Il dibattito sull’attualità o meno dell’antifascismo ha avuto un grande slancio dall’inizio di quest’anno. Seppur rappresentate in modo tendenzioso dai media, le posizioni a riguardo di
due punti di riferimento mondiali del dibattito anti-establishment, Slavoj Zizek e Noam Chomsky, risultano particolarmente interessanti. Riassumendo in modo approssimativo le loro tesi, si ricava l’indicazione secondo cui il fascismo sarebbe un fenomeno storicamente tramontato e che la paura del fascismo viene utilizzata come spauracchio dall’establishment per rappresentarsi come un male necessario per evitarne di peggiori.
Chomsky sottolinea anche come l’antifascismo militante delle manifestazioni costituisca un’occasione per l’apparato repressivo per colpire il dissenso. In Italia ne abbiamo avuto recentemente una dimostrazione, allorché si è colta l’occasione di un episodio avvenuto durante una manifestazione antifascista per licenziare una maestra.
Il caso della maestra Cassaro però va già oltre la sfera della semplice repressione e configura un quadro molto più problematico, che non è stato colto anche da quelli che la difendono.
Il dibattito è continuato sulla rivista “Micromega”, dove l’economista Emiliano Brancaccio ha messo in evidenza il rapporto causale tra politiche deflattive e sviluppo di movimenti di destra. Pur partendo da premesse molto diverse, Zizek, Chomsky e Brancaccio concordano però su una posizione: non appoggiare candidati e posizioni di establishment in nome del far fronte contro il pericolo fascista.
Prima ancora di finire su “Micromega”, la tesi secondo cui le politiche deflattive favorirebbero una rinascita del fascismo, era da tempo oggetto di discussione sulla rete. La tesi ha sicuramente un fondamento se la si applica al caso del nazismo negli anni ‘30, dato che Hitler salì al potere in Germania nel pieno di
una situazione di deflazione/recessione con milioni di disoccupati.
La tesi è molto meno applicabile al caso del fascismo italiano, poiché fu proprio il governo Mussolini tra il 1924 ed il 1926 ad avviare una politica iper-liberista e deflattiva che culminò con la rivalutazione della lira, la famosa quota ’90. Il fascismo quindi è compatibilissimo con politiche deflattive e, per questo motivo, negli anni ’20 Mussolini fu santificato dalla stampa internazionale. Solo all’inizio degli anni ’30 Mussolini cambiò politica economica, servendosi di personale formatosi nella cerchia dell’ex Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti.
Tra gli anni ‘20 e ‘30 i fascismi si avvalsero sia dell’appoggio dell’establishment internazionale in funzione anticomunista, sia dell’esistenza di un apparato dello Stato già militarizzato per le esigenze della guerra di massa. Si era già fatto trenta ed i fascismi hanno fatto trentuno. Con la fine degli eserciti di massa sarebbe dubbio che un nuovo fascismo possa ripresentare le stesse identiche caratteristiche di militarizzazione sociale.
Ci si potrebbe domandare se il pericolo di un nuovo fascismo non sia un modo per non considerare il fascismo che già c’è, cioè il fascismo che è stato inglobato ed introiettato dall’attuale sistema di potere che lo ha trasformato in senso comune. In altre parole, i movimenti di destra sono oggi i soli ad avere un’agibilità politica poiché ogni altra prospettiva è stata preventivamente delegittimata e criminalizzata. Questo monopolio ideologico consente al fascismo di recitare tutte le parti in commedia, di stare sia dentro l’establishment che contro di esso. Il fascismo non ha neppure dovuto aspettare la deflazione e la recessione economica per tornare a fare il bello ed il cattivo tempo ed il veicolo di questo riciclaggio in grande stile è stato la NATO.
Dalla fine degli anni ’80 la “sinistra” ha voluto chiudere gli occhi: non ha voluto vedere il ruolo svolto dalle destre estreme nella caduta del Muro di Berlino e dei vari regimi dell’Europa dell’Est; ha lasciato santificare un personaggio come Vaclav Havel, formatosi negli ambienti dell’ex collaborazionismo nazista in Cecoslovacchia; ha plaudito al “risveglio etnico” in Jugoslavia sorvolando sul ruolo che in questo “risveglio” svolgeva il fascismo Ustascia. Molto prima di organizzare il colpo di Stato nazista in Ucraina, la NATO aveva già utilizzato i fascisti in tutte le occasioni possibili, a cominciare dalla rivolta d’Ungheria del 1956.
Non ci si è accorti inoltre che il Trattato di Maastricht del 1992 è totalitario, in quanto impone la deflazione come unica politica economica, fissando l’obbiettivo della stabilità dei prezzi, quindi niente aumenti salariali e nessuna espansione del welfare. La sinistra è stata messa in pratica fuori legge. È bastato infatti un provvedimento del tutto simbolico come il Decreto “Dignità” per far guadagnare al ministro Di Maio l’epiteto di “comunista”.
L’accusa di comunismo oggi è tautologica, cioè delegittima esimendo del tutto dal dimostrare; e non c’è da sorprendersene dato che le varie campagne mediatiche sul “sangue dei vinti” e sulle foibe hanno trasformato l’anticomunismo in un valore prioritario rispetto all’antifascismo. Il caso del licenziamento della maestra Cassaro indica che esiste già un fascismo istituzionalizzato ed in atto, che implica un modello totalitario dei rapporti sociali: licenziata perché comunista.
La perpetuazione dell’ ideologia fascista in epoca post-fascista ed “antifascista” fu già messa in evidenza da Benedetto Croce durante i lavori della Costituente. Croce denunciava che, come nel fascismo, si continuava nel dopoguerra a considerare gli Italiani un popolo inferiore da avviare sulla via della redenzione. Parole profetiche, visto che l’Unione Europea non c’era ancora.
Ma questa continuità ideologica presenta anche degli esempi istituzionali abbastanza significativi come l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Di recente il massimo esponente di questo istituto in una trasmissione televisiva si è esibito in un esercizio di tautologia affermando che non c’è bisogno di prove per considerare il presidente siriano Assad un criminale.
È un criminale perché è un criminale.
Fondato nell’ambito fascista nel 1934,
l’ISPI doveva costituire un laboratorio teorico dell’imperialismo italiano . Notevoli erano le affinità e le relazioni dell’Istituto con gli ambienti del regime in cui si elaborava la mistica fascista.
Il decalogo della mistica fascista