Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Uno dei miti della modernità più drasticamente smentiti dai fatti è quello dell'informazione. L'idea di un'opinione pubblica consapevole e di cittadini in possesso dei dati per decidere, ha ceduto il posto alla realtà della propaganda e della manipolazione mediatica. La figura professionale caratteristica della modernità, che non esisteva in epoche precedenti, è appunto quella del "giornalista", il mitico "professionista dell'informazione", che si è rivelato invece l'addetto-stampa delle lobby degli affari.
Il leitmotiv mediatico di cui si abusa maggiormente in Italia è, ovviamente, il razzismo anti-meridionale, che costituisce in questo periodo il diversivo consolatorio da offrire ad un Settentrione investito da una brutale deindustrializzazione. Il razzismo antimeridionale nasce però con la stampa stessa, diventata fenomeno di massa nell'Inghilterra dei primi decenni dell'800. Per motivi strategici di dominio del Mediterraneo, il Regno delle Due Sicilie costituiva un bersaglio militare e propagandistico della stampa britannica, con la produzione di tutta un'aneddotica sulla tirannia dei vari Franceschi e Ferdinandi e sul degrado del popolo meridionale. Già allora la stampa si poneva come la principale "fonte" di se stessa, ed addirittura come fonte per gli storici. Le notizie erano riprese e rilanciate su scala internazionale senza controllo; allo stesso modo in cui, nell'epoca attuale, l'emittente Al Jazeera è diventata la fonte esclusiva sulle "rivoluzioni" arabe del 2011, oppure fioriscono aneddoti infondati sulle follie omicide del presidente nord-coreano.
Imposto dalla stampa inglese come un senso comune mediatico a livello mondiale, il razzismo anti-meridionale può essere ritrovato nei luoghi più insospettabili, da "La Lettera Rubata" di Edgar Allan Poe, sino al "Mein Kampf" di Hitler, il quale era una vera e propria "spugna" della propaganda britannica. Il razzismo anti-meridionale andò a costituire l'ideologia fondante dell'unificazione italiana, con il risultato di formare un'identità italiana autorazzistica e recriminatoria, contrassegnata da velleitarie ambizioni in campo internazionale, ma anche intrinsecamente vulnerabile alla colonizzazione. Il razzismo anti-meridionale serviva infatti a veicolare un razzismo anti-italiano tout court. Quest'antropologia della frustrazione avrebbe trovato nel fascismo la sua consacrazione, ma costituisce un tratto costante della storia unitaria italiana che si è perpetuato sino ad oggi. La politica estera viene ancora adesso rappresentata ad un'opinione pubblica infantilizzata come un pranzo di gala dei vip, a cui però non puoi partecipare perché ti sei preso a carico il fratello scemo e parassita.
Che i rapporti internazionali possano essere segnati da cose come colonialismo e imperialismo, tutto ciò non riguarda mai la nostra storia. Eppure proprio in questi ultimi decenni abbiamo visto lo schema imperialistico del nostro 1860 ripresentarsi identico nell'Afghanistan degli anni '80, e ancora nella Libia e nella Siria attuali, dove un'invasione di truppe mercenarie straniere è stata spacciata come la saldatura tra una rivolta interna e l'arrivo di eroici combattenti per la libertà, a volte anche con l'intervento finale della potenza "liberatrice".
La pubblicazione dell'annuale rapporto dello Svimez - l'ente privato di studi finalizzati allo "sviluppo" meridionale, fondato settanta anni fa - ha consentito ai media di lanciarsi in paralleli molto suggestivi. Secondo lo Svimez, parrebbe infatti che in questi ultimi dieci anni il Sud Italia abbia fatto addirittura peggio della Grecia in incremento del PIL. Dato che la Grecia rappresenta attualmente l'emergenza più all'attenzione, era praticamente d'obbligo associarla mediaticamente all'Italia meridionale, patria naturale di ogni emergenza. Certo è che lo Svimez, come ogni altro ente che fornisca dati sul Sud, si trova in una situazione comunicativa alquanto paradossale. Chi mai lo prenderebbe sul serio, e chi mai lo rilancerebbe, se non presentasse ogni volta un quadro catastrofico?
Sino al febbraio scorso pareva imminente un'impresa militare italiana in Libia, con lo scopo ufficiale di combattere il terrorismo islamico. Renzi aveva annunciato a riguardo un decreto per il marzo scorso, poi abortito senza fornire spiegazioni, e senza che i giornalisti le chiedessero. Se la guerra libica fosse scoppiata, c'era già pronto un accostamento tra la minaccia islamica ed i soliti Meridionali. Un giornalista della scuola di Milena Gabba Merli ha infatti diretto un "documentario" su dieci casi di conversione all'Islam avvenuti a Napoli. In un'area metropolitana che tra città ed hinterland conta quasi tre milioni di abitanti, ci può essere praticamente di tutto, ma sta alla tendenziosità del giornalista attribuire ad alcuni casi un valore "emblematico". Per rendere più scivolosa la supposta, si inizia magari celebrando la tolleranza religiosa della città di Napoli; ma l'importante era introdurre la coppia semantica Napoli-Islam, poi ci sarà tempo per conferirle un senso inquietante.
Durante il suo viaggio ufficiale in Giappone, Matteo Renzi ha trovato modo di rispondere alle polemiche scatenate dal rapporto Svimez, inanellando le solite lamentele contro i "gufi" e contro quelli che "sparano" contro il proprio Paese, ciò in assoluta aderenza al gioco delle parti con la cosiddetta "opposizione" che è d'obbligo in queste circostanze. Ogni tanto si potrebbe anche far notare a Renzi che il più "gufo" "sparatore" di tutti è proprio lui, dato che ogni sua "riforma" è supportata da campagne di denigrazione e criminalizzazione contro intere categorie sociali.
Dal punto di vista dei risultati politici ed economici, questa trasferta giapponese si è dimostrata il consueto spreco di denaro pubblico. A Renzi infatti non è stato neppure concesso di parlare davanti alla confindustria giapponese, ma, in quanto italiano e fiorentino, gli si è riservata una nicchia nell'accademia d'arte. Per darsi importanza - o, forse, perché non sa nulla d'arte - Renzi ha finito per parlare della minaccia terroristica. Eppure, chissà perché, quelle banalità, visto che erano dette dal Giappone, hanno assunto per i giornalisti italiani un suono molto più conturbante.
In base al principio autorazzistico secondo cui la legittimazione e l'autorevolezza ti vengono dal riconoscimento estero, anche Renzi, per farsi prendere sul serio in patria, ha bisogno di dimostrare che i primi ministri stranieri gli stringono la mano e che gli imperatori lo ricevono. La scelta del viaggio giapponese è stata dettata probabilmente da motivi di prudenza diplomatica, dato che in Giappone vige ancora un decoro cerimoniale, mentre in Occidente gli incontri al vertice hanno assunto ormai toni così sbracati e ammiccanti che Renzi avrebbe rischiato persino umiliazioni in pubblico.
Renzi ha quindi trasformato il Giappone in tribuna mediatica protetta per parlare di Italia, alla sua solita maniera. Con il piglio dello schiacciasassi ha promesso che la "riforma" della Pubblica Amministrazione passerà in parlamento. Lanciato da Tokio, il messaggio ha tutta un'altra solennità, ma guai ad entrare nel merito delle proposte, in quanto si tratta dei soliti vaniloqui, infarciti di quelle misure draconiane che fanno la gioia dell'opinione pubblica più forcaiola. Stavolta ci sarebbe in cantiere la licenziabilità dei dirigenti inefficienti e l'ennesimo annuncio dell'abolizione del Corpo Forestale.
Ma la sola notizia concreta riguardo il DDL ora "all'esame" (si fa per dire) del parlamento, è che, ancora una volta, il governo si riserva di sostanziare la cosiddetta "riforma" nei successivi decreti attuativi. Come già il "Jobs Act" e la "Buona Scuola", anche la "riforma" della Pubblica Amministrazione non è altro che una legge di spesa con delega in bianco al governo. Si stanzia del denaro pubblico sulla base di obiettivi fumosi, ma il governo potrà spenderlo nei prossimi mesi a pro delle lobby degli affari senza renderne conto. E c'è anche da considerare che Pubblica Amministrazione significa anche gestione del Demanio dello Stato, quindi possibilità di privatizzazioni occulte, da dissimulare in decreti attuativi a cui i giornali non dedicheranno più di qualche riga. Valeva allora la pena di volare sino in Giappone per non far percepire tutto questo all'opinione pubblica.
Il giornalista Giampaolo Pansa di recente ha rinnovato i suoi attacchi polemici contro l'ex segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, definendolo ancora una volta il "parolaio rosso" ed accusandolo di aver affossato la sinistra facendo cadere per due volte i governi guidati da Romano Prodi. L'ex giornalista di "sinistra" adotta una tecnica polemica tipicamente di destra, anzi, da Neocon, senza preoccuparsi della coerenza delle accuse, ma gettando discredito da tutti i lati possibili. Chi faccia cadere due governi potrebbe essere legittimamente considerato uno che agisce per fare danni, ma non un "parolaio".
Le cronache raccontano le cose diversamente da come le ricostruisce Pansa. Se è vero che Bertinotti paragonò Prodi a Cardarelli, definito da Flaiano come il "più grande poeta morente", sta di fatto che a far mancare i voti in Parlamento a Prodi fu l'UDEUR di Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia. Mastella fu spinto a tanto da due moventi noti e precisi. Il primo motivo era di cercare protezione contro un'inchiesta giudiziaria, ed il secondo era di sottrarsi all'accordo schiaccia-piccoli-partiti proposto al capo delle destre dall'allora segretario del PD, Veltroni. Il Buffone di Arcore, prima di quel ripescaggio veltroniano, era dato come politicamente morto, quindi è a Veltroni che spetta sicuramente l'onore di aver causato la caduta del secondo governo Prodi. Così la racconta persino Romano Prodi.
Queste falsificazioni della storia recente hanno riguardato anche altri aspetti della biografia del Buffone, considerato vittima di un colpo di Stato internazionale alla fine del 2011, per aprire la strada al governo Monti. Anche qui la mistificazione gioca sulla confusione. Ci fu una famosa lettera della BCE nell'agosto del 2011, ma, in base alla testimonianza di Tremonti, essa fu sollecitata addirittura dal governo in carica, per farsi considerare inamovibile per motivi di emergenza finanziaria. Il Buffone cadde perché il governo perse altri parlamentari a causa dell'azione di "convinzione" di Cirino Pomicino.
Il colpo di Stato ci fu davvero, ma non contro il Buffone, ma per bloccare le elezioni anticipate che avrebbero consegnato, con tutta probabilità, il governo a Bersani. Cosa aveva di tanto notevole Bersani da rendersi degno di non uno, ma due colpi di Stato da parte del presidente Napolitano, uno nel 2011 ed un altro nel 2013, quando gli fu sottratto l'incarico di formare il governo?
Bersani è l'uomo delle privatizzazioni a tappeto del 1999, ed anche l'uomo che parla di politica solo in base agli slogan del Fondo Monetario Internazionale, infatti è ossessionato dal mostro del "populismo". Bersani è il lobbista della Lega delle Cooperative e della loro "cooperazione" con un'altra associazione di piccole e medie imprese, la Compagnia delle Opere. Bersani è anche il lobbista delle Municipalizzate del Centro-Nord, che favorì con la privatizzazione dell'energia elettrica del '99. Quand'era ministro dello Sviluppo Economico, Bersani allestì un progetto di aggregazione delle Municipalizzate per aprirne l'azionariato alle grandi banche multinazionali, tra cui JP Morgan, Goldman Sachs e la poi defunta Lehman Brothers. Insomma, Bersani è per il Mercato, che più Mercato non si può. Il che dimostra che Bersani un po' gonzo lo è, dato che il "Mercato" è una di quelle fiabe che le multinazionali propinano alle loro colonie.
Le multinazionali infatti non sapevano che farsene di un fanatico del "Mercato", e soprattutto non volevano un lobbista delle Cooperative e delle Municipalizzate a capo del governo italiano; volevano invece un lobbista che fosse tutto per loro, uno come Renzi. Il capitalismo non è un "modello" a cui aderire, e poi tutti contenti. Il capitalismo propriamente detto non è altro che un principio giuridico in base al quale il potere in un'azienda si calcola in base alle quote di capitale; ma ciò non ci dice assolutamente nulla sul suo funzionamento reale.
"Capitalismo" è l'etichetta di un sistema di rapina e saccheggio, perciò si sfrutta la rendita di posizione che deriva dal grado che si occupa nella gerarchia imperialistica. Molto raramente il colonialismo multinazionale trova un argine nelle cosiddette "borghesie nazionali", in quanto l'imprenditoria non possiede una vera coscienza di classe, ma si aggrega solo in base all'odio di classe contro il lavoro.
L'Europa attuale è una creatura dell'imperialismo USA, esercitato attraverso la NATO ed il FMI; ma in questo quadro la Germania svolge un ruolo di servitore privilegiato, cosa che consente una sorta di sub-imperialismo tedesco sia sull'Europa Orientale che sull'Europa Meridionale. Ad esempio, la compagnia Fraport di Francoforte ha approfittato dell'attuale condizione della Grecia per estorcere al governo greco la concessione per quattordici aeroporti, ovviamente a prezzi di svendita.
Pansa accusa Bertinotti di aver affossato la sinistra. Ma si tratta dello stesso tipo di diversivi che Pansa ha adoperato dieci anni fa, con la storiella del "sangue dei vinti". Il lamento sui poveri fascisti che avrebbero pagato la loro "coerenza" diventando vittime dei comunisti, era un modo di aggirare la vera questione storica, e cioè come mai le camicie nere si siano così rapidamente convertite in "camicie a stelle e strisce". Quando si dice la "coerenza".
Invece di usare Bertinotti come un comodo bersaglio fisso, Pansa dovrebbe invece spiegarci che fine abbiano fatto le socialdemocrazie europee dopo la caduta del Muro di Berlino. Come mai i socialdemocratici europei hanno abbandonato il Welfare e l'economia mista? E come mai oggi la loro principale funzione pare quella di fornire uomini per ricoprire il ruolo di segretario generale della NATO?
La socialdemocrazia era un compromesso sociale dovuto alla Guerra Fredda; ma, una volta caduto il Muro, è stata liquidata in gran fretta perché la finzione di un "capitalismo dal volto umano" non serviva più. Lo si è visto nel caso della Grecia, allorché si è notato che i socialdemocratici tedeschi hanno fatto a gara con la Merkel ad escogitare vessazioni contro la Grecia.
Dopo la caduta del Muro, Deutsche Bank si impadronì di molte banche della Germania Est e dei loro crediti. Tutta l'operazione di saccheggio fu condotta da colui che oggi svolge la funzione di ministro dell'Economia in Germania, Schauble. La stessa Deutsche Bank oggi minaccia la stabilità dell'economia mondiale e ricatta i contribuenti europei con un buco da titoli derivati di proporzioni abissali. Forse allora il Muro a qualcosa serviva.
Nel 2006, nel suo discorso di insediamento come presidente della Camera, Bertinotti affermò che nella lotta politica non bisogna più considerare l'avversario come un nemico. Se fosse stato appena un po' comunista, Bertinotti avrebbe saputo che nel capitalismo non ci sono amici o nemici o avversari, ma solo prede e predatori.
|