Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Dopo aver oscurato per anni il dato secondo il quale i conti previdenziali si giovano del fatto che molti immigrati regolari versano i contributi all’INPS senza poi avvalersi dei benefici pensionistici, la stessa INPS, per voce del suo presidente Tito Boeri, ha usato quel dato per cercare di dimostrare la necessità della migrazione. Dall’altra parte si potrebbe obiettare che i benefici sui conti previdenziali hanno come contraltare sia l’aggravio dei costi sanitari, sia gli effetti depressivi sulla domanda interna dovuti all’abbassamento del costo del lavoro - causato dalla concorrenza dei migranti con i lavoratori interni - e dalle rimesse all’estero degli stessi migranti.
La vera questione quindi non è migrazione sì o migrazione no, ma l’uso che se ne fa oggi, un uso in funzione deflazionistica. L’Europa usa i migranti per deprimere la domanda interna ed aumentare i flussi finanziari (indebitamento personale, rimesse) legati alla migrazione. Il buco nero della deflazione europea inghiotte le potenzialità di sviluppo dell’Africa e quindi favorisce sia l’indebitamento delle masse africane, sia la migrazione in quanto unica chance per ripagare i debiti. L’Africa è stata massacrata non solo dai servizi segreti americani, francesi e britannici che hanno ucciso i leader africani; non solo dalle multinazionali che depredano le risorse; ma anche dalla deflazione europea che impedisce la formazione di ceti sociali solidi, per creare invece una poltiglia sociale che faccia da target ai servizi finanziari. Accade così che milioni di Africani che non hanno mai visto un’industria, siano però già “banchizzati” e che il Paese africano più “banchizzato”, la Nigeria, sia anche quello che fornisce il maggior numero di migranti.
Anche prima di Maastricht la deflazione è stata il convitato di pietra dell’economia italiana, con il nome di “difesa della lira”, cioè difesa dei tuoi creditori. Nel 1964 e nel 1975 la deflazione si è presentata così ad esigere la liquidazione dell’industria meridionale. Il Sud è stato storicamente una colonia deflazionistica interna molto prima di diventare una colonia deflazionistica della Germania.
Boeri è andato all’attacco del timidissimo decreto “Dignità” paventandone i rischi per l’occupazione. Evidentemente Boeri non vuol convincersi che il lavoro non è una merce come le altre, perché il lavoratore spende, cioè domanda altre merci. Leggi come il “Jobs Act” vanno poi ben al di sotto dello standard del lavoro merce, in quanto considerano il lavoro una servitù. Se il governo avesse voluto fare sul serio, avrebbe eliminato tout court il “Jobs Act” con annessi i suoi effetti deflazionistici e depressivi.
È comunque imbarazzante che un governo di “destra” (il “più a destra della storia della Repubblica”) faccia almeno finta di voler riequilibrare i rapporti tra capitale e lavoro, una circostanza che potrebbe alimentare le tesi secondo cui la “sinistra” è organicamente identificabile con l’euro-deflazione a causa delle sue tare ideologiche: da un lato l’austerità berlingueriana, dall’altro la fobia del nazionalismo, da esorcizzare attraverso la tutela da parte delle organizzazioni sovranazionali.
Tutto vero, ma le cause ideologiche vanno in secondo piano rispetto alle circostanze reali ed ai rapporti di forza. Il centrosinistra dell’Ulivo era negli anni ‘90 l’unico soggetto politico materialmente in grado di condurre a compimento il progetto coloniale della moneta unica, in quanto a destra vi era l’egemonia di una mera lista elettorale nata a fini esclusivamente personali, come Forza Italia.
Tutte le fasi critiche della colonizzazione europea invece non sono state fatte gestire alla “sinistra”. Nel 2001 arrivava l’euro ma l’Ulivo si arrese al ritorno del Buffone di Arcore senza neppure cercare di contrastarlo sul piano elettorale. Nel 2008 il secondo governo Prodi fu fatto cadere nel pieno della tempesta finanziaria americana dei mutui subprime. Nel 2011 il PD di Bersani venne escluso dalla gestione della crisi dello spread tramite l’operazione Monti; mentre nel 2013 ancora Bersani fu affossato per preparare la strada al corpo estraneo Renzi attraverso la pausa del governo Letta. Il regime puramente personale di Renzi ha messo in evidenza il fatto che il vecchio centrosinistra della linea Ulivo-PD ormai non costituisce più un soggetto politico.
L’alternativa, la vera opposizione all’attuale governo, non proviene quindi dal centrosinistra, bensì dal partito della Troika (Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea, Banca Centrale Europea), o lobby della deflazione, che è il vero deluso dalla formazione del governo Conte. Lo scorso anno si dava per scontato che la fine del Quantitative Easing di Draghi sarebbe stata gestita in Italia dalla Troika o, quantomeno, da un governo che ne facesse le veci, come quello di Cottarelli.
Sarebbe quindi più semplice ammettere che la “sinistra” è definitivamente fuori dai giochi e che l’avversario del governo è in prima persona il partito della Troika. In questa situazione è un po’ strano il fatto che il ministro Giovanni Tria non trovi di meglio che cercare di mettere d’accordo FMI e Keynes con la formula salomonica della diminuzione della spesa corrente e l’aumento degli investimenti pubblici.
Il dibattito sull’attualità o meno dell’antifascismo ha avuto un grande slancio dall’inizio di quest’anno. Seppur rappresentate in modo tendenzioso dai media, le posizioni a riguardo di due punti di riferimento mondiali del dibattito anti-establishment, Slavoj Zizek e Noam Chomsky, risultano particolarmente interessanti. Riassumendo in modo approssimativo le loro tesi, si ricava l’indicazione secondo cui il fascismo sarebbe un fenomeno storicamente tramontato e che la paura del fascismo viene utilizzata come spauracchio dall’establishment per rappresentarsi come un male necessario per evitarne di peggiori.
Chomsky sottolinea anche come l’antifascismo militante delle manifestazioni costituisca un’occasione per l’apparato repressivo per colpire il dissenso. In Italia ne abbiamo avuto recentemente una dimostrazione, allorché si è colta l’occasione di un episodio avvenuto durante una manifestazione antifascista per licenziare una maestra. Il caso della maestra Cassaro però va già oltre la sfera della semplice repressione e configura un quadro molto più problematico, che non è stato colto anche da quelli che la difendono.
Il dibattito è continuato sulla rivista “Micromega”, dove l’economista Emiliano Brancaccio ha messo in evidenza il rapporto causale tra politiche deflattive e sviluppo di movimenti di destra. Pur partendo da premesse molto diverse, Zizek, Chomsky e Brancaccio concordano però su una posizione: non appoggiare candidati e posizioni di establishment in nome del far fronte contro il pericolo fascista.
Prima ancora di finire su “Micromega”, la tesi secondo cui le politiche deflattive favorirebbero una rinascita del fascismo, era da tempo oggetto di discussione sulla rete. La tesi ha sicuramente un fondamento se la si applica al caso del nazismo negli anni ‘30, dato che Hitler salì al potere in Germania nel pieno di una situazione di deflazione/recessione con milioni di disoccupati.
La tesi è molto meno applicabile al caso del fascismo italiano, poiché fu proprio il governo Mussolini tra il 1924 ed il 1926 ad avviare una politica iper-liberista e deflattiva che culminò con la rivalutazione della lira, la famosa quota ’90. Il fascismo quindi è compatibilissimo con politiche deflattive e, per questo motivo, negli anni ’20 Mussolini fu santificato dalla stampa internazionale. Solo all’inizio degli anni ’30 Mussolini cambiò politica economica, servendosi di personale formatosi nella cerchia dell’ex Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti.
Tra gli anni ‘20 e ‘30 i fascismi si avvalsero sia dell’appoggio dell’establishment internazionale in funzione anticomunista, sia dell’esistenza di un apparato dello Stato già militarizzato per le esigenze della guerra di massa. Si era già fatto trenta ed i fascismi hanno fatto trentuno. Con la fine degli eserciti di massa sarebbe dubbio che un nuovo fascismo possa ripresentare le stesse identiche caratteristiche di militarizzazione sociale.
Ci si potrebbe domandare se il pericolo di un nuovo fascismo non sia un modo per non considerare il fascismo che già c’è, cioè il fascismo che è stato inglobato ed introiettato dall’attuale sistema di potere che lo ha trasformato in senso comune. In altre parole, i movimenti di destra sono oggi i soli ad avere un’agibilità politica poiché ogni altra prospettiva è stata preventivamente delegittimata e criminalizzata. Questo monopolio ideologico consente al fascismo di recitare tutte le parti in commedia, di stare sia dentro l’establishment che contro di esso. Il fascismo non ha neppure dovuto aspettare la deflazione e la recessione economica per tornare a fare il bello ed il cattivo tempo ed il veicolo di questo riciclaggio in grande stile è stato la NATO.
Dalla fine degli anni ’80 la “sinistra” ha voluto chiudere gli occhi: non ha voluto vedere il ruolo svolto dalle destre estreme nella caduta del Muro di Berlino e dei vari regimi dell’Europa dell’Est; ha lasciato santificare un personaggio come Vaclav Havel, formatosi negli ambienti dell’ex collaborazionismo nazista in Cecoslovacchia; ha plaudito al “risveglio etnico” in Jugoslavia sorvolando sul ruolo che in questo “risveglio” svolgeva il fascismo Ustascia. Molto prima di organizzare il colpo di Stato nazista in Ucraina, la NATO aveva già utilizzato i fascisti in tutte le occasioni possibili, a cominciare dalla rivolta d’Ungheria del 1956.
Non ci si è accorti inoltre che il Trattato di Maastricht del 1992 è totalitario, in quanto impone la deflazione come unica politica economica, fissando l’obbiettivo della stabilità dei prezzi, quindi niente aumenti salariali e nessuna espansione del welfare. La sinistra è stata messa in pratica fuori legge. È bastato infatti un provvedimento del tutto simbolico come il Decreto “Dignità” per far guadagnare al ministro Di Maio l’epiteto di “comunista”. L’accusa di comunismo oggi è tautologica, cioè delegittima esimendo del tutto dal dimostrare; e non c’è da sorprendersene dato che le varie campagne mediatiche sul “sangue dei vinti” e sulle foibe hanno trasformato l’anticomunismo in un valore prioritario rispetto all’antifascismo. Il caso del licenziamento della maestra Cassaro indica che esiste già un fascismo istituzionalizzato ed in atto, che implica un modello totalitario dei rapporti sociali: licenziata perché comunista.
La perpetuazione dell’ ideologia fascista in epoca post-fascista ed “antifascista” fu già messa in evidenza da Benedetto Croce durante i lavori della Costituente. Croce denunciava che, come nel fascismo, si continuava nel dopoguerra a considerare gli Italiani un popolo inferiore da avviare sulla via della redenzione. Parole profetiche, visto che l’Unione Europea non c’era ancora.
Ma questa continuità ideologica presenta anche degli esempi istituzionali abbastanza significativi come l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Di recente il massimo esponente di questo istituto in una trasmissione televisiva si è esibito in un esercizio di tautologia affermando che non c’è bisogno di prove per considerare il presidente siriano Assad un criminale. È un criminale perché è un criminale.
Fondato nell’ambito fascista nel 1934, l’ISPI doveva costituire un laboratorio teorico dell’imperialismo italiano . Notevoli erano le affinità e le relazioni dell’Istituto con gli ambienti del regime in cui si elaborava la mistica fascista.
Il decalogo della mistica fascista
|