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È LA LOBBY DELLA DEFLAZIONE A GESTIRE IL QUANTITATIVE EASING
Di comidad (del 04/08/2022 @ 00:15:36, in Commentario 2022, linkato 6571 volte)
La vera funzione sociale del cosiddetto “dibattito” non è purtroppo quella di confrontare le rispettive idee ed argomentazioni, bensì di fissare delle gerarchie nella comunicazione. Si tratta quindi di stabilire chi ha il privilegio di occupare il piedistallo dell’accusatore o del giudice e chi invece si trova nella condizione cronica di imputato. Non conta che le accuse siano infondate o assurde, anzi, più lo sono e meglio è, poiché con punti di riferimento vaghi diventa molto più complicato discolparsi. La gerarchizzazione comporta non solo l’assegnazione dei ruoli ma anche la recinzione in cui il dibattito può svolgersi, cioè gli argomenti che ti fanno acquisire status e quelli che invece ti squalificano. Ciò vale anche per il dibattito elettorale; infatti il risultato delle elezioni non va valutato contando chi ha preso più voti, il che spesso è del tutto irrilevante, bensì in base a chi è riuscito a detenere il controllo della cosiddetta “realtà”, alla quale qualsiasi governo dovrà poi piegarsi. L’irrilevanza del dato numerico del voto è uno schema che funziona anche al netto delle trasversalità che si riscontrano nel sistema dei partiti, per cui, ad esempio, Enrico Letta e Giorgia Meloni sono tutti e due nell’Aspen Institute, mentre la Lega ed il PD spingono entrambi per l’autonomia differenziata.
Un elettore incazzato può votare un partito che in quel momento appare come anti-establishment, oppure può non votare affatto; l’importante è che non si esca dalla recinzione della realtà virtuale. Spesso si ritiene, erroneamente, che la “realtà” coincida tout court con la comunicazione ufficiale o mainstream, ma non è affatto così, poiché anche i dati ufficiali o le notizie dei media accreditati perdono valore se risultano fuori dal recinto, di cui alcuni paletti si chiamano “peso del debito pubblico” e “spread”. Sul sito della Banca d’Italia ci si spiega che il Quantitative Easing della Banca Centrale Europea (con i vari programmi con i quali si declina, dal PEPP all’APP), non è indirizzato solo all’acquisto di titoli del debito pubblico, ma anche, e soprattutto, all’acquisto di titoli di aziende private. Il Quantitative Easing è cominciato infatti in Paesi come il Giappone o gli Stati Uniti dove non c’era un problema di “spread” rispetto ai titoli tedeschi come nell’Unione Europea.
Nel marzo del 2020 la presidentessa della BCE, Christine Lagarde, pronunciò la famosa “gaffe”, cioè dichiarò che non era tra i compiti dell’istituzione da lei presieduta il tenere sotto controllo gli spread. In effetti si trattava di una banalità: l’abbassamento degli spread è un effetto secondario dei Quantitative Easing, in quanto i veri destinatari della facilitazione non sono gli Stati, bensì le banche. All’epoca l’establishment italico si irritò tremendamente con la Lagarde, poiché questa in un attimo aveva smentito tutta la narrativa sullo spread. Come la fiaba sui vaccini, anche la fiaba sullo spread si era evoluta: inizialmente lo spread si teneva a bada solo facendo i bravi bambini e tagliando le spese per rassicurare i “Mercati”; poi il racconto si è arricchito con nuovi dettagli, per cui a Francoforte c’era una mano provvida e premurosa verso le sorti dell’Italietta e, grazie a ciò, non colavamo a picco sotto la zavorra dei debiti. Rischiava di crollare tutto il castelletto delle colpevolizzazioni con cui ci si tiene al guinzaglio. Guai se le masse povere venissero a sapere che nella realtà vera, non quella virtuale, l’assistenzialismo è riservato esclusivamente ai ricchi.

Il gioco delle parti fa sembrare che la Germania e gli altri Paesi “frugali” siano contrari al QE e lo tollerino per chissà quali pressioni, mentre i Paesi “spendaccioni” come noi lo esigano per non affondare. Ma quando si è andata materializzando la prospettiva di un aumento dei tassi di interesse e di una diminuzione delle iniezioni di liquidità della BCE, le principali vittime non sono stati i debiti pubblici degli Stati, bensì le grandi banche tedesche, che hanno visto crollare in Borsa il valore delle loro azioni. Il disastro Deutsche Bank-Commerz Bank è tamponato dai QE, e lo si sa benissimo in base alle notizie della stampa mainstream; ma chi osasse sottolinearlo in qualche talk show verrebbe subissato di biasimo, derisione ed accuse infamanti.
Le iniezioni di liquidità delle banche centrali avrebbero potuto sortire effetti positivi per le economie e per l’occupazione se si fossero concretizzate in investimenti in infrastrutture, in risanamento del territorio e in welfare. Ma così non è stato; anzi, si è fatto di tutto per evitare che il denaro iniettato nella finanza avesse ricadute positive nell’economia reale. Non a caso il prestigioso settimanale “The Economist” addirittura invoca la recessione, poiché consentirebbe di continuare ad iniettare liquidità nella finanza senza rischiare un’iper-inflazione che azzererebbe i debiti degli Stati, con il conseguente sistema di ricatti. Il settimanale britannico dà voce esplicita ad una lobby di cui molti ignorano l’esistenza: la lobby della deflazione, che coincide con gli interessi delle multinazionali del credito. La recessione diventa la nuova emergenza che giustifica altri QE, ma le emergenze hanno anche i loro risvolti utopici e palingenetici da valorizzare. Come tutte le lobby, anche quella della deflazione ruba infatti suggestioni e slogan dall’armamentario ideologico dell’ambientalismo e della “Decrescita Felice”.
Ci si potrebbe domandare quali prospettive possa offrire questa sinergia tra banche centrali e finanza privata a colpi di iniezioni di liquidità che alimentano bolle azionarie in Borsa, mentre l’economia reale arretra. Il punto è che qui si sta parlando di lobby, cioè di semplici macchine comportamentali che non si pongono problemi di prospettiva o di continuità. Non c’è considerazione geopolitica o strategica che possa spiegare il comportamento USA, ma il lobbying delle armi invece sì.
Di solito siamo abituati a dare per scontata l’esistenza dello Stato; mentre in effetti si tratta di una costruzione storica piuttosto recente, che solo in parte è riuscita ad integrare e sostituire le precedenti gerarchie sociali. Lo Stato - inteso come istituzione che si articola a sua volta in varie istituzioni interconnesse tra loro e che perseguono una continuità ed uno scopo comune -, rappresenta solo una chimera giuridica ed ormai un guscio vuoto. Dovunque il lobbismo riesca ad insinuarsi, la sua prima vittima è proprio il senso dell’istituzione, per cui si assiste al paradosso di uno Stato che disprezza se stesso e mette alla berlina il suo personale presentandolo come fannullone e disonesto. Uno Stato può trattare il proprio popolo come una bestia da soma, come un pollo da spennare, come carne da cannone, ma comunque lo considererebbe una risorsa da tutelare. Dato che l’Italietta è annoverata come un caso atipico e quindi non farebbe testo, c’è l’esempio di Israele, un Paese che basa la sua sopravvivenza sulla leva militare, che ora riscontra di aver compromesso la salute della sua giovane generazione con un vaccino sperimentale.