre ispirata al “superiore interesse”. E chi siamo noi per affermare il contrario?
Sino a qualche anno fa una sentenza con argomentazioni così arroganti e spudorate sarebbe stata impensabile ed i giudici avrebbero trovato il modo di assolvere gli imputati o negando l’evidenza dei fatti, oppure con cavilli che rendessero inaccettabili le prove documentali. Secondo il roleplay istituzionale potevano essere semmai i governi o i poliziotti a fare di questi appelli all’interesse superiore per scavalcare le regole, mentre alla magistratura spettava di richiamare, anche ipocritamente, al rispetto della lettera della legge. Ma due anni e mezzo di emergenzialismo Covid non sono passati invano, per cui ci siamo abituati a vedere dei giuristi e “costituzionalisti” come Cassese e Zagrebelsky affannarsi a legittimare lo sciamanismo del ministro Roberto Speranza, il quale può vantare una sua relazione mistica con l’Ascienza. Il primato della legge e la separazione dei poteri alla fine si rivelano illusioni di una modernità rimasta allo stadio di aspirazione, per cui il potere rivela il suo nucleo arcaico ed ancestrale, con questi re-sacerdoti che ci comunicano il volere degli dei. Nulla di strano perciò nel fatto che anche ad alti ufficiali dei ROS si riconosca la facoltà di farsi illuminare direttamente dal Nume dell’Interesse Superiore.
Gli ufficiali dei ROS comunque se la sono passata liscia, e buon per loro. Ma siamo sicuri che il rapporto mistico col “superiore interesse” non mieta invece altre vittime? Non è che questa concezione sacerdotale del potere comporta i suoi silenziosi sacrifici umani? Il dubbio trova una sua fondatezza se si segue la vicenda tragica di altri esponenti, magari meno illustri, delle forze dell’ordine.

Nel giugno scorso l’associazione sindacale dei carabinieri Unarma ha lanciato un allarme sul fenomeno dei “suicidi” tra le forze dell’ordine. Tra il 2014 e il 2021 i casi di suicidio tra poliziotti, carabinieri e guardie di finanza sono stati 355 (sì, proprio trecentocinquantacinque). Dal gennaio al maggio dell’anno in corso si sono verificati altri 29 (sì, proprio ventinove) casi di suicidio, addirittura quattro nella stessa settimana e due nella stessa caserma. Dal 2014 a questi ultimi giorni siamo già ad un totale di 384 morti: praticamente i numeri di una guerra civile. Sono infatti dati ufficiali che dovrebbero far clamore, ma rimangono invece ai margini della comunicazione e non pervengono assolutamente al dibattito politico.
Il problema è che i suicidi sono un po’ troppi per essere spiegati con il solito “disagio psicologico” da adolescenti. Del resto, se tassi di suicidio di questa entità si riscontrassero, ad esempio, tra le forze dell’ordine russe, li riterremmo realistici e credibili? Ma anche chi volesse a tutti i costi dar credito alla versione del suicidio di massa, dovrebbe poi essere anche in grado di spiegare come mai non ci sia ancora un commissione di inchiesta a riguardo.
Non mancano però i casi di suicidio persino tra i magistrati. Nel 1998 si tolse la vita un magistrato che era oggetto di indagini, Luigi Lombardini; e il fatto suscitò polemiche politiche piuttosto accese. Certi suicidi un po’ troppo tempestivi hanno riguardato anche altri magistrati sotto inchiesta. Il problema è che queste tendenze suicide riguardano persino magistrati immuni da qualsiasi sospetto o pendenza. Nella maggior parte delle volte però le notizie su queste strane morti tra i magistrati passano senza che la stampa vi attribuisca un rilievo eccessivo; anzi, come in un caso del 2020, affrettandosi a precisare che tutte le circostanze sono già chiarissime e che non ci sono “gialli”. L’ammonimento era piuttosto evidente: chiunque pensi di rivolgere qualche domanda di troppo sappia di essere già candidato alla gogna come “complottista”. In fondo, una volta stabilito che si tratta di suicidio, cosa importerebbe se fosse “suicidio assistito”?
A rassicurare tutti i potenziali malpensanti c’è comunque l’accuratezza rigorosa e meticolosa con cui vengono svolte le indagini. Nel 1999 una magistrata fu trovata suicida negli uffici del tribunale civile di Torino. Secondo la versione ufficiale infatti la povera donna si era tolta la vita sparandosi ad una tempia con due (sì, proprio due) colpi di pistola. Con il “suicidio” di Raul Gardini si è ben delineato lo schema che seguono le indagini: all’inizio qualche cosina non torna, i colpi sparati sono troppi, l’arma è fuori posto, ma col tempo gli opportuni “ricordi” degli inquirenti rimettono i pezzetti laddove devono stare. C’era da qualche parte un criminologo che diceva che non esistono suicidi ma soltanto indagini insabbiate. Ma sicuramente quel criminologo non ha mai fatto carriera.
 
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FEDERALISTI ANARCHICI:
il gruppo ed il relativo bollettino di collegamento nazionale si é formato a Napoli nel 1978, nell'ambito di una esperienza anarco-sindacalista.
Successivamente si é evoluto nel senso di gruppo di discussione in una linea di demistificazione ideologica.
Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana dal 1984.


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